Non se ne può più: dinanzi alla volgare operazione mediatica in atto dopo l’omicidio della povera Giulia Cecchettin da parte del fidanzato, prende un senso di frustrazione e di rabbia. La vittima – di cui non importa nulla a nessuno dei maestrini e maestrine dalla penna rossa saliti in cattedra al fischio del padrone – sarebbe stata uccisa dal “patriarcato”. Una volta di più è evidente come una tragedia che ha travolto due vite e due famiglie fosse in qualche modo attesa da un’orda di sciacalli impegnati a montare un immenso circo di menzogne, o, come scrive il grande psichiatra Claudio Risé, “una stupefacente campagna di stupidaggini”. Nella quale, giova ripeterlo, attorno alla povera Giulia si svolge una vergognosa danza macabra. Stavolta il bersaglio è il patriarcato. Come sempre, la neolingua stravolge le parole , imponendo significati del tutto impropri. Patriarcato, infatti significa dominio dei padri e, in senso lato, degli adulti maschi. Che cosa c’entri questo concetto, del tutto estraneo ai tempi nostri, non è dato sapere. Poco importa: conta il messaggio che “deve” passare.
Cerchiamo di mettere un po’ d’ordine e di seguire – alla rovescia – l’ esortazione di Nanni Moretti nel film Aprile. “ Dì qualcosa di sinistra”, chiede l’intellettuale al politico. Noi diremo qualcosa “non di sinistra”, non progressista, non allineato al pensiero dominante. Talmente dominante che abbiamo ascoltato mea culpa anti patriarcali pronunciati da almeno tre ministri di centrodestra , uno dei quali è titolare della pubblica istruzione e propone un’ora di “educazione affettiva” nelle scuole. C’è da ridere, se non ci fosse da piangere e rispettare una giovane vita spezzata. Peraltro, l’educazione sessuale – non lasciamoci ingannare dall’ eufemistico “ affettiva” – non mette al riparo la società: la statistica mostra più violenza, più omicidi laddove si impone l’educazione sessuale a scuola, estromettendo quel che resta della famiglia.
Un ministro in carica ha detto di vergognarsi di essere uomo. Gli consigliamo la chirurgia, ma questo è il punto: l’uomo è polverizzato, il padre distrutto. Altro che patriarcato: se esistesse, il delitto probabilmente non ci sarebbe stato, poiché il padre è la legge, il limite, colui che discerne il bene dal male, insegna la responsabilità, indica i principi da seguire. Uno dei quali, nelle società “normali”, era il rispetto per la donna, che, ci dicevano, non si tocca nemmeno con un fiore. Se vivessimo in una società patriarcale, i padri non sarebbero ridotti alla caricatura che sono. Bancomat dei rampolli nel migliore dei casi, assenti nella maggioranza delle non-famiglie, esautorati tra separazioni, divorzi, preferenza accordata dai genitori d’ambo i sessi alla carriera o ai piaceri del consumismo.
Se il patriarcato ci fosse, il povero papà dell’assassinio non direbbe – confuso e sconcertato com’è chi subisce una tragedia così grande – che il figlio era così tranquillo, normale, senza contrasti. I giovani maschi in genere sono esuberanti e ben poco tranquilli. Proprio quell’apparente mansuetudine, quel silenzio apparentemente rassicurante avrebbe dovuto insospettire. Ma poi perché, se va tutto liscio, se non ci sono conflitti da dirimere o divieti da imporre? Se esistesse il patriarcato, o almeno il rispetto di sé, non ascolteremmo affermazioni del tipo di quelle dello scrittore Maurizio Maggiani, per il quale “la mascolinità è un carattere recessivo della specie umana”. Un impressionante odio di sé unito all’astio contro la natura. Magari avesse ragione un giornalista di Repubblica, autore di una lagnosa omelia anti maschile secondo cui “il maschio progressista non esiste”. Purtroppo esiste e fa danni incalcolabili a se stesso, ai figli, alla società tutta.
