I) I Costantinidi (337-355).
Quando Flavio Giuliano divenne imperatore, nel 361 d. C., l’impero romano non era certamente più quello di Augusto, perché la società, l’economia e le stesse strutture amministrative erano irreversibilmente cambiate. Uno dei promotori di tale cambiamento fu senz’altro Costantino, il primo “imperatore cristiano”(1). Grazie alla sua politica in favore della Chiesa cattolica, il cristianesimo era diventato un’autentica potenza politica ed economica. Costantino, infatti, con l’editto di Milano del 313 d. C., aveva riconosciuto il cristianesimo come religio licita, determinando la fine delle persecuzioni che si protraevano dal I secolo d. C. Teoricamente, in virtù dell’Editto, il cristianesimo doveva godere nell’impero degli stessi diritti delle altre confessioni religiose, ma non fu così, perché l’imperatore, tra il 316 e il 321, promulgò altre leggi con cui rafforzò la posizione sociale della Chiesa, conferendole particolari privilegi in campo fiscale, economico e giuridico(2). Alla morte di Costantino – il 22 maggio del 337 d. C. – la successione, in una prima fase, fu attuata secondo le sue disposizioni testamentarie. I figli dell’imperatore – Costanzo, Costante e Costantino II – celebrarono i funerali del padre, ma tentarono di tenerne nascosta la morte il più a lungo possibile, continuando ad emanare editti in suo nome. Questa situazione si protrasse fino al 9 settembre del 337, quando i soldati, sobillati da Costanzo, Costante e Costantino II, massacrarono, nel palazzo di Costantinopoli, alcuni dei membri della famiglia del defunto, cioè il fratellastro, Giulio Costanzo, e i nipoti, Dalmazio e Annibaliano, figli dell’altro fratellastro, Flavio Dalmazio, tutti associati al potere secondo le ultime volontà di Costantino(3).
II) Le guerre galliche (355-360).
Morto Gallo, Giuliano fu convocato da Costanzo II a Milano, dove arrivò alla fine del 355. In presenza dell’imperatore e dell’imperatrice Eusebia (†360), il 6 novembre fu investito del titolo di Cesare e di comandante supremo delle milizie in Gallia, con il compito di riparare alla disastrosa situazione militare, determinata dalle incursioni dei barbari: i Franchi, lungo il corso del basso Reno, e gli Alemanni, lungo l’alto corso(7). Il titolo di Cesare, inoltre, conferì a Giuliano il ruolo di candidato in pectore alla successione imperiale che era stato anche di suo fratello Gallo. Poco dopo, Giuliano sposò la sorella di Costanzo, Elena, e ciò consolidò ancora di più i suoi legami con la dinastia costantiniana, ma i rapporti personali di Giuliano con la moglie non furono mai buoni. A causa dei costanti impegni istituzionali del marito, Elena fu sempre trascurata, non riuscendo neppure a dare a Giuliano una discendenza. Quando Elena morì, nel 360, Giuliano non si risposò, ma fece tumulare solennemente la moglie nel mausoleo di Santa Costanza – sorella di Costantino I – a Roma(8). Giuliano ereditava in Gallia una situazione difficile, a causa delle incursioni dei Franchi e degli Alemanni. La frontiera renana era rimasta sguarnita dopo la morte del magister militum per Gallias, Silvano, messo a morte dopo un’accusa calunniosa di sedizione e a Giuliano non restò che usare il pugno di ferro(9). Nell’agosto del 357, annientò le incursioni alemanne nella grande battaglia di Argentoratum – attuale Strasburgo – costringendo il re alemanno Cnodomario, fatto prigioniero, a siglare la pace(10). Con il trattato, gli Alemanni accettarono di fornire truppe all’impero in cambio di vettovagliamenti e a non violare il confine del Reno. Nel 358, toccò ai Franchi che, duramente sconfitti, furono costretti a trasferirsi, in buona parte, a ovest del fiume Reno – nella Gallia Belgica Secunda- accettando di diventare foederati, cioè “alleati” di Roma. In base al trattato, i Franchi si impegnarono a fornire truppe e a stabilirsi nei territori loro concessi dalle autorità romane, abbandonando, progressivamente, le usanze seminomadi e dedicandosi all’agricoltura. I Franchi, allora, avviarono un processo di lenta acculturazione ai valori della romanità, accompagnato da una proficua collaborazione con le autorità imperiali, destinata a dare i suoi frutti all’epoca di re Clodoveo (fine V secolo)(11). I meriti di Giuliano in Gallia non furono solo militari, poiché egli si preoccupò anche di mettere ordine nell’amministrazione civile, anticipando alcuni provvedimenti a favore del ceto popolare che avrebbe adottato dopo l’elezione a imperatore, più incisivamente. Diminuì l’ammontare delle imposte e ne affidò la riscossione ad ufficiali pubblici, non più a compagnie di speculatori privati – susceptatores- fissando un calmiere sui generi di prima necessità. La capitazione, o testatico, fu ridotta da 25 a 7 solidi, e furono drasticamente ridimensionate le spese. Nel febbraio del 360, tuttavia, avvenne una svolta nella vita del Cesare e in quella di tutto l’impero. A Lutetia Parisiorum – attuale Parigi – dove Giuliano aveva stabilito la sede del suo comando, giunse il tribuno Nebridio che, a nome di Costanzo II, ordinava a Giuliano di trasferirsi in Oriente, con parte delle truppe, per combattere i Persiani. Infatti, l’anno prima, Costanzo era accorso in Siria per proteggere la provincia dalle incursioni persiane, poiché il re di Persia, Sapore II (309-379), aveva scatenato una controffensiva contro la frontiera siriana, impossessandosi delle piazzeforti di Amida, Nisibi e Singara e di cinque satrapie orientali, cioè i cinque distretti amministrativi collocati nella Mesopotamia occidentale che erano stati annessi, nel 298, dall’imperatore Diocleziano (284-303). Poiché Costanzo non era riuscito nel suo intento, decise di chiedere aiuto al cugino, ma le truppe galliche, non disposte a trasferirsi in Siria, minacciarono Nebridio e decisero di proclamare imperatore Giuliano che accettò (estate 360). Il rifiuto delle truppe a trasferirsi in Siria derivava dal fatto che erano composte in larga parte da milites arruolati sul posto, poco disposti a trasferirsi in Oriente, abbandonando le proprie famiglie in Gallia. La nomina ad imperatore fu allora sancita nell’accampamento – a Lutetia – seguendo un rituale decisamente poco romano: Giuliano fu innalzato sugli scudi