di Gianfredo Ruggiero
Guernica, il celebre dipinto di Pablo Picasso, è un quadro riciclato. Fu infatti realizzato dall’artista molti anni prima del bombardamento tedesco della cittadina basca durante la guerra civile spagnola (1936-39).
Come tutti gli spagnoli, Picasso amava le corride e, rimasto colpito dalla morte del famoso torero Joselito, suo beniamino, decise di dedicargli un dipinto. Così alcuni anni dopo realizzò una grande tela gremita di figure tragicamente atteggiate, tra cui un toro decapitato e un cavallo sventrato (quello del matador), che titolò per l’appunto “Lamento en muerte del torero Joselito”.
Nel 1937, in piena guerra civile, il governo repubblicano-comunista, di cui Picasso era un fervente sostenitore, gli commissionò un quadro per ricordare, o meglio enfatizzare, le conseguenze del bombardamento tedesco avvenuto nei pressi della cittadina Basca di Guernica da esibire all’Esposizione Universale di Parigi prevista per l’anno dopo. Così il nostro artista riesumò il dipinto dedicato al torero e, apportati alcuni aggiustamenti, lo ribattezzò “Guernica” e lo cedette al governo alla modica cifra di 300.000 pesetas dell’epoca. Qualcosa come un milione degli attuali euro.
In quegli anni di guerra civile, di morte e distruzione, le popolazioni pativano la fame e il nostro uomo, icona della sinistra proletaria, non ebbe scrupoli a intascare quella enorme somma che contribuì a fare di lui uno degli artisti più ricchi della storia.
Da allora il celebre dipinto è diventato il simbolo per eccellenza della protesta dell’umanità contro la barbarie, tale da meritarsi una sala tutta per sé al Metropolitan Museum di New York dove migliaia di “pellegrini” per anni sono sfilati in religioso silenzio, ignari o consapevoli di trovarsi di fronte ad un evidente falso storico che ha fatto ricco il suo autore.
Altro falso storico è la vicenda che ha ispirato il quadro, ossia il bombardamento di Guernica. Secondo certa storiografia faziosa la cittadina Basca, il 26 aprile del 1937, fu rasa al suolo da un violento attacco dell’aviazione tedesca che voleva sperimentare nuovi aerei e nuove tecniche di bombardamento. Per puro sadismo i nazisti, che sostenevano il fronte monarchico del generale Franco contro quello repubblicano appoggiato da Stalin, decisero di effettuare l’azione di lunedì, giorno di mercato. La conseguenza di questo vile attacco su una pacifica e indifesa cittadina fu di 1654 morti e 889 feriti, in massima parte civili.
Questa tesi, ancora oggi propagandata e riportata addirittura nei libri di testo, è stato smentita nel 2003 da un imponente volume di 600 pagine dal titolo “Los mitos de la Guerra Civil”, in cui lo storico Pio Moa, già militante nel Partito comunista spagnolo, ricostruisce con assoluto rigore la controversa vicenda.
Recentemente il giornalista Rai Stefano Mensurati nel suo documentatissimo libro “Il bombardamento di Guernica”, sfata definitivamente il mito di una cittadina immersa in un’atmosfera bucolica, colta di sorpresa e attaccata senza motivo e in maniera selvaggia.
Guernica era in realtà un obiettivo militare. Distante una ventina di chilometri dal fronte, era sede di due fabbriche di armamenti, di un nodo ferroviario cruciale per i rifornimenti e di un ponte indispensabile ai repubblicani per ripiegare in difesa di Bilbao. Era presidiata da un contingente di 2.000 uomini e protetta da un sistema di batterie contraeree. Numerosi rifugi erano stati predisposti in previsione di possibili attacchi dall’alto.
