7 Ottobre 2024
Esteri Euro Grecia

Grecia: e adesso sono cavoli amari

C’era da aspettarselo. Ad Atene non si erano ancòra chiuse le urne, e già a Berlino e a Bruxelles iniziava la nuova campagna intimidatoria: la Grecia dovrà rispettare gli impegni, tuonavano madame Merkel, il direttore della Bundesbank e tutto il gotha dell’oligarchia eurocratica. Il tono era una via di mezzo fra l’ultimatum della Wehrmacht e il “consiglio che non si può rifiutare” del Padrino.

Poveretti, c’è da capirli. Il castello di carte dell’Unione Europea frana miseramente, un bastione alla volta, ogni qual volta gli elettori siano lasciati liberi di pronunziarsi. Anche la Costituzione Europea è stata bocciata clamorosamente nel 2005, quando è stata sottoposta a referendum in Francia e in Olanda. Dopo di che – è bene ricordarlo – questi insigni cultori della democrazia made in USA si sono precipitati a cancellare tutti i referendum già programmati in Cechia, Danimarca, Irlanda, Polonia, Portogallo, Svezia e Inghilterra. I più furbi – e in prima fila gli italiani – avevano accuratamente evitato il referendum, limitandosi a fare ratificare la Costituzione dai rispettivi Parlamenti. Dal 2005, comunque, è stato tutto un susseguirsi di débâcles nelle urne: dal referendum svizzero sull’immigrazione, alle recenti elezioni per il Parlamento Europeo che hanno visto – fra i tanti guai – i partiti antieuropei ottenere il primo posto in Francia e in Inghilterra. E, adesso, questa tranvata in Grecia. È chiaro, a questo punto, che l’Unione Europea non è voluta dai popoli, ma soltanto da una minoranza di politicanti utopisti e di banchieri attenti solamente ai saldi di bilancio e indifferenti ai problemi concreti della gente.

Questo voto greco, peraltro, è pericolosissimo (per i poteri forti) perché ha due terribili implicazioni, suscettibili di “contagiare” le altre nazioni. La prima è la presa d’atto della assoluta inconciliabilità di interessi fra Germania e soci, da una parte, e dall’altra i paesi dell’Europa latina e mediterranea; con il conseguente materializzarsi di una scissione che vedrebbe fatalmente la costituzione di quel blocco revisionista che è stato talora teorizzato su queste stesse pagine: oltre alla Grecia, anche Italia, Francia, Spagna, Portogallo e forse altri. La seconda implicazione, assolutamente non gradita ai padroni del vapore, è l’alleanza fra la sinistra radicale di SYRIZA e la destra nazionale di ANEL: segnale pericolosissimo per il “sistema” eurocratico, assolutamente non in grado di resistere all’urto di una coalizione fra tutti i “populismi”.

Detto ciò, va anche detto che adesso la Grecia dovrà affrontare la guerra finanziaria che le decreteranno tutti i poteri forti, i quali hanno la necessità assoluta di dimostrare alle altre nazioni europee che non è possibile scrollarsi di dosso il ricatto dell’usura finanziaria e che si deve continuare a pagare senza ribellarsi. Pena – come nei romanzi criminali – ritorsioni più pesanti. È un film già visto: in Argentina, in particolare.

Alexis Tsipras, nei prossimi mesi, sarà posto di fronte a un bivio: o curva la schiena e riprende la politica di macelleria sociale, o il Fondo Monetario Internazionale e l’Unione Europea sospenderanno i prestiti necessari al governo di Atene per la spese correnti. Dilemma ineludibile? Niente affatto. Per la Grecia (e non solo per la Grecia) esiste una terza alternativa: riappropriarsi della sovranità monetaria e tornare a battere una propria moneta. Magari in regime di doppia circolazione: la dracma per il mercato interno, e l’euro per il commercio estero e per i pagamenti agli usurai.

In fondo, la politica è l’arte del possibile. E una soluzione del genere è certamente possibile.

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