e sulla sua testa fu posta, come diadema, un’improvvisata corona ricavata da un torques, una collana militare rigida, molto usata dai legionari(12). Il novello Augusto diede notizia dell’accaduto al cugino, pensando che Costanzo avrebbe approvato la sua elezione, e proponendo di spartire l’impero: Giuliano avrebbe governato Spagna, Gallia e Britannia, lasciando il resto dell’impero a Costanzo. Le cose, tuttavia, non andarono così. Costanzo ritenne il cugino un usurpatore, mentre i generali gallici a lui fedeli – Barbazione, Ursicino, Florenzio – fuggirono in Siria. Dall’Asia Minore, Costanzo marciò verso Occidente, con l’intenzione di portare la guerra in Europa e annientare il cugino in una grande battaglia campale, e Giuliano, a sua volta, abbandonò la Gallia e marciò in direzione dei Balcani, lungo la valle del Danubio, intenzionato a contrastare l’arrivo di Costanzo. La battaglia decisiva si sarebbe dovuta combattere proprio nei Balcani, ma Costanzo morì in Asia Minore, a Mopucrene, il 3 novembre del 361, prima di aver attraversato i Dardanelli. Giuliano apprese la notizia della morte del cugino a Naisso, in Mesia, attuale Serbia. Sebbene Costanzo, sul letto di morte, lo avesse perdonato e riconosciuto come legittimo erede, Giuliano si affrettò a raggiungere Costantinopoli, dove proclamò un’amnistia generale e fece celebrare esequie solenni in onore del cugino che fu sepolto nel mausoleo imperiale, annesso alla chiesa dei SS. Apostoli voluta da Costantino, nel dicembre del 361. Evitando una sanguinosa guerra civile, Giuliano era diventato unico imperatore (13).
III) L’impero e la politica a favore degli humiliores (361-363).
Da imperatore, Giuliano si preoccupò di istituire a Calcedonia, in Bitinia, una commissione d’inchiesta presieduta dal prefetto d’Oriente, Secondo Sallustio (†367ca.), per punire i responsabili degli abusi perpetrati durante il governo del cugino Costanzo. Molti collaboratori di Costanzo – il ciambellano Eusebio, i delatori Paolo Catena e Apodemio, il comeslargitionumUrsulino, il prefetto Florenzio – furono messi a morte, ma solo i personaggi più in vista subirono questo destino.A dispetto del passato cristiano dei suoi predecessori – ad esempio Costantino – fin dai primi tempi il nuovo Augusto si diede anima e corpo alla politica di restaurazione degli antichi culti pagani, motivato da un sincero attaccamento alla religione dei padri – era stato iniziato ai misteri di Demetra e di Mitra – e non solo – come affermato dai suoi avversari – da una pervicace volontà di rivalsa contro i Costantinidi e il clero cristiano, ritenuti responsabili dell’uccisione dei suoi familiari. Riservando ad un paragrafo specifico l’analisi di tale politica di restaurazione, ci si concentrerà, qui di seguito, ad analizzare altri aspetti della politica giulianea. Anche al di fuori dell’ambito prettamente religioso, infatti, la politica di Giuliano fu sempre attenta ai bisogni delle classi sociali più basse – gli humiliores – fin dall’epoca del suo comando in Gallia. Ciò si tradusse in un abbassamento della pressione fiscale e in un tentativo di calmierare il prezzo dei beni di prima necessità – come il grano – mantenendoli accessibili al popolo, cercando di frenare il costante processo inflazionistico che travolgeva il denaro d’argento – moneta dei ceti medio-bassi – favorendo la coniazione di denari di buona qualità, con un buon contenuto di metallo prezioso, cosa che fu consentita dalla fusione degli enormi tesori confiscati alle chiese cristiane(14). Alla politica deflazionistica perseguita dall’imperatore, si aggiunsero l’abolizione di iniqui condoni fiscali e la persecuzione degli evasori, con taglio alle spese pubbliche superflue e riduzione degli effettivi amministrativi in sovrannumero, in maggioranza ufficiali delatori del fisco – come gli agentes in rebus e i curiosi – peraltro detestati dal popolo. Giuliano, inoltre, abolì la pratica del suffragium, ovvero la compravendita di uffici pubblici, promosse opere pubbliche, adottando misure favorevoli alle amministrazioni cittadine, cui restituì il possesso dei beni pubblici che erano stati loro sottratti dai suoi predecessori – per farne dono alla Chiesa o per incamerarli nel demanio statale – e proibì che i decurioni – i consiglieri municipali-potessero abbandonare il proprio ufficio e i connessi doveri per entrare nel clero(15). I privilegi fiscali del clero – che risalivano all’epoca costantiniana – furono aboliti, come l’esenzione dai munera e la possibilità di usufruire gratuitamente del cursus publicus, ossia del servizio di posta imperiale. Ecclesiastici e beni della chiesa furono, dunque, nuovamente tassati. Soprattutto le amministrazioni cittadine furono al centro della politica di Giuliano, il quale comprese che soltanto salvaguardando la salute finanziaria dei municipia – pilastro di tutta l’organizzazione imperiale – avrebbe potuto contare su una burocrazia solida ed efficace. Pertanto i decurioni, sui quali gravava l’onere di riscossione delle imposte in tutto il territorio della civitas, ottennero l’esenzione dall’aurum coronarium, l’imposta riscossa in occasione di alcune ricorrenze importanti, come il genetliaco dell’imperatore o l’anniversario della sua ascesa al trono(16). Anche i frequenti donativa, cioè le distribuzioni gratuite di denaro alle truppe, furono limitate e le res universitatis – i beni pubblici dei municipia- furono restituite alle città, dopo che erano state confiscate a beneficio del fisco imperiale(17). In tal modo, le città tornavano a respirare perché, sotto il profilo fiscale, ogni arca municipalis avrebbe avuto un discreto patrimonio fondiario da cui attingere rendite per riparare ad eventuali “buchi” di bilancio. I beni municipali, inoltre, potevano essere affittati o, comunque, ceduti in godimento a privati, in cambio del pagamento di imposte indirette, i cui proventi defluirono tutti nel tesoro cittadino e non più in quello imperiale. Inutile dire che tutte queste misure amministrative furono immediatamente abrogate dai successori di Giuliano e che, data la brevità del principato giulianeo, è impossibile valutare che impatto avrebbero avutonel lungo periodo, sulla società e sull’economia imperiale(18).
