Dani Rodrik è un economista di origine turca docente a Princeton e Harvard. Niente affatto un ribelle, un estremista, o, come si dice adesso, un populista. Tuttavia, è una delle voci critiche dell’assetto internazionale vigente a livello economico, finanziario e sociologico. Il libro che lo ha reso famoso, La globalizzazione intelligente, enuncia un trilemma su cui è urgente riflettere. La sua conclusione è l’impossibilità di perseguire la globalizzazione, conservare la democrazia e difendere lo Stato nazionale. I tre obiettivi tendono ad escludersi reciprocamente: se intendiamo far avanzare la globalizzazione dobbiamo rinunciare o allo Stato/nazione o alla democrazia politica. Se vogliamo difendere ed estendere la democrazia, è necessario scegliere fra lo Stato/nazione e l’integrazione economica internazionale. E se desideriamo conservare lo Stato/nazione e l’autodeterminazione dovremo scegliere fra potenziare la democrazia o estendere la globalizzazione.
Le ragioni sono chiare. La globalizzazione è per natura mondialista; necessita di un unico centro di comando, di leggi economiche e finanziarie omologate, di un mercato unico retto dalle stesse regole, nonché di una governance planetaria, dotata di enormi potere di coercizione. Il dispositivo è in gran parte pronto: le grandi reti di comunicazione, l’immenso apparato tecnico di direzione, organizzazione del mercato, una sorveglianza che viaggia sulle autostrade virtuali della grande rete. Al suo fianco, quasi indistinguibile dal resto, la struttura di comunicazione, convinzione, indottrinamento, intrattenimento posseduta dai padroni del mondo che Guy Debord definì società dello spettacolo.
La globalizzazione avanza se tutti rispettano le medesime regole imposte e fatte applicare da un sistema coercitivo altrettanto unico, globale e tecnocratico, al cui fianco vigila la forza tradizionale di dissuasione, ovvero la macchina militare e di intelligence degli Usa e dei suoi vassalli e valvassori, uno dei quali, ahimè, è l’Italia, con funzioni di portaerei naturale verso il sud est del mondo e di sussistenza, una salmeria dell’impero. Il supporto decisivo di tale apparato psico tecnico sono i giganti di Silicon Valley, alleati e soci del potere politico, finanziario, industriale apolide, ma con sede operativa negli Usa.
Riaffiora un altro trilemma, enunciato da Vladimir Bukowski, secondo cui non è possibile che la stessa persona sia comunista, intelligente e in buona fede. Premesso che noi allarghiamo il concetto anche ai liberisti, il dissidente sovietico riteneva che ciascuno potesse possedere solo due delle tre caratteristiche enunciate. Il trilemma di Rodrik ha una soluzione ovvia, ma difficilissima da mettere in pratica: occorre scegliere la sovranità dei popoli e degli Stati, realizzata nella partecipazione al destino comune (la democrazia concreta) e rigettare la globalizzazione.
Il motivo profondo è che la globalizzazione ragiona secondo lo schema preda (tutti noi) – predatore (loro, gli iperpadroni che hanno privatizzato il mondo), quindi lascia sul terreno innumerevoli vittime, milioni di perdenti. Il termine che meglio la definisce proviene dalla sua lingua di riferimento, l’inglese globale (globish) dei mercati e delle élite senza patria: disruptive, un aggettivo che nella nostra lingua può essere tradotto unendo vari significati: distruttiva, disgregante, dirompente, destabilizzante, dunque, sempre con la lettera D, deleteria.
