8 Ottobre 2024
Società

Globalizzazione e frammentazione – Claudio Antonelli

L’“economicismo” ossia il pensiero economistico oggi egemonico vede il nostro pianeta come un enorme supermercato con spostamenti e miscelazioni di popolazioni: i clienti del supermercato. La globalizzazione che il “pensiero unico” acclama, vedi la potente rivista ideologico-finanziaria “The Economist” che da decenni conduce una propaganda in tal senso, mira ad attuare una mondializzazione consumistica e culturale che distrugge la continuità con il passato; mette da parte le diversità antropologiche esistenti nelle varie parti del mondo; annulla la nozione di una solidarietà basata sul destino, sulla cultura e sul passato condivisi ossia sui valori nazionali; abolisce i confini esterni introducendo un multiculturalismo a carattere tribale che è creatore di una selva di confini interni nel paese di accoglimento. La nuova morale socio-politica veicolata dai padroni del discorso vuole infatti che i nuovi arrivati, quasi tutti in provenienza dal terzo mondo, conservino la propria identità di partenza, mentre il popolo che li accoglie ossia gli occidentali “autoctoni” sono chiamati a modificare i propri tratti identitari storici per meglio accogliere e far sentire a proprio agio i migranti con i loro usi e costumi storici.

I templi di questa religione planetaria sono i mercati azionari detentori della verità, la quale è ridotta a una schiacciante verità economica fatta di dati statistici, diagrammi e percentuali. L’intento è di trasformare il pianeta in un enorme supermercato. Tra le cui scaffalature, però, l’uomo si sente solo. È un cosmopolitismo, oltretutto, assai particolare perché nei fatti fa da apripista alla dominazione della cultura nazionale americana e dei suoi valori, spacciati per “universali”.

Il grave disagio che viviamo in Occidente è il primo risultato di questa trasformazione epocale che mette al centro l’individuo allo stato puro, sciolto da ogni vincolo societario di tipo altruistico che sia basato sulla nozione di Patria: la patria di accoglimento ma non le patrie di origine di questi flussi immigratori che il multiculturalismo di Stato anzi protegge ed esalta. Salvaguardati e rafforzati sono invece i vincoli a carattere tribale che legano l’individuo ad una delle nuove categorie in cui i sacerdoti del mondialismo-globalizzazione frantumano l’umanità all’interno di un Paese; sulla base di: omosessualità, femminismo, transessualismo, colore della pelle, handicap fisici, culti religiosi, vegetarianismo, ecologismo, superstizioni varie…

Questo nuovo comunitarismo su scala mondiale è un tribalismo che rimpiazza le identità locali e nazionali legate a un territorio e a un passato storico particolari, ossia a un Paese distinto: a una Patria.

La nozione di “homo sapiens” reca in sé quella dell’universalità, grazie al credo che vuole che tutti gli uomini siano uguali. Ma la nozione di homo sapiens non è in realtà antinomica alla diversità dei modi di organizzarsi in società da parte dei vari raggruppamenti umani. Infatti vi è eterogeneità anche all’interno di uno stesso paese: vedi la varietà del modello umano, ossia delle mentalità e dei comportamenti nelle varie regioni italiane. Anche in Francia, e cosi’ negli altri paesi europei, il regionalismo è un’innegabile realtà.

Ogni “uomo sapiens”, infatti, benché “universale”, è una realtà diversa culturalmente nelle varie aree del pianeta, per lingua, tradizioni, valori culturali. Presso i vari gruppi umani non esiste, ad esempio, un unico modello antropologico di famiglia. Che si pensi alla famiglia nucleare, a quella di tipo comunitario o a quella di ceppo (“famille souche”), e ai rapporti egualitari o non egualitari esistenti tra i maschi e le femmine, e tra il primogenito e gli altri fratelli. Che si pensi anche all’endogamia molto sviluppata in seno a certi gruppi, gli ebrei ad esempio. Ma al posto dell’homo sapiens oggi troviamo l’homo economicus, modello unico perché ridotto fondamentalmente al suo status di consumatore.

Questo progetto di marcia delle masse verso un mercato unico mondiale senza frontiere e senza inni nazionali, dove tutti i consumatori sono uguali, è diretto dai pifferai della religione economicistica basata sul “politically correct” e sul feticismo dei “diritti umani”; la cui interpretazione da parte dei tribunali fa spesso scacco alla logica dell’essere umano quale questi si è formato attraverso la storia, organizzandosi nelle collettività chiamate, oggi, Stati e Nazioni. Se la tutela delle libertà fondamentali dell’individuo è una realtà preziosa, essa è da tenere distinta dalle aberrazioni cui spesso conduce un buonismo deteriore di cui beneficia il mitico Diverso, questa nostra nuova vacca sacra.

