8 Ottobre 2024
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Gli Eroi di Carlyle: l’antitesi antropologica del nostro tempo – Giovanni Sessa

L’uomo senza Tradizione, vacuo, che spende la propria vita nel vuoto presente del consumo e della mercificazione universale, lo incontriamo ogni giorno. Perso nei suoi pensieri sulle metropolitane, o durante le passeggiate nei non-luoghi dei centri commerciali, templi della religione consumistica dominante. Di fronte al suo regno incontrastato, nell’età dell’estremo nichilismo che, in modo fantasmagorico, trasforma il deserto in ultima Dimora, pochi si interrogano su una possibilità di esistenza diversa dall’attuale. A tale sparuto manipolo, che osa ancora porre domande sconvenienti, fa positiva eco un volume, da poco pubblicato dalla OAKS editrice, che può essere considerato un classico in argomento. Si tratta del capolavoro di Thomas Carlyle, Gli Eroi (per ordini: info@oakseditrice.it, euro 20,00). Il volume è aperto dall’interessante introduzione di Luigi Iannone, mirata alla contestualizzazione storica del testo e alla presentazione della biografia intellettuale dell’autore.

Carlyle fu intellettuale eclettico, saggista, storico e letterato di vaglia, legato simbioticamente al romanticismo politico e, per questo, in qualità di erudito e di curiosum tipicamente ottocentesco, ebbe inscritto in sé il tratto geniale ma contraddittorio, che si evince dalle sue opere. Collerico e dall’animo vulnerabile, soggetto a frequenti cambiamenti d’umore, metteva in difficoltà, fin d

al primo approccio gli interlocutori. Il suo obiettivo teorico era però estremamente chiaro: giungere ad una descrittiva organica e precisa della società del suo tempo per individuare delle alternative ad essa. Per questa ragione venne definito «il grande censore dell’Epoca presente»: andava sviluppando, infatti, una seria critica della Rivoluzione e della filosofia dei Lumi. Scelse, per tale estraneità allo spirito del tempo, di vivere isolato in una fattoria nella campagna del Dumfriesshire, assieme alla moglie Jane Welsh, adusa alla frequentazione dei salotti più ricercati. Cinque anni più tardi si trasferì a Londra, dove pubblicò il Sarto rappezzato e la Storia della Rivoluzione francese. Nel primo libro, muovendo da una storia degli abiti, lo scrittore «opera […] una ricognizione sulla nuova epoca del macchinismo e dell’industrialismo […] che investiva la foggia esteriore, […] ma anche gli ‘abiti interni’ di ogni singolo individuo» (p. 11).

In quelle pagine colse, tra i primi, i limiti della democrazia e l’irrealtà del mondo prodotto dall’industrialismo. Ebbe piena coscienza della crisi che allignava sotto i fuochi fatui del progresso, anche nella Magna Mater della modernità, l’ Inghilterra. Questo paese: «avrebbe dovuto trovare il modo di riportare al potere i più virtuosi» (p. 12), o un suo Lutero o Cromwell. Le nuove idee avrebbero dovuto essere arginate dal conservatorismo, altrimenti lo ‘spirito meccanico’, imposto dai nuovi ritmi produttivi, si sarebbe impossessato, come ricorda Iannone, non solo della mano degli uomini, ma anche dei loro cuori. La tecnica rappresentava agli occhi di Carlyle il volano della modernità, se non arginata, si sarebbe impadronita anche della volontà degli uomini, assoggettandoli. Imbevuto di filosofia tedesca, lo studioso giunse ad una visione del mondo difficilmente inquadrabile nelle categorie politiche consuete. La definizione più acconcia da attribuire alla sua opera è di essere un prodotto dell’antimodernismo, sia pure sui generis. Al centro della sua visione delle cose, va posta la teoria che lo ha reso celebre, quella del ‘grande uomo’.

A suo giudizio: «gli andamenti progressivi delle società umane sono considerati diretta derivazione dell’azione di un eroe» (p. 15). Nell’irrompere dell’eroe si mostra nel tempo il sovramondo, pertanto, come chiarisce l’articolazione dei sei capitoli del libro in questione, l’eroe può essere una divinità della mitologia nordica, un poeta come Dante o Shakespeare, un filosofo, un re, un uomo di grande fede. Fin qui le posizioni del pensatore scozzese paiono ricalcare i canoni teorici propri delle filosofie della storia del secolo XIX. L’elemento originale che contraddistingue le sue posizioni, crediamo debba essere individuato nello sforzo di sottrarre la propria concezione dallo scacco determinista delle visioni cicliche. Infatti, «lo scopo di ogni nuova epoca sarebbe proprio quello di riadattare in ‘una forma purificata, le vecchie ere, e appropriarsi di ciò che vi era di vero e non combustibile in esse’» (p. 16). Un eterno ritorno che implica la libera azione innovatrice degli uomini. Lo scozzese anticipa le posizioni novecentesche relative al possibile Nuovo Inizio della storia europea. Resta comunque, all’eroe di Carlyle, il crisma provvidenzialistico, nel senso che il corso degli eventi, prima o poi, si muoverà nella direzione da questi indicata.

Eroe per eccellenza è il Poeta. Questi profeticamente, come fu il caso di Dante, viene tra gli uomini per esplicitare la divina idea che muove le cose e sostanzia la vita, nel momento in cui essa è celata agli occhi dei più. Si evince, da tale tesi, il ruolo soteriologico del poetare, che verrà riproposto all’attenzione generale da Stefan George e dal suo Kreis, pochi decenni dopo la morte di Carlyle, avvenuta nel 1881. L’azione eroica deve esercitarsi su un ambiente storico ed esistenziale atto a recepire il messaggio: «Questo è il punto nodale: l’equilibrio e la consonanza tra l’eroe e un ambiente preparato ad un nuovo tempo» (p.18), chiosa Iannone. A questa condizione l’eroe può tornare a porre in forma il mondo, a trasformare il disordine in ordine. Può risultare interessante far rilevare che fu Nietzsche uno dei lettori più attenti e critici delle pagine de Gli Eroi. Il filosofo della volontà di potenza non poté che rimproverare a Carlyle il suo, forse involontario, affidamento fideistico nella lettura del fatto storico, egli è, in ultimo, scrisse il filosofo: «un ateo inglese che cerca il suo onore nel non esserlo» (p. 21). Al contrario, il momento religioso espresso dall’eroe, fu fortemente valorizzato da Ralph Waldo Emerson nel suo trascendentalismo, sostanziato dall’esaltazione dell’energia che pervade la natura. Il nostro Mazzini, nell’esilio inglese frequentò Carlyle e con lui condivise la critica dell’individualismo liberale, ma lo definì: «il più scettico degli scettici», per tal ragione incapace di individuare una via di uscita dai problemi dell’epoca moderna. A noi pare che la lettura delle sue pagine possa sollecitare gli insoddisfatti del presente a pensare un’azione atta a rimettere in moto il processo storico. L’uomo è facitore di storia, a condizione che recuperi lo sguardo eroico sugli eventi, oggi negletto e discreditato agli occhi dei più.

Giovanni Sessa

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