Ad effettuare l’incursione furono, quel 26 aprile del ’37, alcuni bombardieri tedeschi affiancati da una quindicina di velivoli italiani. L’obiettivo era il ponte di Renterìa, sul fiume Oca, che doveva essere distrutto per ostacolare il transito delle truppe repubblicane. Inevitabilmente (non c’erano ancora le bombe intelligenti) alcuni ordigni caddero nel centro abitato, infatti su 39 crateri individuati dalla ricognizione aerea, solo 7 risultano nell’abitato. I morti realmente accertati furono 126 e i feriti una trentina, numeri ben distanti da quelli propagandati. Le due fabbriche di armi, poco distanti dall’abitato, non furono neanche sfiorate dagli ordigni (se fossero state colpite il numero di vittime sarebbe stato molto maggiore) segno che l’obbiettivo non era il paese e né tantomeno i suoi abitanti.
Altra interpretazione truffaldina riguarda le famose fotografie che ci mostrano una città semidistrutta. Fu invece appurato che furono proprio i miliziani anarchici, durante la loro ritirata, a far saltare con la dinamite, di cui disponevano in abbondanza (siamo nelle Asturie, terra di miniere) gran parte degli edifici per ostacolare l’avanzata delle truppe franchiste, il fuoco delle abitazioni in legno fece il resto. La stessa tecnica fu poi adottata dai sovietici durante l’invasione tedesca della Russia.
Un aspetto sconcertante riguarda la presunta crudeltà dei tedeschi che per infierire sulla popolazione civile, dicono gli storici partigiani, decisero di effettuare l’incursione di lunedì, giorno di mercato. Tesi completamente falsa perché il mercato (che fra l’altro quel giorno era stato soppresso) terminava a mezzogior
no, mentre l’azione italo-tedesca si svolse a partire dalle 16 e 15.
no, mentre l’azione italo-tedesca si svolse a partire dalle 16 e 15.
Come si è giunti a uno stravolgimento dei fatti così clamoroso lo possiamo comprendere leggendo la cronaca di quei giorni attraverso l’unico corrispondente di guerra presente che, come a volte avviene ancora oggi, seguiva gli avvenimenti bellici da una comoda stanza d’albergo a debita distanza dal fronte. Si tratta dell’inglese George L. Steer il quale lavorando di fantasia, venuto a sapere che il lunedì era giorno di mercato, scrisse da Bilbao la cronaca degli avvenimenti descrivendo le inermi massaie e i vecchi contadini morti sotto le bombe tedesche e il mitragliamento a volo radente. Peccato che quel giorno il mercato non si tenne.
Tuttavia, nonostante si capi fin da subito che la corrispondenza non era il resoconto oculare, ma il parto di una mente fantasiosa, la cosa venne accetta come vera. Il motivo è semplice: faceva comodo sia alla propaganda comunista per coprire le malefatte dei rossi ai danni dei cattolici perseguitati e massacrati a migliaia, sia a quella del governo britannico impegnato a convincere l’opinione pubblica della necessità di sostenere le ingenti spese per il riamo al fine di fronteggiare il potenziale bellico che i tedeschi hanno dimostrato di possedere a Guernica, anche se a essere impiegati erano dei normalissimi apparecchi come il trimotore Junkers-Ju-52 e non certo i modernissimi Stukas.
Scorrendo su internet è sorprendente notare come questo duplice falso storico (il quadro milionario riciclato di Picasso e la ricostruzione artefatta del bombardamento di Guernica) sia invece comunemente accettato come verità assoluta. Evidentemente certi miti che hanno fatto la fortuna (è il caso di dirlo) di qualcuno e di una parte politica a corto di idee, non si toccano. La verità può attendere.
Chissà se a qualche artista contemporaneo un giorno verrà in mente di dipingere un quadro per ricordare i bombardamenti terroristici alleati sulle città italiane e tedesche sul finire della guerra, le bombe atomiche sul Giappone prossimo alla resa, il napalm sui villaggi vietnamiti e gli ordigni al fosforo che fecero strage di civili a Falluja in Iraq? E chissà se esiste un governo disposto a sborsare un milione di euro per acquistarlo, come avvenne per il fortunato quadro di Picasso? Mah.
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