IV) La Restauratio pagana e le sue basi ideologiche.
Fu, però, la politica di restaurazione religiosa a rendere Giuliano un protagonista indiscusso del IV secolo e a guadagnargli la fama di “Costantino del paganesimo” o, addirittura, di “Apostata”-ossia rinnegatore della fede – appellativo che gli fu attribuito da san Gregorio di Nazianzo (†390), uno dei “padri” della Chiesa d’Oriente.Giuliano, però, tentò di dare alla sua politica di Restauratio religiosa non solo un taglio giuridico-amministrativo, ma anche uno spessore “ideologico”, grazie al supporto della filosofia neoplatonica – di cui era seguace – e di offrire una visione il più possibile unitaria dell’“universo teologico pagano”. Questa sistemazione teorica del complesso delle credenze, dei rituali e dei simboli del politeismo greco-romano fu da Giuliano realizzata nella sua vasta opera letteraria – in prosa e versi – che fa di lui un imperatore del tutto particolare, animato da profondi interessi culturali(19). Il termine “Galilei” con cui Giuliano, nei suoi scritti, appellava i Cristiani, aveva una chiara accezione spregiativa, proprio come quello di “pagani” – campagnoli, rustici, villani – utilizzato dagli avversari dell’imperatore, per designare i fautori della religione di stato. L’appellativo di “Galilei” derivava dall’omonima regione palestinese, ubicata a nord della Giudea propriamente detta e dove si trovava Nazareth, villaggio da cui proveniva la famiglia di Gesù(20). Si ricordi, inoltre, che i Cristiani avevano cominciato ad essere chiamati così – e non più “Galilei” o “Nazareni” – proprio dai pagani, ad Antiochia, come riferisce il Nuovo Testamento(21). Partendo da una posizione neoplatonica ed enoteista, Giuliano riteneva gli dei greco-romani e delle singole stirpi ricomprese nell’impero – gli dei etnarchi – l’esito di un processo di progressiva generazione divina che, partendo dal principio unico generatore dell’universo – Dio – entità assolutamente trascendente, assimilato anche ad Helios-Apollo e a Mitra, degradava verso il basso, per successive e progressive emanazioni teofaniche – Intelletto Universale, Anima Universale, Dei Etnarchi – per giungere ai demoni, alla materia terrestre e al genere umano. Ogni religione – sosteneva Giuliano, ragionando da romano – era espressione del Mos Maiorum, ovvero del complesso delle tradizioni degli antenati e delle singole stirpi che popolavano l’impero e, dunque, non si poteva pretendere di abolirla – come suggerivano i Cristiani – senza profanare l’eredità dei padri e degli antiqui mores(22). Gli dei andavano onorati per la prosperità dello stato, con la celebrazione dei riti e delle antiche preghiere, e attraverso le pratiche teurgiche (23). Il cristianesimo, per il suo proselitismo universalistico e la sua intolleranza monoteista verso ogni altra forma di culto, appariva a Giuliano come una fede spregevole e socialmente sovversiva degli equilibri interni alle varie etnie dell’impero. Secondo Giuliano, i Cristiani, con il loro disprezzo per ogni culto e tradizione etnica, in nome di un malsano proselitismo cosmopolita che pretendeva di azzerare tradizioni secolari, apparivano come una sorta di animale polimorfo – ibrido – oltre che socialmente pericolosissimo, che andava se non distrutto, quantomeno messo in condizione di non nuocere(24). Inoltre, per colpa di Costantino, i Cristiani avevano acquistato troppo potere, diventando un vero e proprio stato nello stato, e ciò l’impero non poteva tollerarlo, pena la sua distruzione. La mancata venerazione degli dei – cosa che i Cristiani propagandavano – avrebbe causato la fine della pax deorum -del favore divino per l’impero – e, con esso, la fine di Roma. L’attaccamento alla tradizione e al culto dei padri spinse l’imperatore a simpatizzare persino col giudaismo, da lui considerato “religione etnica” – per la veneranda antichità del culto e delle Scritture ebraiche –e per l’attaccamento dei Giudei – avversari dei Cristiani – alle tradizioni dei padri. La logica che presiedeva alla politica dell’imperatore era chiara: favorire il giudaismo significava contrapporre ai cristiani un monoteismo più antico e – secondo l’Augusto – più nobile e prestigioso. Quello che colpiva Giuliano del giudaismo era la natura “etnica” – avversa a forme di proselitismo universalistico come il cristianesimo – e in cui rinveniva una forte affinità col “paganesimo”(25). E proprio in omaggio al dio giudaico che, come le altre divinità, Giuliano comprendeva nella categoria delle divinità etnarchiche, l’imperatore promosse la ricostruzione del tempio di Gerusalemme -distrutto da Tito nel 70 d. C. – oltre che per smentire la profezia, formulata da Cristo nei Vangeli, sulla sua distruzione(26). Tuttavia, questa iniziativa – affidata all’architetto Alipio di Antiochia – non fu portata a termine a causa di alcuni terremoti che devastarono la Palestina. Dal punto di vista legislativo e amministrativo, Giuliano non scatenò alcuna persecuzione cruenta contro il cristianesimo- che non fu messo fuorilegge – ma si limitò a colpirne gli interessi economici e politici, privando le gerarchie ecclesiastiche dei privilegi fiscali e giurisdizionali di cui avevano goduto dall’epoca di Costantino, come le esenzioni fiscali su beni e persone ecclesiastiche, il diritto del clero di essere giudicato da propri tribunali, ovvero il diritto dei tribunali vescovili di emanare sentenze nelle controversie tra laici- episcopalis audientia – il diritto delle chiese di ricevere eredità e donazioni, quello dei vescovi di servirsi del servizio di posta imperiale – cursus publicus – e, infine, il riconoscimento del giorno di festa cristiano – la domenica – come giorno festivo per tutto l’impero(27). Durante il principato giulianeo è, infatti, registrabile un solo caso di martirio cruento, quello di Iuventino e Massimo, due ufficiali della guardia imperiale cristiani