7 Ottobre 2024
Spiritualità

Göbekli Tepe e Karahan Tepe: il tempio più antico del mondo e il suo mistero divino

Göbekli Tepe e Karahan Tepe rappresentano una sfida per l’archeologia ufficiale essendo le prime forme di tempio-santuario conosciute e risalenti a un’epoca molto remota, parliamo di 12000 / 14000 anni fa. Per la prima volta nella storia l’uomo ha pregato rivolgendosi al divino in un tempio di pietra.
L’uomo ha innalzato monoliti dalla più remota antichità e questo alzare la pietra e levigarla è stato il modo più conosciuto agli antichi per portare la propria offerta a Dio.
Stonehenge ne è uno degli esempi più fulgidi, pur tuttavia Göbekli Tepe risale a oltre settemila anni prima.
La Bibbia menziona la prima volta che l’uomo ha evocato Dio sollevando la pietra.
Esemplare al riguardo è la scala di Giacobbe, episodio biblico descritto in Genesi 28:11-19.
Giacobbe, per assicurarsi l’alleanza con Dio, innalzò una pietra che chiamò El-Betel, che significa “casa di Dio”, ovvero “porta del cielo”. Giacobbe sognò una scala per unire terra e cielo, e la sognò mentre si stava recando ad Harran. Gli episodi non possono essere isolati ed è evidente che si tratta di una originaria sensibilità al sacro tessuta dagli uomini antichi, gli stessi che hanno edificato Göbekli Tepe che noi ci prendiamo la licenza di considerare una Betel universale, una vera pietra – scala che mette in comunicazione terra e cielo.

“Giacobbe si alzò la mattina di buon’ora, prese la pietra che aveva messa come capezzale, la pose come pietra commemorativa e vi versò sopra dell’olio. E chiamò quel luogo Betel; mentre prima di allora il nome della città era Luz.”
Genesi, 28: 18,19

“Lì costruì un altare e chiamò quel luogo El-Betel, perché Dio gli era apparso lì”
Genesi 35, 7

Il ramificato complesso di siti archeologici della zona anatolica dove si trovano Göbekli Tepe ma anche Karahan Tepe, Nevalı Çori e altri formano, a mio dire, un unico sistema gestito da una sola classe sacerdotale, o, perlomeno, diretta da un unico patrimonio di codici teurgici e pertanto mi arbitro la licenza di chiamare con il nome di Göbekli Betel questo sito meta-archeologico.
Il Topos meta-archeologico va inteso nel senso di un Genius spaziale che detiene il tessuto vivente di più luoghi votando questi ad una unità semantica superiore che diviene l’Anima vivente.

Gli sciamani di Göbekli Tepe e di Karahan Tepe volevano mettere in contatto la terra col cielo. Perché innalzare una pietra in alto significa trasformare la pietra. La trasformazione della pietra è un linguaggio che appartiene all’alchimia e anche a moltissime altre religioni. “Su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). La pietra ancora ricorre come simbolo del tempio, assieme all’acqua sacra, elemento fondamentale, perché l’acqua in questa zona è fondamentale.

L’acqua e la terra, la pietra e la levigazione della pietra, vanno intese anche in senso allegorico come Lapis ovvero come Interior terrae. In questo luogo sacro l’uomo ha lavorato la pietra con l’acqua, la pietra rappresenta il corpo e l’acqua rappresenta l’anima. Il corpo e l’anima tendono allo Spirito e questa è la tripartizione che si vede a Göbekli Tepe e Karahan Tepe. Questo complesso di pietre è praticamente un portale dimensionale che fa sì che gli elementi originari concorrono all’ unità. La pietra e l’acqua, la terra e l’anima, vanno a intessersi nello Spirito. Lo Spirito è Fuoco quindi Sole che dà la vita, elemento ricorrente nella iconografia di Göbekli Tepe.
La grande potenza delle acque nel cristianesimo assume la vitalità dello Spirito che è Santo.

Per comprendere il mistero del sito di Tepe dobbiamo chiederci: -che cos’è una comunicazione? Quando io comunico qualcosa? Quando io sono in Comunione? Possiamo pensare di comunicare un elemento dei più semplici in assoluto ad esempio il cerchio, magari il cerchio centrato che è l’immagine dell’Essere, del sole, della vita, di un centro appunto. Se noi immaginiamo di trasmettere l’immagine di un cerchio a una seconda ricevente e poi un’altra ricevente ancora (queste fanno da ricetrasmettenti) e procediamo così decine e decine di volte, noi, con le nostre apparecchiature (anche soltanto con la nostra mente) alla fine non riceviamo l’immagine originaria ma un altro tipo di immagine ormai distorta e alterata.
Avremo una specie di sfera deformata come nei quadri di Maurice Escher, poiché la trasmissione dell’immagine, quindi la comunicazione stessa, deforma il contenuto che viene comunicato.
Questa deformazione avviene perché nel contenuto entrano in gioco il comunicante, oltre che il comunicato, in quanto sono strutture non pure che quindi deformano l’immagine comunicata e la implementano con la propria esperienza e con la propria aspettativa.