Si assiste poi a un paradosso, ma che pochi rilevano, causato proprio dal multiculturalismo di Stato, progetto di società che oggi va per la maggiore nel nostro Occidente. Il multiculturalismo di Stato mira a salvaguardare le specificità, le differenze altrui, ossia quelle dei vari gruppi immigrati da altri paesi, a spese della salvaguardia dell’identità del gruppo “autoctono” costituente la società maggioritaria; la quale è insidiata da questa varietà di specificità culturali e di comportamenti importati dall’estero (USA o Terzo Mondo), spesso divergenti rispetto a quelli suoi tradizionali che sono il fondamento dell’identità collettiva nazionale. Due esempi basteranno ad illustrare l’assunto. Nei paesi europei, di tradizione cristiana, si tende ormai ad eliminare certi simboli religiosi, perché questi sono in contrasto con le religioni dei gruppi umani immigrati di recente dall’Africa o dall’Asia. E così, nella distribuzione di cibo, nel paese “multiculturale” si ha tendenza ad eliminare gli ingredienti che non rispettino i tabù religiosi alimentari di popolazioni di recente immigrate. Speriamo solo che le cattedrali non debbano un giorno venir rase al suolo in omaggio al credo religioso del diverso, e che l’infibulazione importata dall’Africa non diventi da noi una pratica generalizzata, incoraggiata dalla Caritas in segno di solidarietà verso l’immigrato.

Il multiculturalismo, incastonato nella Costituzione canadese tra i diritti umani, porta a giudizio di molti a delle aberrazioni. Il giurista Robert Poupart ha denunciato in questi termini il fatto che il principio d’uguaglianza tra i cittadini sia stato messo in scacco, anzi è il caso di dire: sia andato a farsi benedire, a causa dei dogmi religiosi di certe minoranze:

“Lo stato canadese crea una società a geometria variabile. I diritti dipendono dalla religione del cittadino: secondo la sua fede religiosa, un cittadino potrà costruire una capanna sul balcone del suo appartamento, portare un’arma bianca a scuola, indossare un turbante invece del berretto prescritto per i poliziotti, seguire un programma scolastico particolare, gestire una scuola confessionale sovvenzionata, prestare giuramento col viso coperto. L’interdizione di discriminare sulla base della religione diviene un vettore di discriminazione sulla base della religione.” 

I sacerdoti della religione dei diritti umani, invece di avversare la globalizzazione, utopia malefica che dissolve i legami famigliari, che sbeffeggia le tradizioni e che demonizza il pater familias, intendono fare della donna, grazie a un’ideologia femminista oltranzista, una categoria umana a parte. E questa nostra nuova religione promuove una futura xenofobia poiché sembra ignorare che i flussi immigratori quando superano un certo limite di tolleranza da parte della società d’accoglienza rischiano di creare gravi conflitti etnici e culturali. Queste aberrazioni sono create dal fatto che si è voluto mettere l’homo economicus, modello unico sotto tutti i cieli, al posto delle tante varietà di homo sapiens, essere universale, sì, ma “diverso”, “vario”, “differente”; se considerato non nella sua astrattezza ma in carne ed ossa, e nei vari momenti storici, nelle varie società, nei vari raggruppamenti in cui lo troviamo incarnato; con religioni, valori, tradizioni, sensibilità anch’essi disparati. L’universalità dell’homo sapiens è divenuta invece pura interscambiabilità.

Questo homo sapiens, che si è unito ad altri, simili a lui, e ha creato nel territorio comune lo Stato, rischia di non essere considerato più padrone in casa propria, a causa della logica di un multiculturalismo che protegge e rispetta la differenza dei vari gruppi culturali immigrati, a danno però dei valori e dei modi di vita tipici della maggioranza degli abitanti del paese d’accoglimento. Io credo che i valori del popolo maggioritario, autore della generosa accoglienza, meritino una tutela che ne garantisca la continuità, dal momento che la scelta della patria adottiva, ossia del paese in cui emigrare, è avvenuta per il migrante sulla base, appunto, della “realtà antropologica” del paese d’arrivo, superiore a quella del paese lasciato.