mandati a morte, però, con l’accusa di cospirazione. Con i provvedimenti di Giuliano, la Chiesa tornò ad essere l’istituzione che era stata prima di Costatino I, una semplice associazione privata, priva del supporto del potere pubblico romano, e l’imperatore dispose anche la riapertura dei templi – chiusi sotto Costanzo II – ed il loro restauro, con la ripresa dei sacrifici cruenti(28). L’unica misura veramente coercitiva contro i Cristiani – ma dotata di una sua intrinseca ratio – fu il provvedimento di allontanamento dalle scuole pubbliche dei maestri “galilei” e, soprattutto, dall’attività d’insegnamento della grammatica e della retorica, dal momento che – come precisò in una delle sue Lettere l’imperatore – non era concepibile che uomini che disprezzavano i culti di stato insegnassero, manipolandola a loro piacimento, la “letteratura classica”, permeata dalla spiritualità greco-romana. Era meglio – sosteneva l’imperatore – che i Cristiani leggessero ed insegnassero i Vangeli o gli Atti di Luca, ma non Virgilio, Tacito, Omero o Platone! I Cristiani, quindi, potevano continuare a frequentare le scuole pagane, pur non potendo più insegnarvi, e potevano continuare a svolgere attività didattica in scuole proprie, studiando e commentando i testi della loro religione, ma non quelli delle altre. Giuliano, infatti, riteneva la paideia greco-romana – e l’ideale antropologico che essa propugnava – assolutamente inconciliabili con l’etica cristiana. Pertanto, o il Mos Maiorum o Cristo, tertium non datur! Libertà di culto, anche pubblico, ma rispetto per i principi basilari della Res Publica Romanorum! La vera novità della politica dell’imperatore in materia religiosa, però, fu il tentativo di edificare una vera e propria “chiesa pagana” anche sotto il profilo istituzionale, cioè di corroborare la romana religio non solo con un apparato concettuale ed ideologico chiaro, ma an
che con una solida e ramificata struttura organizzativa, anche prendendo a modello la gerarchia degli uffici ecclesiastici! Prendendo a modello la Chiesa istituzionale, infatti, Giuliano tentò di organizzare su base gerarchica gli uffici sacerdotali pagani, ponendo al vertice degli stessi l’imperatore – in qualità di pontifex maximus – e alla base, in progressione, i sacerdoti provinciali e quelli cittadini che sovraintendevano al culto degli dei nelle province e nelle singole città. Incoraggiò anche la fondazione di ospedali, nosocomi e xenodochi “pagani”, al fine di sottrarre ai Cristiani il monopolio dell’assistenza sociale agli indigenti, e incoraggiò i suoi sostenitori ad essere sempre uomini di specchiata moralità, perché solo il buon esempio, corroborato da una morale severa ed austera, poteva creare una barriera alla rovina del “paganesimo”. In una prospettiva di tolleranza generale, Giuliano ordinò di revocare le sanzioni – esilio, carcere, confisca dei beni – che i suoi predecessori avevano erogato a danno di eretici e scismatici cristiani, per avvantaggiare la Chiesa ortodossa. In tal modo, l’imperatore si guadagnò la simpatia di donatisti, ariani e gnostici, fino ad allora perseguitati dal potere politico, ma ciò contribuì a creare maggiore conflittualità e divisioni all’interno della Chiesa, indebolendone le istituzioni, il che andava nella direziona auspicata dall’imperatore(29). Morto l’imperatore, questa politica fu ovviamente abbandonatae il cristianesimo ripristinato nella pienezza dei suoi poteri e delle sue forme. La Restauratio religiosa di Giuliano non può, in ogni caso, essere considerata il frutto esclusivo del suo pensiero e della sua azione politica. Non bisogna assolutamente dimenticare, infatti, che nell’opera di contrasto al cristianesimo, Giuliano poté avvalersi dell’opera di collaboratori fedeli e “ideologicamente” motivati, che appoggiarono la sua politica e, spesso, ne furono anche gli ispiratori. Molti di questi “ideologi” furono anche suoi amici fin dal tempo del comando in Gallia(30). Tra loro bisogna ricordare Secondo Sallustio (†367ca.), prefetto del pretorio d’Oriente (361-363), forse di origine gallica che, alla morte di Giuliano, fu anche acclamato imperatore, declinando, però, l’offerta delle truppe. Sallustio si rivelò un funzionario scrupoloso ed efficiente, ma anche valido studioso e filosofo. Infatti, fu autore di un’opera scritta in greco -Gli Dei e il Mondo – pervasa di spunti neoplatonici, in cui sintetizzava – sotto il profilo etico, cosmologico e teologico – le idee ispiratrici del “paganesimo”giulianeo. L’opera di Sallustio può essere definita, a buon diritto, il “catechismo ufficiale” della restaurazione religiosa di Giuliano. Accanto a Sallustio, bisogna ricordare anche il retore e filosofo neoplatonico Massimo di Efeso (†372), autore di commentari neoplatonici, maestro spirituale di Giuliano – che ne seguì, in gioventù, le lezioni a Pergamo – e che Giuliano volle a corte, una volta divenuto imperatore, come consigliere. Accanto a Massimo fu una figura di rilievo anche il retore siriano Libanio d’Antiochia (†393), docente a Nicomedia, Atene, Costantinopoli e, infine, nella sua stessa patria. Libanio fu autore di numerose Epistole e Discorsi. Tra quest’ultimi sono da ricordare l’Epitaffio in onore di Giuliano e il Discorso in difesa dei templi, indirizzato all’imperatore Teodosio I, in cui denunciava la prepotenza dei monaci cristiani, saccheggiatori e devastatori dei templi pagani. Da ricordare, infine, sono anche i retori Imerio di Prusa (†390) e Temistio (†388), che tenevano scuola a Costantinopoli, e che di Giuliano furono maestri e consiglieri. Entrambi nativi dell’Asia Minore e autori di Discorsi, nonostante il loro “paganesimo” furono destinati a grande fortuna anche sotto i successori di Giuliano. Basti pensare che il cristianissimo Teodosio designò Temistio prefetto di Costantinopoli (384) (31).
V) La campagna contro i Persiani e la morte di Giuliano.