Quello che ho percepito visitando i siti archeologici è questo: che Göbekli Tepe, e ancor più Karahan Tepe, rappresentano la comunicazione originaria: c’è una comunicazione che non è stata alterata cioè la comunicazione per eccellenza che gli sciamani tepani (chiamiamoli così, gli sciamani di Tepe) hanno “telegrafato” innalzando i loro monoliti.
I monoliti di Tepe sono in pratica delle antenne, ovvero delle ricetrasmettenti per mandare ad altri siti una comunicazione originaria: non una comunicazione, bensì la comunicazione originaria.
Questa comunicazione originaria mette in Comunione gli elementi terra, sole e acqua ma, soprattutto, la sensazione che ho avuto nella mia elaborazione quella notte è che gli sciamani tepani, probabilmente al centro di un’ara, riuscivano a comunicare con un altro sciamano distante decine di chilometri da un altro sito e questo istantaneamente e sincronicamente.
Io credo che nei siti di Göbekli Tepe abbiamo a che fare con degli apparecchi di comunicazione che sono delle ricetrasmettenti che si attivano con particolari procedure che possiamo definire una “telegrafia” intra-dimensionale.
La mappa di questa superfice meta-archeologica riguarda una metafisica del territorio che gli antichi conoscevano e i moderni hanno perso: il luogo inteso come Topos, ovvero come manifestazione viva della forza sovrasensibile che mette in comunicazione un punto nevralgico (qui inteso nell’esempio del centro, il cerchio puntato solare) con un altro punto nevralgico.
Attraverso una particolare procedura i sacerdoti di Tepe riuscivano a comunicare fra di loro in punti praticamente distantissimi che però in quel momento erano una stessa struttura, uno stesso tessuto.

“Chi giunge da forestiero riconosce nel «rilucere» che qui altri uomini hanno eretto il loro ordine.”
Scrive Walter Burkert, I Greci – Età arcaica, Età classica (sec. IX-IV) (Tomo 1-Jaca Book (1984) pag. 107).

Nello scritto Del cielo Aristotele afferma che all’esterno del cielo non vi sarebbe né spazio né tempo; «là» vi sarebbe dunque solamente incorporeità, immutabilità: la vita migliore autosufficiente nell’eternità; lo si potrebbe dunque chiamare Aion, piena durata, in quanto confine ultimo. Che comprende i confini di tutto il cielo, l’intero tempo, il privo di limiti. E questo gli sciamani hanno fatto.
D’altronde la teologia orientale non ha ignorato che il “luogo” non è un fatto statico e privo di attività comunicativa, ma, anzi, esso ha il potere di comunicare con altri della stessa “specie”.

“Ogni parte del mondo vibra empaticamente con le altre. Grazie a questa immanenza, all’uomo è dato di interiorizzare, di ampliare il suo luogo, di identificarlo, sotto il profilo etico, con il mondo intero”
Pavel Nikolaevič Evdokimov, in Dostoevskij e il problema del male, (Città Nuova, Roma 1995, p.152)

Il sacerdote immerso a Tepe doveva diventare esso stesso dimora, Betel, comunicazione inalterabile.

“Colui che è in preghiera è rivestito della luce senza forma, egli è luogo di Dio”
Evagrio Pontico, Praticos 1,70

“Tutti i punti dello spazio sono frammenti del Templum mundi”
Paul Evdokimov, L’ortodossia, Capitolo 2,1

Sono propenso a credere che lo spazio sia un tessuto articolato, che la sua espansione apparente sia in realtà una contrazione, di modo che quanto accade in un luogo, come per osmosi, accade in un altro, come quando, toccato un punto sensibile del corpo, mediante invisibili reti e innervature spaziali, questo palpito accade istantaneamente in altro punto del tessuto vivente. In questo modo, intervenendo su di un solo punto, si interviene sulla totalità e ciò che accade qui è ciò che sta accadendo altrove, e ciò che qui viene compiuto viene compiuto in un altro luogo.

Lo spazio è un sistema nervoso che mette in comunicazione diversi centri nevralgici e diviene pertanto un sistema telegrafico metafisico che connette punti apparentemente distanti e impossibili da porre in relazione, una relazione istantanea e totalizzante.
La prova di questa teoria dello spazio sta proprio nei siti di Göbekli e Karahan Tepe.

Se potessi dire, naturalmente con una traduzione molto approssimativa, qual’è questa Comunicazione originaria, telegrafata dagli sciamani tepani, oltre a trasmettere i tre elementi originari (quindi anche la centralità della vita, del sole, dell’acqua e della terra) la grande comunicazione originaria, l’assoluta comunicazione originaria è la gratitudine.

I sacerdoti comunicavano la gratitudine, la coscienza dell’uomo di essere vivo. L’uomo prende coscienza di essere vivo, che la vita è un miracolo, questa coscienza gli arriva da altrove e lui risponde con la gratitudine.
Il sacerdote di Tepe rimbalza e diffonde la comunicazione originaria della gratitudine: “Io sono grato perché sono vivo”.

Emanuele Franz

Tratto dal libro -L’acqua della vita. Pellegrino in Anatolia alle origini del Sacro- di Emanuele Franz (Audax 2024)

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Emanuele Franz è nato il 14 agosto 1981 a Gemona in Friuli (Italia) e vive a Moggio Udinese. È saggista, filosofo, attore e poeta. Si occupa di filosofia e storia delle religioni e ha al suo attivo più di 30 pubblicazioni, nelle quali spazia dai romanzi alla saggistica, dai dialoghi alle opere drammatiche, dalla letteratura di montagna all‘ermetismo. Nel 2017 ha pubblicato “La storia come organismo vivente”, un saggio sulla storia universale in cui sostiene una teoria innovativa del tempo. Organizza convegni culturali internazionali (come il convegno Identitas) e i suoi libri sono tradotti anche in serbo “Evropa u sumraku” (“Europa al crepuscolo”), edizioni Prometej, Novi Sad, Serbia 2022, in tedesco “Metaphysik des Baumes” (“Metafisica dell’Albero”), Audax edizioni 2023, inglese “You are One” (“Voi siete Uno”) edizioni Prometej, Novi Sad, Serbia 2023, e russo “Все вы одно” (“Voi siete Uno”), Audax Editrice 2023.

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