Di Enrico Marino
L’interesse degli Stati Uniti per un’Europa indipendente negli approvvigionamenti energetici provenienti dalla Russia risponde a un’esigenza economica e geopolitica di Washington. Gli Usa hanno selezionato sullo scacchiere internazionale quelle zone e quelle regioni ricche di depositi di materie prime sulle quali esercitare una maggiore egemonia, per sbarrare il passo alle altre potenze rincorrenti i medesimi obiettivi. Gli idrocarburi sono pertanto il principale obiettivo della loro politica di potenza e uno degli strumenti più importanti per estendere la loro proiezione geopolitica finalizzata alla supremazia.
Non si tratta soltanto di impadronirsi di siti, affari lucrosi e mercati in espansione, ma anche, di impedire che siano gli altri a insinuarsi in determinate aree approfittando della situazione e se non si possono gestire direttamente le cose si deve fare in modo che, anche sobillando il caos e aprendo sacche d’instabilità territoriale, nessuno arrivi a sostituirti.
La globalizzazione funziona fino a che avvantaggia unilateralmente. In caso contrario si denunciano le manovre scorrette di quelli che si servono dei contratti energetici per ingabbiare l’Europa e il loro sostegno agli stati canaglia condannati dall’ordine atlantico (invece, sostenere e sovvenzionare le monarchie islamiche dei petrodollari, così attive nel formare, addestrare e munizionare le bande di mercenari islamici, rappresenta ovviamente una manifestazione di encomiabile democrazia !!).
Sulle vie del gas e del greggio si gioca, pertanto, una partita decisiva per la configurazione degli equilibri mondiali e chi riuscirà a presenziare gli snodi e gli sbocchi vitali di pozzi e pipelines in terra ferma e in mare, si assicurerà un ineguagliabile vantaggio nella edificazione del nuovo ordine mondiale. In ogni caso, il settore energetico rappresenta il termometro di quello che ci attende e qui si porranno le basi per uno slancio determinante a quel dominio mondiale che l’America, seppur in relativo declino di supremazia, ha intenzione di continuare a esercitare, anche semplicemente impedendo ad altri di avanzare sulla scala della sovranità nazionale, regionale o globale. In questa direzione occorre pertanto interpretare le pressioni sull’Ue e sui suoi membri nonché il sostegno dato da Obama alle rivoluzioni nordafricane, poi a quelle mediorientali con il coinvolgimento della Siria e ora anche a quella in Ucraina. Nei moti di piazza della crisi ucraina, è stata evidente la presenza dei nazionalisti, in particolare dei movimenti Pravij Sektor e Svoboda, sui cui riferimenti ideologici è stato mediaticamente posto l’accento “neonazista”. Si tratta di una pericolosa semplificazione propagandistica che ignora l’anima popolare di una rivolta contro una minoranza etnica che aveva colto l’occasione del potere per imporsi, per de-nazionalizzare, per corrompere e abusare.
E’ palese che la “rivolta” è stata ampiamente pilotata da Usa e Gb, in testa, con il sostegno della Merkel e di Francia e Polonia. Le rivelazioni dell’assistente segretario di Stato Usa Victoria Nuland, sul versamento, a dicembre, di fondi per 5 miliardi di dollari alle organizzazioni promotrici della protesta e le indiscrezioni sulla “lista dei ministri” preparata da Washington per il nuovo esecutivo golpista, ne sono la conferma.
Gli atlantici hanno avuto buon gioco a fomentare il nazionalismo ucraino-occidentale visto che l’Ucraina è stata, nella sua parte occidentale, più volte sottoposta all’influenza di Polonia o Austria e sia nella prima che nella seconda guerra mondiale gli ucraini occidentali si riversarono in massa nei ranghi dell’Austria e dell’Asse. Oggi il desiderio di indipendenza dal potente vicino russo si è però coniugato con la volontà atlantica di far avanzare la Nato al bordo del confine con Mosca.
Ovviamente se prendesse corpo un nuovo equilibrio liberaldemocratico e atlantico nell’Ucraina occidentale sarebbero proprio i nazionalisti, diventati ormai “inutili”, a diventare le vittime dei nuovi padroni. E ciò accadrà se gli atlantici riusciranno a ottenere la loro “normalizzazione” con la divisione dell’Ucraina in due distinte entità statali. Ma la demonizzazione dell’estrema destra rivoltosa e la sua cancellazione interverrà anche se sarà la Russia, nel medio termine, a ribaltare gli eventi e a “normalizzare” l’Ucraina. Rischio reso ora più concreto dall’intervento russo in Crimea nato dalla necessità di tutelare la popolazione russofona che vive in quel territorio e che nella sua stragrande maggioranza già nel 1962 aveva richiesto la riannessione alla Russia.
Il rischio è quello che i nazionalisti ucraini di Pravij Sektor e Svoboda, terza forza tra filorussi e filoatlantici, si possano trovare nuovamente schiacciati dagli eventi dopo che sono riusciti sul campo a strappare la liberazione di tutti gli arrestati nei moti di piazza, il licenziamento di una cinquanta giudici accusati di corruzione, l’allontanamento dalla candidatura della Timochenko e hanno chiaramente dichiarato che l’Ucraina non è disponibile a diventare ora una colonia americana, respingendo al mittente la candidatura a primo ministro del campione degli americani, Klitschko.
In questo quadro, il nostro dramma sta nel fatto che la classe dirigente europea o non ha compreso la portata degli eventi che si stanno consumando sullo scenario internazionale in questa epoca storica oppure si è adattata volontariamente, il che è anche peggio, al ruolo di soggetto inerme e succube dei processi in atto. Una riscossa europea, ammesso che possa realizzars
i, ammesso che i popoli europei sopravvivano alla multietnicità e alla dissoluzione spirituale ed esistenziale praticata dal mondialismo e dalla società consumista occidentale, potrà avvenire solo con la sconfitta dell’espansionismo statunitense e del progetto mondialista e sionista di un nuovo ordine e di un governo mondiale unico.
i, ammesso che i popoli europei sopravvivano alla multietnicità e alla dissoluzione spirituale ed esistenziale praticata dal mondialismo e dalla società consumista occidentale, potrà avvenire solo con la sconfitta dell’espansionismo statunitense e del progetto mondialista e sionista di un nuovo ordine e di un governo mondiale unico.
Per questo, oggi, i veri europei stanno accanto a coloro per i quali le parole Nazione e Patria non sono degli slogan stantii e un po’ ridicoli, ma delle realtà carnali che li espongono su una barricata ai colpi di kalashnikov, che mettono in gioco le loro vite per un’idea, per una speranza, per un sogno che non è quello di un iphone di ultima generazione o un piano di carriera o di risparmio o un avvenire da broker. Sono uomini e donne veri, sangue e carne, non borghesi tremebondi, bottegai prudenti e furbi né intellettuali da salotto. Sono coraggiosi e pazzi, quando tanti altri sono vili e ragionevoli. Sono l’immagine di una comunità che ha ancora voglia di combattere e, anche solo per questo, si eleva al di sopra dei popoli morti sotto il peso del comfort e dell’intellettualismo sazio e ipocrita.
Per questo, non possiamo che ammirarli e onorarli, perché sono una prova vivente e anche la nostra speranza che non tutto è finito, che non tutto è perduto, che tutto è ancora possibile.
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