Nell’inverno del 362, Giuliano si fermò ad Antiochia, in Siria, dove iniziarono a convergere le truppe – 60000 uomini circa – per la grande spedizione contro i Persiani. Probabilmente, l’imperatore intendeva emulare Alessandro il Macedone (356-323 a. C.) o, comunque, realizzare una grande impresa militare che lo rendesse pari ai suoi modelli: Giuliano intendeva recuperare le cinque satrapie orientali – perdute da Costanzo II nel 359 – e le piazzeforti di Amida, Nisibi e Singara. La permanenza ad Antiochia non fu piacevole, perché l’imperatore fu oggetto delle ribellioni e del sarcasmo degli abitanti, che mal tolleravano la sua politica anticristiana. Infatti, quando Giuliano dispose che dal tempio di Apollo – ubicato nel sobborgo di Dafne e da tempo trasformato in chiesa – fossero rimosse le spoglie di alcuni martiri cristiani, scoppiò un tumulto e alcuni monaci diedero alle fiamme l’edificio. Con grande dispiacere di Giuliano, i sacrifici nei templi andarono deserti e iniziò a circolare voce che se si continuavano ad ammazzare tanti buoi per le divinità, alla fine non si ci sarebbe stata più carne da mangiare (32). Comunque, nel marzo del 363, la spedizione ebbe inizio(33). L’imperatore, affiancato da un ottimo stato maggiore comprendente i migliori generali dell’impero – Nevitta, Arbizione, Gioviano, Procopio – aveva previsto l’invasione della Mesopotamia ad opera di due colonne, una proveniente dal fronte siriano – al suo comando – e l’altra, dal fronte armeno, guidata dal generale Procopio che era anche un suo parente. L’impresa, però, volse subito al peggio, perché al caldo opprimente e alla mancanza di adeguati vettovagliamenti, si aggiunse la “terra bruciata” messa in atto dai Persiani che, davanti all’avanzata romana, si ritiravano sempre più a est, evitando di dare battaglia e molestando i Romani con la guerriglia. Ad un certo punto Giuliano, forse per accelerare la marcia delle truppe, o per evitare che le navi cadessero in mani nemiche, decise di incendiare la flotta che stazionava sul Tigri – circa 2000 imbarcazioni – ma che era utile per i rifornimenti e per mantenere i contatti con le retrovie del fronte, che si spostava sempre più a oriente. L’imperatore riuscì ad espugnare e a saccheggiare Ctesifonte e Seleucia – le capitali persiane – senza riuscire a catturare il re e il tesoro di stato. Pertanto, in estate, decise di ripiegare a ovest, risalendo il corso del Tigri, ma a Maranga, nel corso di una scaramuccia con l’esercito persiano, il 26 giugno del 363, fu colpito da un giavellotto e, ferito gravemente, morì il giorno dopo(34). Si fece subito strada l’ipotesi – mai provata – che a scagliare la lancia fosse stato un soldato romano di fede cristiana, deciso a vendicare i suoi correligionari per le vessazioni provocate dalla politica dell’imperatore che – narra la leggenda – in punto di morte avrebbe esclamato: ‹‹viciste, Galilee››, ovvero‹‹hai vinto, Galileo››. Si trattava di una palese ammissione – al momento del trapasso – della sconfitta della sua politica e della vittoria di Cristo. Morto Giuliano, le truppe elessero un nuovo imperatore, Flavio Gioviano (363-364), di origine illirica, tribuno membro della guardia palatina e cristiano. Il nuovo Augusto concluse una pace ignominiosa con i Persiani: l’impero accettò di pagare alla Persia un tributo annuale e a cedere, definitivamente, i cinque distretti oltre l’Eufrate, lungo il quale fu fissata la frontiera tra i due stati. Il corpo di Giuliano fu tumulato a Tarso, in Cilicia, sulla strada del ritorno dell’esercito a Costantinopoli(35). Pochi anni dopo – ma non si hanno certezze in tal senso – il corpo fu tumulato a Costantinopoli, nel mausoleo costantiniano annesso alla chiesa dei SS. Apostoli, dove riposava anche Costanzo II. Gioviano e i suoi successori si affrettarono a sconfessare la politica anticristiana di Giuliano, abolendone la legislazione, chiudendo i templi e ripristinando le libertà della Chiesa. Infine, nel febbraio del 380, l’imperatore Flavio Teodosio I (379-395) emanò, a Tessalonica, un editto – Cunctospopulos – rivolto a tutti i popoli dell’impero. Con il provvedimento, l’Augusto proibiva ufficialmente il culto pagano, disponendo la chiusura dei templi, la loro distruzione o conversione in chiese cristiane, l’abolizione dei sacrifici agli dei, sotto minaccia di gravi sanzioni per i contravventori. Il cristianesimo, nella versione professata dal vescovo di Roma – Damaso (366-384) – fu imposto come unica religione di stato e il “politeismo greco-romano” non fu più considerato religio licita. Nello stesso torno di tempo, il collega di Teodosio in Occidente, Graziano (367-383), ne recepiva la normativa e ordinava la rimozione dall’atrio della curia senatoria – atrium Libertatis – a Roma, della statua della Vittoria. Il simulacro era stato posto lì da Cesare Augusto, nel 27 a. C., a simboleggiare che la grandezza e potenza dell’Urbe erano dovute, essenzialmente, alla pax deorum, ovvero al culto dei suoi dei. Così, alla fine del IV secolo – nonostante la tragica grandezza del tentativo di restaurazione giulianeo – gli equilibri politici si erano modificati a favore del cristianesimo a tal punto che si poteva affermare che i tanto disprezzati “Galilei” avevano definitivamente trionfato sull’antico culto di stato(36).
Note:
1 – In generale, sulla figura di Costantino I, J. Burckhardt, L’età di Costantino, Firenze 1957, A. Cameron, Il tardo impero romano, Bologna 1995, A. Marcone, Costantino il Grande, Bari 2000, F. Prinz, Da Costantino a Carlo Magno. La nascita dell’Europa, Roma 2004.