Gli Stati nazionali hanno il dovere di proteggere se stessi e i popoli che rappresentano, facendo prevalere il loro sistema giuridico e la più ampia libertà di organizzare l’economia e il sistema sociale in base alla volontà popolare. Rodrik è persuaso che restituire potere agli Stati nazionali “garantirebbe basi più solide per l’economia mondiale”, lasciando però al centro del sistema una cornice di regole comuni. Un passo in avanti, ma una posizione che è insieme limite e paradosso. L’interesse degli uni è infatti diverso e spesso opposto a quello degli altri, specie dei grandi attori geopolitici globali, Usa e Cina. In più, l’ideologia, la “struttura”, cioè il libero scambio, il mercato libero, il dominio dei monopoli privati transnazionali non viene seriamente intaccato dal cauto riformismo di Rodrik. Non convince l’asserzione secondo cui “una globalizzazione migliore può risolvere i mali e i danni della globalizzazione incontrollata senza intaccarne i grandi benefici economici. “
E’ vero il contrario, il trilemma va risolto uscendo progressivamente dalla camicia di forza globalista, recuperando la sovranità popolare e nazionale insieme con il consenso democratico nella partecipazione. L’Europa ha goduto di ben pochi benefici dal nuovo sistema, si è vista espropriata non solo dei propri sistemi politici e di protezione sociale, ma ha visto cancellare la sua civiltà specifica insieme con gli spazi di decisione economica, politica e finanziaria. Ciononostante, i responsabili politici di Germania e Francia, gli Stati guida, affermano senza reticenza che il processo di cessione di sovranità verso l’alto (Unione Europea, banche centrali, mercati finanziari, giganti economici) deve continuare. Evidentemente, negli ambulacri riservati del potere vero, la decisione è stata presa da tempo e il parere dei popoli non conta, tanto più che lorsignori hanno in mano tutte le carte, organizzano e truccano il gioco possedendo tutti i meccanismi di persuasione delle masse. Il miglior travestimento di una dittatura è la democrazia, se si controllano i mezzi di informazione. (Edward Bernays – Propaganda)
Dicevamo che si è saldata una ferrea alleanza tra i detentori del potere economico e finanziario, padroni della tecnologia, della ricerca e dell’informazione, ed i giganti dell’economia digitale, quelli della terza rivoluzione industriale iniziata negli anni 90 del secolo XX, l’era del computer e della rete. La quarta rivoluzione, già fortemente radicata è digitale, cibernetica e biotecnologica. Vede l’azione congiunta delle forze economiche e finanziarie, gli apparati di intelligence di alcune potenze, in sinergia con i piani alti delle multinazionali della tecnologia.
Questa è in sintesi la globalizzazione mondialista, una Tecnopoli dominata da una dittatura falsamente soffice, diretta da una Matrix reticolare posseduta dagli stessi che hanno promosso, organizzato e realizzato la globalizzazione. Nel lessico fantasy di John R.R. Tolkien, la globalizzazione è l’impero degli oscuri signori di Mordor. La buona volontà riformista di uomini come Rodrik non è una soluzione, eppure scatena la reazione di autentici cani da guardia del sistema come Rosa Lastra, docente di Leggi Monetarie e Finanziarie Internazionali a Londra, che, in polemica con l’economista turco, invoca una maggiore internazionalizzazione (ovvero nuovi cedimenti a un governo mondiale di colossi privati) delle regole e delle istituzioni che governano i mercati mondiali. “La risposta è più leggi internazionali e meno nazionali. “
La causa della crisi finanziaria, sostiene, va imputata proprio ai deboli standard normativi internazionali. Ossia, il malato va curato con dosi più grandi del veleno che lo ha infettato. La dotta professoressa, perfetta cameriera dei suoi padroni, lancia una proposta raggelante. L’aumento ulteriore della globalizzazione mondialista dovrebbe essere affidato al Fondo Monetario Internazionale, “istituzione al centro del sistema monetario e finanziario, nella miglior posizione per diventare uno sceriffo globale (!!!) della stabilità.” Ancora il mantra della “stabilità”, ovvero della scarsità monetaria (nostra) e del mercato come unico decisore, attraverso, come continuano a farci credere, la mano invisibile che sa allocare al meglio le risorse e risolve per magia i problemi del mondo.
Abbiamo bisogno del contrario della stabilità, cioè del cambiamento, ed è urgente uscire dalla trappola del mercato signore, maschera e nome d’arte di poche centinaia di grandi gruppi speculativi padroni di tutto, ormai anche delle nostre menti. Dobbiamo risolvere finalmente il trilemma di Rodrik, pronunciando un no definitivo alla globalizzazione mondialista, tecnocratica e privatista trionfante in nome dei popoli, degli Stati, della libertà e del futuro. Ogni popolo riprenda il diritto di organizzare la propria convivenza e la propria struttura sociale, politica e economia secondo volontà, scelta, inclinazione.
La sovranità, come la libertà, è la decisione attiva ed autonoma del futuro comune. E’ una rivoluzione conservatrice, lo sapeva già quasi un secolo fa Arthur Moeller Van den Bruck: la democrazia è la partecipazione del popolo al suo destino. Il mondo non è un modello matematico, né un algoritmo globale di proprietà di una cupola.
Temiamo che avesse ragione Etienne de la Boétie nel Discorso sulla servitù volontaria, allorché affermava che il tiranno sarebbe sconfitto se noi non gli offrissimo consenso, e che esiste una permanente attitudine umana al servaggio, ben conosciuta dai potenti, poiché “la libertà è la cosa che [i più] non desiderano affatto, o almeno così sembra, per la semplice ragione che se la desiderassero, l’avrebbero: come se rifiutassero un bel guadagno solo perché troppo facile da ottenere”.
ROBERTO PECCHIOLI