L’ultimo libro di Sandro Giovannini
di Giovanni Sessa
L’ultimo libro del poliedrico (poeta, editore, organizzatore culturale, fondatore del movimento della Nuova Oggettività) Sandro Giovannini può, come ogni libro degno di menzione, essere letto da prospettive diverse. A tutta prima potrebbe essere inteso come una sorta di autobiografia intellettuale e spirituale. Una sorta di moderno soliloquio che l’autore intrattiene con i suoi autori, con le pagine dei Grandi sulle quali si è formato, in un tentativo, doveroso e legittimo, di fare i conti con se stesso, con i risultati positivi conseguiti, ma anche con gli inevitabili fallimenti. D’altro lato, il lettore accorto comprende fin dall’incipit del testo, che Giovannini di fatto propone qualcosa di più profondo e di diverso. Egli traccia l’autobiografia intellettuale ed esistenziale di una generazione, quella che ha attraversato l’ultimo trentennio del XX secolo, in opposizione allo stato presente delle cose e alla ricerca di un destino più Alto per l’uomo, rispetto a quello realizzato dal progetto mercatista. Potrebbe pertanto sembrare, data la condizione spiritualmente degradata nella quale viviamo, che il bilancio dell’autore sia, alla fine dei conti, negativo. Così non è. La stessa struttura del testo lo attesta in quanto è articolato, come accade anche nella sua precedente raccolta saggistica, in tre parti, Memoria, Confronto, Speranza (L’armonioso fine, SEB, Milano 2005). La Speranza è, infatti, momento di apertura all’utopia in senso classico, che mai può scadere nell’utopismo modernista e totalitarista, e manifesta il non esser venuta meno, nell’autore, la tensione conoscitiva che aspira alla realizzazione pratico-politica.
Il libro di cui parliamo è …come vacuità e destino. Saggi letterari e metapolitici, da poco nelle librerie per NovAntico editrice (per ordini: 335/5655208; euro 24,00). Che si tratti di un libro generazionale è dimostrato dal fatto che molti dei saggi sono dedicati a “compagni/camerati (sic!) di strada”, che negli anni l’autore ha avuto la ventura di incontrare e che lo hanno accompagnato durante il percorso di ricerca e di realizzazione. Tra essi, molti dei nomi più significativi della cultura non-conformista del nostro paese. In particolare coloro che, come Giovannini, non vissero mai di mera nostalgia, ma furono animati, nei loro progetti, dall’idea del possibile Nuovo Inizio, quint’essenza del pensiero di tradizione inteso dinamicamente. Infatti: “Quanto più grande era la consapevolezza di tale (nostra) disfatta…tanto più cercavo di rendere plausibile a me stesso l’idea di qualche cosa che non si fosse spezzata definitivamente ed irreversibilmente, ma che si potesse ripristinare con una nuova ripartenza” (p. 369). Lungo questa via di “ritorno”, l’intellettuale ha incontrato la Poesia, la ricerca erotica del vero nella dimensione di gratuità, mai sconnessa dal destino esterno, sociale e politico. Per cui: “…scoprire che la vacuità ed il destino viaggiano insieme è stata proprio quella scommessa della mia vita, perché…l’ho realizzata in corpore vili, solo molto in ritardo” (p. 370). Ciò gli ha permesso, assieme a coloro con i quali ha condiviso tale scoperta, di attraversare più generazioni, senza smarrire la radicale volontà di agire per modificare il contingente: tratto qualificante, pleonastico rilevarlo, della giovinezza spirituale. Quindi, quella che Giovannini descrive è una sorta di perpetua metafisica della gioventù: alla quale si ha accesso quando si è compreso che l’Origine è sempre possibile.