2 – La nuova politica di tolleranza favorì anche l’edificazione di nuovi edifici di culto cristiani e il riadattamento di edifici precedenti – in genere templi – agli usi sacri imposti dalla nuova religione. Le città diventarono il fulcro dell’organizzazione ecclesiastica, basata sulla diocesi e sulle sue ripartizioni interne comele parrocchie. La diocesi era l’organizzazione di base per l’inquadramento dei fedeli, per l’amministrazione dei sacramenti e per ogni adempimento liturgico. Il clero era articolato in una gerarchia di uffici: al vertice, il vescovo o arcivescovo, a seconda che fosse preposto o non ad a una metropoli ecclesiastica, ovvero ad una provincia comprensiva di più diocesi suffraganee, subordinate al metropolita. Al di sotto dei vescovi stavano i presbiteri e i diaconi, questi ultimi con funzioni di assistenza ai vescovi e ai presbiteri, e con mansioni di tutela del patrimonio ecclesiastico e di assistenza ai bisognosi. Seguivano i suddiaconi, gli ostiari, gli esorcisti, i lettori e gli accoliti – che appartenevano agli ordini minori – il grado più basso della gerarchia, con compiti di assistenza liturgica degli ordini maggiori. Il conferimento degli ordini spettava al vescovo, che era scelto dal clero della diocesi, escludendo il popolo, che si limitava ad approvare per acclamazione. L’elezione del vescovo era al centro di importanti trattative tra i ceti dirigenti della città e i vertici del potere politico, generalmente l’imperatore o i suoi rappresentanti. Una volta eletto, il vescovo suffraganeo era consacrato dal proprio metropolita, mentre il metropolita era consacrato da almeno tre vescovi della propria metropoli. Nel IV secolo, l’organizzazione complessiva della Chiesa fu ancora collegiale, ovvero basata sull’accordo dei vescovi, espresso in sede sinodale, mentre il vescovo di Roma – il papa – conservava solo un primato morale, ma non giurisdizionale, conferitogli dal prestigio della sua diocesi che ospitava le reliquie di Pietro e Paolo, principi degli apostoli. Per questi aspetti istituzionali di storia ecclesiastica, J. Lorz, Storia della Chiesa, vol. I, Antichità e Medioevo, Roma 1987.
3 – Giulio Costanzo e Flavio Dalmazio erano fratellastri di Costantino, in quanto figli del secondo matrimonio di suo padre, Costanzo Cloro (†306), con Teodora (†306ca.), figlia del tetrarca Valerio Massimiano (†308). Costantino, com’è noto, era figlio, forse illegittimo, di Costanzo Cloro e di una locandiera della Bitinia, Elena (†336), poi venerata come santa dalla Chiesa. Costanzo Cloro lasciò Elena per volere dell’imperatore Diocleziano (284-305),al fine di sposare Teodora.
4 – Costantino II fu ucciso nel 340, ad Aquileia, dopo essere stato sconfitto dal fratello, Costante, che si impossessò della sua parte d’impero. Nel 350, Costante fu a sua volta assassinato in Gallia da un usurpatore, il magistermilitum Flavio Magno Magnenzio, che fu poi ucciso da Costanzo, nel 353.
5 – Per questi aspetti genealogici sui Costantinidi si veda, J. Bidez, Vita di Giuliano imperatore, Rimini 2004.
6 – Sull’humus filosofico in cui crebbe e fu educato Giuliano, M. C. De Vita, Giuliano imperatore filosofo neoplatonico, Milano 2011.
7 – Una parte dei Franchi era già da tempo stanziata in Gallia come foederati (298ca.), lungo il basso corso del fiume Reno, nei territori corrispondenti, approssimativamente, all’odierna Olanda, Belgio e Renania inferiore. I Franchi erano divisi in due grandi raggruppamenti tribali, a carattere confederale, i Franchi Sali e i Franchi Ripuari – ciascuno con propri re – derivanti dall’accorpamento politico e militare di alcune tribù preesistenti – Sugambri, Catti, Catruari, Usipeti, Tencteri, Gambrivi – precedentemente stanziate sulla riva destra del Reno, lungo il suo corso inferiore e medio. Gli Alemanni o Alamanni, invece, erano una grande confederazione di tribù germaniche – Quadi, Marcomanni, Suebi – come sembra suggerire il nome stesso – Allmanner, tutti gli uomini – ed erano stanziati tra l’alto corso del Reno e del Danubio, negli attuali Baden e Wurttemberg, nella vallata del fiume Neckar e nel territorio della Foresta Nera. Da lì minacciavano il territorio romano. Gli Alemanni avevano occupato i preesistenti Agri Decumates, conquistati, nel I secolo d. C., dall’imperatore Domiziano (81-96). Gli Agri svolgevano la funzione di “cuscinetto” di protezione delle province romane ubicate a destra del Reno – Gallia, Germania inferiore e superiore – e a sud del Danubio (Rezia, attuale Svizzera e Austria occidentale). Sul punto, E. James, I Franchi. Gli albori dell’Europa. Storia e mito, Genova 1998.
8 – Il rapporto di Giuliano con la moglie Elena è, in realtà, poco conosciuto. Da scartare come pettegolezzi di corte sono le illazioni dei detrattori di Giuliano, secondo i quali il futuro imperatore avrebbe avuto come amante Eusebia, moglie del cugino, e che, a questa relazione, sarebbe da collegare la sua ascesa al potere. Sta di fatto che la relazione con Elena – a quanto è dato di sapere – fu l’unica relazione sentimentale che Giuliano ebbe nel corso della sua vita. Elena – che era anche cugina di Giuliano e sorella di Costanzo – sposò il Cesare nel 355, al momento del conferimento del comando in Gallia, per consolidare il rapporto tra il nuovo comandante e la dinastia regnante. L’assenza della sposa anche dall’epistolario giulianeo e le scarsissime informazioni che gli autori antichi forniscono sulla coppia, sembrerebbero confermare la natura esclusivamente “politica” di quel rapporto che, tra l’altro, non fu neanche consolidato dalla nascita di figli. L’unica gravidanza di Elena, nel 356, si concluse, infatti, con un aborto. Nel 360, a soli cinque anni dal matrimonio, l’Augusta morì di malattia, e Giuliano non si risposò, restando celibe fino alla morte, nel 363. La totale assenza di donne – persino “amiche” o “amanti” – nella vita di Giuliano, ha fatto parlare di una sua presunta “omosessualità”, ma gli elementi sulla base dei quali formulare tale giudizio sono del tutto assenti e sarebbe meglio, forse, parlare di una “frigidità” naturale del Cesare, dovuta sia alla tragica esperienza personale vissuta da ragazzo, sia ad una sua probabile anaffettività o indifferenza al sesso femminile, determinate dall’eccessivo carico di incombenze politico-militari, ma anche dagli svariati interessi intellettuali – i suoi amici più stretti furono esclusivamente uomini – tradottisi in una produzione letteraria non indifferente.