Infine, se il patriarcato esistesse, i bambini e i ragazzi non sarebbero così spesso affidati alle madri. Colpa di padri latitanti, certo, irresponsabili, ma anche di un atteggiamento che mette al centro la cura (l’elemento materno, femminile) piuttosto che la guida o l’esempio. Non avremmo generazioni di maschietti e adolescenti educati a scuola prevalentemente da insegnanti donne, seguiti soprattutto da psicologhe donne. Figure non certo incapaci, ma i bambini e i ragazzi hanno bisogno di modelli virili. Madri, inseganti donne e psicologhe non possono fornirli. Ma sa Dio quanto bisogno c’è di virilità , intesa come fortezza, temperanza, sicurezza, dominio di sé, capacità di imprimere una direzione. Per istinto e per seguire la cultura dominante, troppe madri giustificano tutto mentre le docenti donne instillano nei giovani maschi un insidioso senso di colpa.
Sono vietate le attività in cui si mette alla prova l’ardimento e la forza: violenza da condannare, prova di attitudini regressive, primitive dei maschietti. E’ esattamente il contrario: un caso evidente di primitivismo è proprio Filippo, perfino nella tragicomica programmazione dell’omicidio, nell’incapacità di valutarne le conseguenze, sino a una fuga finita per mancanza di benzina. Ai giovani di sesso maschile non viene insegnato il rispetto della donna, ma il disprezzo di sé. Sei un violento, uno stupratore, un prevaricatore, gli grida un possente apparato di menzogne. Se diventa padre, lo si costringe a essere un “mammo”, amicone dei figli, abile solo nel cambio dei pannolini. A noi sconcerta la moda che impone ai padri di neonati di tenerli in grembo o in marsupi dietro la schiena, anziché tra le braccia, con forza, calore, protezione.
Dobbiamo credere , noi uomini – già colpevoli, in questa parte del mondo, di essere bianchi e normali, ossia etero – di essere il prodotto malriuscito della creazione, o dell’evoluzione al contrario. Negli stessi giorni della grancassa mediatica sulla morte di Giulia, la neo cultura batte un altro colpo. L’imperatore romano del III secolo Eliogabalo è riabilitato: la nuova sentenza – assoluzione in attesa della santificazione- è che era transessuale. In realtà era un sacerdote della divinità orientale di Iside e tentò di introdurre a Roma il culto del Sole Invitto, provocando forti resistenze che portarono al suo assassinio. Era noto per gli eccessi sessuali ed ebbe almeno cinque mogli e due “ mariti”. Wikipedia, bibbia del politicamente corretto, dà conto delle controversie sul suo “genere “ e sull’”orientamento sessuale”.
Diciamolo senza paura: episodi terribili come l’omicidio di Giulia sono sfruttati senza ritegno per portare nelle scuole, sin dall’infanzia, l’indottrinamento alla fluidità sessuale, i cui primi obiettivi sono la distruzione dell’ identità maschile e femminile. Il mondo di Eliogabalo. Non è un caso che siano tornati all’attacco i sostenitori del decreto Zan e l’intramontabile signora Cirinnà, quella del simil-matrimonio “per tutti”, madre, dice, di “ figli non umani”, i suoi amatissimi animali. Amano gli animali, detestano gli umani di ambo i sessi. Sì, perché la distruzione della figura del padre non risparmia la madre.
Non è del matriarcato che vanno in cerca: sarebbe comunque una forma di autorità, una linea di continuità. L’obiettivo è la decostruzione della donna. Le prove sono evidenti. Nel momento in cui si afferma – con uno sprezzo della verità che può sfuggire solo a soggetti cui è stato sottratto l’uso della vista e del cervello – che la maternità è costrutto “culturale”, imposto dal patriarcato, anzi dall’eteropatrircato ( gli omosessuali sono assolti dalle colpe maschili) si getta nell’immondizia la figura materna. Padre e madre sono figure complementari, espressione della polarità maschio femmina voluta dalla natura o dal Dio che abbiamo ucciso: simul stabunt, vel simul cadent, insieme staranno oppure insieme cadranno.
Qual è il modello femminile post moderno ? Innanzitutto non-madre, tanto che esiste la corrente delle donne child free, libere dai figli, come se generare fosse una prigione. Poi la virago interessata solo al successo, alla carriera, la cui iconografia è rigorosamente in pantaloni e giacca, un’imitazione peggiorativa, per cinismo e disumanità, dei modelli maschili negativi. Oppure una sballata che rivendica pseudo libertà che si trasformano in dipendenze.