La vocazione tradizionale dell’autore è resa esplicita nei saggi dalla disposizione dialogica, sia nei confronti dei testi degli autori con i quali colloquia, sia nei confronti della dimensione storico-mondana, degli eventi, “luoghi” dell’azione nella quale si dà l’Origine. Lo si evince, questo risultato, che è al medesimo tempo metodo, sia dagli scritti dedicati ad Evola, quanto dall’esegesi del pensiero di Daumal. Probabilmente, la chiave di volta di questi “esercizi di ammirazione” di matrice cioraniana, è da individuarsi nei saggi dedicati a Costantin Noica, filosofo di vaglia, misconosciuto perfino negli ambienti che a lui avrebbero dovuto guardare come ad un Maestro. Egli ci ha insegnato a: “…riconoscere che in ogni cosa esiste una somiglianza dell’essere: che è ancor più e meglio di una custodia segreta e di una radura isolata, proprio perché persino nella spartizione non vi è alcun annullamento del principio primo”(p. 102). Questa acquisizione consente a Giovannini, in altro scritto, di incontrare il tema della corporeità esemplarmente presentato dal filosofo francese J. L. Nancy in Noli me tangere. Qui il corpo è esperito come il luogo dell’oltre, del principio, dell’Origine allusa: “Quell’unio inconfusa, quella distribuzione indivisa…quella chiusura che si apre, che parte dalla vis ricapitolativa dei mondi di senso…mentre vuole o può essere risolutorio di molte delle aporie prodottesi via via nella tradizione ontologica” (p. 102). Aporie della tradizione ontologica per uscire dalle quali lo scrittore pesarese colloquia, con cognizione di causa e persuasività di accenti con chi scrive, a proposito della “potentissima” filosofia, per questo vacua e destinale, di Andrea Emo (pp. 239- 279). Filosofo, questi, transattualista ed ultranichilista che esercitando un magistero appartato e solitario, sempre attento però al dato storico-politico, ha detto agli uomini del Novecento in modo perentorio che l’eterno è solo nella presenza attuale.
E’ da qui, dallo stesso plesso speculativo, che Giovannini sviluppa l’analisi del pensiero heideggeriano, quale esempio di possibile filosofia della tradizione. E’ in questo scritto, crediamo non casualmente posto in apertura della raccolta che, a nostro parere, si concentrano le diverse aree d’interesse intellettuale dell’autore. Innanzitutto, il tema del Linguaggio, dei linguaggi e della Poesia. Il Dire autentico, casa dell’essere, svolge la funzione pontificale: coniuga in uno la datità dell’Esserci e l’Essere stesso, pone in relazione tempo ed eternità, mito e storia. Per questo le problematiche poetiche hanno in sé un’innegabile apertura al tema del Sacro: “La poesia è uno strumento divinatorio che nel momento stesso in cui ci allontana dalla labilità insita nell’Esistente e ci congiunge all’Essenza…diviene il sintomo di una crisi” (p. 15). Il Dire evocativo ha in sé la “coscienza linguistica”, che coglie nel mito-idea il ponte ancora transitabile tra Essere ed Esistenza, in quanto: “…più in alto della realtà si trova la possibilità”. Da questo passaggio, rileva Giovannini, si comprende la prossimità Heidegger-Guénon. Il filosofo svevo fu, naturalmente, molto distante da tutti i letteralismi e dalle scolastiche tradizionaliste, riduttivamente “ripetitive”. Egli è uno degli autori del pensiero di tradizione, filosofo perfettamente cosciente che dire Origine è dire altro da Inizio, e che essa non è irrimediabilmente collocata in illo tempore, alle nostre spalle. La sua filosofia si inserisce nella sequela teoretica che, muovendo da Schelling e Bachofen, si è irradiata fino al Novecento, sostanziandosi del metodo tradizionale.
L’unica nostalgia, se tale può essere definita, che traspare dalle pagine di Giovannini è quella prodotta dall’attuale (ma momentanea, in questa prospettiva!) assenza della “…luce sobria e calda della personalità, l’indipendenza splendente ed irradiante d’una comunità” (p. 6), per ri-fondare la quale egli ha agito e in nome della quale ci invita a riscoprire quell’inutilità eminente, che dona all’uomo realmente capace di viverla in profondità, la luce interiore. Per i più, chimerica ed effimera consolazione che, al contrario, nell’ottica di una filosofia dei pochi e dell’ordine, risulta essere la qualità che rende degno il nostro ex-sistere.
Solo una frase di Noica, più volte citata da Giovannini, può valere da chiusa alla presentazione di questo libro che ci invita a vivere, a sperare e a lottare, in un momento storico politico di lacerazioni e divisioni apparentemente irrecuperabili. E’ questa: “ Nulla dies sine laetitia. Laetitia vuol dire: disciplina, lavoro, fatica, sofferenza, dubbio, invenzione, gioia. Ma la vera gioia non è che nella cultura; il resto è divertimento. Però la gioia, se è gioia vera, riesce ad aprirsi un varco” (p. 96). Siate pertanto gioiosi, oltre il piagnisteo e la rassegnazione, pensate e vivete la Tradizione come utopia transitabile.