9 – Silvano, a dispetto del nome “latino”, era un franco, figlio del magister militum Bonito.
10 – All’epoca di Giuliano, gli Alemanni costituivano una confederazione potentissima governata da un re – Cnodomario – cui erano subordinati cinque subreguli e ben venti principes – capi aristocratici – secondo una gerarchia oltremodo elastica, ma efficace.
11 – Per la situazione politico-militare della prefettura Gallica, nel IV secolo d. C., S. Mazzarino, L’impero romano, vol. II, Roma- Bari 2010.
12 – V. Marotta, Il potere imperiale dalla morte di Giuliano al crollo dell’impero d’Occidente, in Storia di Roma, vol. III, Torino 2003.
13 – Per le campagne militari di Giuliano in Gallia si veda, T. Gnoli, Le guerre dell’imperatore Giuliano, Bologna 2015.
14 – Sulla situazione economico-sociale generale del Tardo Impero, A. Cameron, Un impero due destini. Roma e Costantinopoli fra il 395 e il 600, Genova 1996.
15 – Per la politica di Giuliano in campo economico-sociale si veda, S. Rossetto, L’ultimo Pagano. Vita dell’imperatore Giuliano, Rimini 2013.
16 – Sul punto, A. H. Jones, Il tardo Impero romano, vol. I, Milano 1973.
17 – Sul punto, P. Brown, Il mondo tardo antico. Da Marco Aurelio a Maometto, Torino 1974.
18 – Molte delle iniziative politiche giulianee, oggi, figurerebbero bene nel programma di un partito politico dichiaratamente “populista”!
19 – Giuliano fu uno scrittore infaticabile e prolifico. Tra i suoi scritti spicca il trattato in tre libri Contro i Galilei – non pervenutoci in originale – ma ricostruibile dalla confutazione che ne fece il patriarca di Alessandria, Cirillo (412-444), nel suo Contra Iulianum. A quest’opera sono da aggiungere l’Epistolario – Le Lettere – tra cui sono da ricordare quella indirizzata Al senato e al popolo di Roma, incui annunciava la sua proclamazione a imperatore – e le Orazioni, tra le quali due furono dedicate ad argomenti religiosi, ovvero la Ad Helios sovrano e Alla Madre degli dei. Da ricordare anche l’opera satirica I Cesari, in cui Giuliano passava in rassegna l’operato di tutti gli imperatori suoi predecessori a partire da Augusto, immaginando un banchetto voluto da Romolo, in occasione della festa dei Saturnali, durante il quale si discuteva su chi fosse stato il migliore di essi. La corona del vincitore andava -secondo Giuliano – a Marco Aurelio (161-180), ovvero all’ “imperatore filosofo”, seguace dello stoicismo e duro persecutore dei Cristiani. Dall’opera usciva molto male la figura di Costantino – zio di Giuliano e primo imperatore cristiano – e, in questo ruolo, sprezzante del culto degli dei. Tra le opere di Giuliano sono da ricordare anche alcune orazioni encomiastiche, come l’Elogio all’imperatore Costanzo, e alcune di taglio filosofico, come Sul Regno. Da menzionare, infine, l’opera satirica L’Odiatore della barba, indirizzata da Giuliano agli Antiocheni, responsabili di aver deriso il look barbuto dell’imperatore, poco adatto – secondo i canoni dell’epoca – ad un sovrano, ma semmai ad un filosofo o a un monaco cristiano!
20 – Si badi che gli appellativi di “pagano” e “politeista”, per indicare gli appartenenti alla religione ufficiale dell’impero romano – quella greco-romana – sono assolutamente impropri e fuorvianti, oltre che dispregiativi. L’uso di tale terminologia è frutto della pubblicistica apologetica cristiana del III-IV secolo e, prima di essa, di quella giudaica. Nessun “pagano” o “politeista”, infatti, si sarebbe definito come tale, ma avrebbe preferito altri termini per indicare se stesso e la propria fede religiosa, come homo pius e religio.
21 – Atti degli Apostoli 11,26.
22 – Sulla “polemica” giulianea contro i Cristiani, E. Wipszycka, Storia della Chiesa nella Tarda Antichità, Milano, 2000.
23 – La teurgia – molto praticata nei circoli neoplatonici o tra gli adepti dei culti misterici – era un insieme di pratiche magiche che, attraverso l’esecuzione di complessi rituali verbali e gestuali, aveva la finalità di “imbrigliare” l’energia divina in un essere umano, realizzando una sorta di osmosi tra spirito e materia, o nel simulacro della divinità che, animandosi, dispensava miracoli o responsi.
24 – Una sorta di sostenitori della “globalizzazione religiosa” ante litteram.
25 – Il cristianesimo nacque, fin dalle origini, come “eresia” del giudaismo, religione caratterizzata da una precisa identificazione etnica e da scarsa vocazione proselitistica. Basti pensare al fatto che l’“identità ebraica” – secondo i precetti talmudico-rabbinici – fu ed è determinata, innanzitutto, dal “sangue”, cioè dalla discendenza biologica in linea matrilineare – ciò in base al noto principio mater certa, pater numquam – e non dalla semplice adesione ad una pratica cultuale. Ovviamente, nella storia del “popolo eletto”, non sono mancati casi di conversione di “gentili” al giudaismo, quello che è mancato, invece, è stata un’attività proselitistica organizzata e metodica, rinvenibile, invece, nella storia degli altri due monoteismi abramitici, cioè cristianesimo ed islàm. D’altronde, un’intensa attività proselitistica avrebbe potuto rivelarsi un danno per una stirpe che mirava alla preservazione della propria “identità” etnoculturale, soprattutto tra le comunità della Diaspora che vivevano a contatto con genti straniere ed ostili, praticando, pertanto, una ferrea endogamia etnica.
26 – Per i rapporti tra Giuliano e gli Ebrei, M. Spinelli, Giuliano l’Apostata. Anticristo o cercatore di Dio?, Fidenza (PR) 2017.
27 – Sui privilegi ecclesiastici, G. M. Vian, La donazione di Costantino, Bologna 2004.