Un manifesto “femminista” (?) del governo spagnolo, impegnatissimo sulle questioni di “genere”, mostra una ragazza in preda all’alcool, dall’aspetto deplorevole, reduce da una notte brava, accanto a una didascalia – slogan: sola e ubriaca voglio tornare a casa. Nessun dubbio sul diritto di non essere importunata o aggredita sessualmente, ma non sarebbe meglio impegnare il denaro dei contribuenti in campagne contro l’alcolismo e le droghe? Impossibile: si lederebbe la libertà, ridotta al diritto indiscutibile di fare qualsiasi cosa aggradi, ticchio o capriccio, anche distruttivo e autodistruttivo. Episodi ripugnanti come le accuse di stupro riguardanti figli di personaggi famosi hanno in comune l’abuso di alcool e “sostanze”, un divertimento volgare, compulsivo di persone vuote (maschi e femmine) tra musiche assordanti e una promiscuità figlia probabilmente della pornografia e dell’indistinzione tra reale e virtuale.
Se Filippo e altri esplodono in atti orribili è anche perché il modello dominante è la forma merce, il consumo. Gli esseri umani non sono cose, Giulia non era di Filippo, ma come spiegarlo a chi ha imparato dalla società che tutto è un “diritto”, anche capricci, anche gesti di possesso dell’Altro che un’educazione sana avrebbe quanto meno stigmatizzato. La reazione al rifiuto diventa il piagnucolio del bambino che non sa difendersi e “lo dice alla mamma, o alla maestra”; oppure la destabilizzazione rancorosa che sfocia talvolta in violenza vendicativa, drammatica nelle conseguenze, ma infantile perché è la reazione di chi ha perduto il giocattolo. Generazioni infantilizzate, confuse in quanto non viene mostrato loro un limite, insegnata la differenza tra bene e male. Chi non riceve mai rifiuti, chi non ascolta mai qualche salutare “no” da parte di un padre e di una madre, come può accettarne nel corso della vita?
Un ulteriore elemento di questa e di altre vicende è di tipo proiettivo, sostitutivo. Sconfitta la lotta di classe, impera la guerra dei sessi. Divide et impera, come sempre. Il mondo-mercato è individualista, nega la dimensione comunitaria, insegna a odiare l’altro in quanto concorrente, competitor, dicono i comici cultori della neolingua globish. Nulla di meglio, per l’oligarchia al potere, che la guerra tra uomini e donne, l’invenzione del femminicidio, l’omicidio “più” che abbatte l’uguaglianza di fronte alla legge.
La contrapposizione agonistica, vissuta nella forma della lotta continua tra minoranze rissose, incomunicabili, vittimiste, decise a rivendicare privilegi o risarcimenti, è un’assicurazione sulla vita e la riproduzione del vigente modello sociale, economico e antropologico, orribile quanto fallimentare. In tutto ciò fa capolino uno strano convitato di pietra, il satanismo. Riferimenti di quel tipo erano presenti sulla maglietta indossata dalla sorella di Giulia, una giovanissima Erinni che ha incolpato il mondo intero della tragedia, inanellando in poche frasi l’intero repertorio di luoghi comuni della subcultura sedicente progressista.
Va scusata, perché il dolore toglie il senno e per la giovane età. Certamente non immagina i significati degli strani simboli del suo abbigliamento. Tuttavia ci sembra di intravvedere nelle derive in atto l’azione di qualcosa di razionalmente indefinibile, maligno. Scrisse Emil Cioran che ogni civiltà morente aspetta sempre il suo barbaro, quello che le assesta il colpo di grazia. Come definire diversamente il mondo che produce troppi Filippo, che applaude orgogliosa ogni inversione , distrugge il padre, criminalizza gli uomini e la famiglia, svilisce le donna, irride la madre, ridotta a incubatrice al servizio di coppie danarose (gay ed etero) per le quali un figlio è un “diritto” da pagare in denaro? Il tempo di Eliogabalo.
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