Globalizzazione economica, libertà di spostamento di merci e uomini attraverso il pianeta con il superamento dei confini di Stato, interessi di una finanza apolide, calcolo del profitto: questi sono grosso modo i fondamenti di un progetto, nato subito dopo il crollo del comunismo, che anch’esso mirava alla convergenza dei popoli attraverso la dittatura del proletariato espressa da Carlo Marx nel suo “Capitale”. La progettata nuova dittatura sul popolo risponde invece alla logica del Capitale detenuto dai finanzieri. Manca solo un manifesto che espliciti senza ipocrisie le regole, i tratti, gli aspetti di questo nuovo progetto mondialista che vuole sciogliere l’individuo da ogni condizionamento storico, sociale, culturale, nazionale, per sottometterlo unicamente alla legge di mercato.

Anche il fallimento dell’Europa “patria comune” è dovuto al trionfo dell’idea del supermercato, fatta valere da burocrati privi di un vero mandato e totalmente estranei all’idea che occorrerebbe invece creare una coscienza europea attraverso il concetto-sentimento dell’“interesse europeo”, ossia attraverso un patriottismo allargato all’intero vecchio continente.

Agitando con mani, piedi e col resto del corpo il turibolo dei diritti umani, i demolitori della Patria, piccola o grande che essa sia, fanno ripetere alle masse in preghiera il mantra “Solidarietà! Solidarietà! Solidarietà!” (l’aggettivo sottinteso “planetaria” è di rigore). Ma non esiste nessuna solidarietà, nessun vero amore, nessun progetto credibile tra individui anonimi, dominati dal consumismo e raggomitolati nel Web dietro un’esplosione d’immagini e di scritti abborracciati.

Questo esperimento di convergenza mondiale è dovuto ai demiurghi dell’economia-finanza, vedi Soros, intenzionati ad unificare e omogeneizzare gruppi e popoli attraverso prodotti e consumi, superando pertanto il concetto di “Patria” mediante anche l’abolizione dei passati nazionali. Ma questo esperimento di globalizzazione economica e valoriale, condotto in nome del mercato unico, invece di unificare i popoli ne accentua e ne accresce i conflitti, poiché, ad esempio, la nuova fede basata sul femminismo e sull’omofilia, fiori all’occhiello della nuova civiltà occidentale, non possono che provocare l’opposizione, il rigetto e la radicalizzazione da parte di società edificate su fedi ben diverse. Un’altra conseguenza della globalizzazione è di rafforzare oltre misura il “comunitarismo” frammentato di tipo tribale che già prospera nelle nostre società. Questo “comunitarismo” è diretto a demolire l’idea d’identità e di unità nazionali, elementi che invece, per certuni compreso il sottoscritto, sono molto preziosi. Quindi l’effetto di questo comunitarismo multiculturale e “multivaloriale” è di tenere smembrata, frantumata, frazionata, atomizzata la Nazione in una serie di collettività, distinte per colore di pelle, origine etnica, appartenenza religiosa, e in Italia soprattutto politica, e distinte per stili di vita, pratiche sessuali, handicap fisici, passati nazionali importati da altrove, compresa l’iscrizione a questo o al quel club sociale in Rete. La quale Rete crea un comunitarismo mondiale fasullo basato su una sorta di masturbazione collettiva, fatta di esibizionismo e di guardonismo.

L’isteria delle immagini e i dati dell’economia, fornitici quotidianamente attraverso il pianeta, sembrano essere divenuti i fattori principali se non esclusivi del nostro destino. Ma questa implacabile propaganda dei disastri mondiali – vedi l’inquinamento, le inondazioni, gli incendi, la plastica nel ventre dei pesci, la scomparsa progressiva di numerose specie di animali, il riscaldamento del pianeta, la guerra in Ucraina – ci riempiono soprattutto d’angoscia, oltre a farci sentire individualmente inutili.

Oggi gli appartenenti all’uno o all’altro insieme di tribù provvisorie, sprovviste di autentici vincoli personali, create in Rete – fabbrica quest’ultima di illusioni e anche di menzogne – non hanno più quel prezioso senso di fratellanza che solo sa dare il sentimento del destino collettivo, dovuto a una cultura condivisa; collegata a luoghi, personaggi, vicende storiche particolari con i quali noi ci identifichiamo, e che ci aiutano a sentirci meno soli lungo i percorsi sempre strani e talvolta assurdi della vita.

Claudio Antonelli

foto copertina: web

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