28 – Nel 356 – a quanto sembra – Costanzo II promulgò anche un editto che decretava la chiusura dei templi, con il divieto di sacrificare agli dei.
29 – La tolleranza costantiniana, infatti, favorì il proliferare dei dibattiti teologici che, a partire dal IV secolo, furono sempre più frequenti e riguardarono, soprattutto, l’interpretazione della natura di Cristo. Le eresie e gli scismi, quindi, iniziarono a proliferare. Tra le eresie più note di questo periodo, sono da ricordare l’arianesimo e il donatismo. Il primo, un’eresia trinitaria nata ad opera del presbitero egiziano Ario (†336), negava la piena divinità del Verbo divino – seconda persona della Trinità – considerato “creatura” del Padre creata nel tempo, e, quindi, non consustanziale a Dio e non pienamente divina. L’arianesimo fu condannato nel concilio ecumenico di Nicea, nel 325, convocato proprio da Costantino I. Nel IV secolo, infatti, divenne prassi abituale degli imperatori intervenire nelle vicende interne alla Chiesa, convocando sinodi ecclesiastici e imponendo il proprio punto di vista anche in materia di fede, al fine di combattere l’eresia e contrastare, così, la divisione dell’“inconsùtile tunica di Cristo”. Tra le eresie nate nel IV secolo, si ricordi anche il donatismo – condannato definitivamente nel sinodo di Cartagine del 411 – nato e diffusosi nell’Africa romana e, in seguito, sfociato in un vero e proprio scisma. Il donatismo prese nome dal vescovo africano Donato (†355), propugnatore dell’idea della “validità soggettiva” dei sacramenti, secondo cui l’efficacia degli atti sacramentali non dipendeva dalla corretta esecuzione del rito, ma dall’ortodossia e dall’integrità morale dell’officiante e del fedele cui erano impartititi. Sull’organizzazione ecclesiastica nel IV secolo e, più in generale, sulla teologia e la cultura cristiana del Tardo Impero, P. Brown, Potere e Cristianesimo nella Tarda antichità, Roma-Bari 1995, L. De Giovanni, Chiesa e stato nel codice teodosiano. Saggio sul libro XVI, Napoli 1980.
30 – E’ indubbio che, nella formazione del pensiero di Giuliano verso i Cristiani, abbia inciso, oltre l’esperienza personale, anche la lettura di due importanti scritti di feroce critica alla nuova religione, sia sotto l’aspetto socio-politico che dogmatico, ovvero il Discorso veritiero del pagano Celso, filosofo vissuto nel II secolo, e il Contro i Cristiani, di Porfirio di Tiro, discepolo di Plotino.
31 – Sono anche da ricordare Oribasio da Pergamo (†403), medico personale di Giuliano e autore di un’enciclopedia medica, l’Isagoge, il retore gallico Claudio Mamertino, autore di un Panegirico in onore diGiuliano, composto in occasione della sua nomina a console (362), lo storico africano Sesto Aurelio Vittore (†390ca.), praefectus Urbi e autore del De Caesaribus, e, infine, Ammiano Marcellino di Antiochia (†397), magister militum in Gallia e durante la campagna persiana. Ammiano fu anche storico, autore delle Historiae – scritte in latino – pervase da una visione politica dell’impero conservatrice e pagana, ma equilibrata e aliena da eccessi, ostile tanto al cristianesimo che ai barbari.
32 – E’ in questa situazione di tensione, ad Antiochia, che l’imperatore scrisse l’opera satirica L’Odiatore della barba,
33 – Sulla campagna contro i Persiani si veda, R. Rémondon. La crisi dell’impero romano. Da Marco Aurelio ad Anastasio, Milano 1975.
34 – Per i rapporti tra Roma e i Persiani, sotto il profilo militare, G. Cascarino – C. Sansilvestri, L’esercito romano. Armamento e organizzazione. Dal III sec. alla fine dell’Impero d’Occidente, Rimini 2009.
35 – Sulla tomba fu posta un’epigrafe: ‹‹Dalle rive del Tigri impetuoso, Giuliano è venuto a riposare qui, buon sovrano e valoroso guerriero››.
36 – La fedeltà agli antichi culti e al Mos Maiorum – che aveva guidato la politica di Restauratio di Giuliano – sopravvisse, in gran parte, all’interno dei circoli dell’aristocrazia romana, fino alla fine dell’impero d’Occidente nel 476 d. C. Tra gli esponenti di punta, in questa battaglia di preservazione degli antichi culti, si distinse, senz’altro, Quinto Aurelio Simmaco (†402), retore, filosofo e ufficiale pubblico. Simmaco fu praefectus urbi, nel 384, e console nel 391. Cercò di difendere gli antichi “culti pagani” contro i tentativi autoritari di sopprimerli, messi in atto prima dall’imperatore Graziano e, poi, da suo fratello, Valentiniano II (375-392). Quest’ultimo, confermando una decisione già assunta dal fratello, rimosse la statua della dea “Vittoria” dall’atrium Libertatis della curia romana, la sede in cui avvenivano le riunioni del senato nel Foro. Simmaco non riuscì a persuadere l’imperatore a ricollocare la statua al suo posto, anche perché, nella disputa, intervenne il vescovo di Milano, Ambrogio (374-397), minacciando Valentiniano di severe sanzioni ecclesiastiche, tra cui la scomunica. Il tentativo del “paganesimo” romano di sopravvivere, con coraggio, all’affermazione violenta della fede cristiana, culminò, nel 392, nell’assassinio di Valentiniano II, ad opera del magister militum franco, Arbogaste, e nell’elezione di un nuovo imperatore, il retore pagano di origine gallica Eugenio. Questa usurpazione provocò l’immediata reazione di Teodosio I che, nel 394, nella battaglia del Frigido – attuale Vipacco, affluente dell’Isonzo – annientò le forze dei ribelli e, con esse, una fetta consistente della nobilitas senatoria che si era schierata dalla parte degli antiqui mores (basti ricordare figure come VirioNicomaco Flaviano, praefectus praetorio). G. A. Cecconi, La città e l’impero. Una storia del mondo romano dalle origini a Teodosio il Grande, Carocci, Roma 2009.
Tommaso Indelli,
assegnista di Storia Medievale, Università degli Studi di Salerno.