di Mario M. Merlino
Nel 1991 venni nominato commissario d’esame per la maturità nel liceo scientifico di Gorizia. Una cittadina di trentacinque mila abitanti con pochi palazzi e molte villette circondate dal verde. Allora un muretto e una recinzione, modello giardino privato, indicava l’innaturale confine che tagliava la città con il trattato di pace del 10 febbraio 1947. A ridosso, in stile liberty, la stazione di Monte Santo su cui, fino all’inizio dell’anno, campeggiava la stella rossa della Yugoslavia di Tito. A Natale gli sloveni vi avevano aggiunto una bella coda rendendola la cometa dei re Magi; poi, passate le feste, coda e stella erano state smontate visto che anche la Yugoslavia, un aborto multietnico era anch’esso cosa passata. A giugno, credo il 26, dichiarazione d’indipendenza della Slovenia e della Croazia.
Con i miei capelli lunghi e barba potevo prestarmi a passare per quegli avventurieri di frontiera, immortalati nel bel libro Gli amanti dell’Orsa Maggiore. E, infatti, fui fermato due volte da agenti in borghese, uno dei quali più capellone e barbuto di me ( era lui forse un autentico frontaliere, terrorista e contrabbandiere? Fui tentato di chiederglielo, ma ebbi il sospetto che non avrebbe capito e gradito). Una volta lungo la linea di confine dove alloggiavo – hotel Transalpina -; l’altra al parco delle Rimembranze dove c’è il monumento ai caduti, danneggiato dagli slavi con una bomba durante l’ultima fase del conflitto e lasciato a monito.
Poi tutte le mattine una tranquilla passeggiata verso piazza Julia, sede dell’istituto, soffermandomi in piazza della Vittoria, già piazza Grande, con la fontana del Nettuno e su un palazzo la lapide a ricordare che in quelle mura, in una grigia giornata di ottobre del 1910, mattina del 17, Carlo Michelstaedter si era suicidato con un colpo di pistola alla tempia. A soli ventitré anni e appena spedita a Firenze la tesi di laurea su La Persuasione e la Rettorica. Figura principe, insieme a Nietzsche, del periodo filosofico di Julius Evola, dimostrando una attenzione particolare nel desolante scenario di tanta cultura italiana, e oggetto della mia tesi, appunto, su Il suicidio metafisico in Carlo Michelstaedter. Coincidenze, eterno ritorno: Adriano Romualdi incontrato l’ultima volta di fronte alla libreria Tombolini dove avevo acquistato il saggio del Piromalli sul filosofo goriziano e la telefonata ad Evola, pochi mesi prima che morisse, per raccontargli del mio lavoro universitario.
Gorizia, città di confine. Luogo di residenza della nobiltà e della ricca borghesia dell’Impero asburgico. Qui era morto in esilio l’ultimo re di Francia, Carlo X, cacciato dalle fucilate dalle barricate dagli insorti a tutto beneficio dei massoni e loro sodali nelle giornate di luglio del 1830 e qui sepolto, in un eremo di frati appollaiati su uno sperone di roccia. Il confine è simile ad una porta, strumento designato ad aprirsi o richiudersi. Il giurista tedesco Carl Schmitt ricordava l’analogia con il termine latino ‘portus’ per la contrapposizione epocale tra chi sfida il mare, intendendo il porto una porta aperta verso la vastità degli oceani (l’Inghilterra in primo luogo), e chi nel porto si ancora e cerca rifugio dai marosi, sviluppando un’idea terrigna della potenza e del potere. E aggiungeva: chi domina i mari, domina la terra; chi opera sulla terra (ad esempio Napoleone) è destinato ad essere sconfitto.
Una tarda mattina, finiti gli esami, con la macchina del collega di matematica e con quello d’inglese ci dirigemmo al valico di confine di Case Rosse per andare al freeshop e comprarci le sigarette (allora ancora fumavo, avrei smesso in agosto dell’anno dopo). Carabinieri polizia guardie di finanza, armi alla mano, giubbotti antiproiettile ed elmetto.
Dall’altra parte tre mezzi corazzati con le bocche di fuoco puntate verso l’Italia e, ammainata la bandiera slovena, il vessillo della vecchia Jugoslavia. ‘Se volete passare, non possiamo impedirvelo, ma qui tra poco si spara’. ‘No, grazie, il fumo ci rende nervosi’…
Tra casette e orti una sottile fila di miliziani scendeva con un paio di bazooka, non visti, e… una botta dopo l’altra, raffiche di mitra, i mezzi che sprigionano alte nuvole di fumo nero, un soldato trascinato per un piede. Pochi minuti, forse solo qualche istante. Tutti per terra, dietro le macchine, una raffica crivella il muro dell’ospedale psichiatrico a poche decine di metri da noi. Un tipo alto magrissimo capelli color stoppa sparsi sulle orecchie e sulla nuca riprende la scena con una telecamera. Ha la camicia rosso scuro sbottonata. Dal collo gli pende una svastica d’oro retta da una robusta catenina.
Nei giorni successivi sacchetti di sabbia al centro delle strade prossime al confine, soldati italiani in tuta mimetica e grosse mitragliatrici… Avremmo fatto meglio a non sottoscrivere il trattato di Osimo, uno dei t
anti gesti sprovveduti e vili della nostra classe politica. Le avvisaglie di una crisi dei Balcani erano già percepibili e avremmo potuto tentare di ridefinire quei confini che ci avevano sottratto l’Istria e tratti di Venezia Giulia. Del resto, ciò che preoccupava i nostri governanti era se ci fosse o meno un’ondata di profughi, dove alloggiarli, quanto ci sarebbero costati in scatolette di tonno e carne in gelatina, meglio che si cuocessero nel brodo di lotte intestine, orrore e sangue e rovine e odii. A noi bastano le contese Roma-Lazio o tra i fans di Vasco Rossi e Luciano Ligabue, eredi de La Secchia rapita del Tassoni (che nulla ha a che spartire con l’ottima cedrata!).
anti gesti sprovveduti e vili della nostra classe politica. Le avvisaglie di una crisi dei Balcani erano già percepibili e avremmo potuto tentare di ridefinire quei confini che ci avevano sottratto l’Istria e tratti di Venezia Giulia. Del resto, ciò che preoccupava i nostri governanti era se ci fosse o meno un’ondata di profughi, dove alloggiarli, quanto ci sarebbero costati in scatolette di tonno e carne in gelatina, meglio che si cuocessero nel brodo di lotte intestine, orrore e sangue e rovine e odii. A noi bastano le contese Roma-Lazio o tra i fans di Vasco Rossi e Luciano Ligabue, eredi de La Secchia rapita del Tassoni (che nulla ha a che spartire con l’ottima cedrata!).
Così facemmo già con le genti esuli da Pola Fiume e le città sulla costa dalmata…
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