7 Ottobre 2024
Etica della Guerra

Guerra e Pace – Renato Padoan

 

 

I perdenti, gli sconfitti non possono che essere taluni morti ma non tutti i morti dacché i morti dei vincitori, sono morti vincenti dal momento che essi hanno accettato la Guerra con la speranza della Vittoria. Si può pensare veramente a un Gruppo che scenda in Guerra con l’assoluta certezza della sconfitta prima che della morte? Se non vi è alcuna speranza di poter vincere chi parteciperebbe a un tale Gioco?

Se la struttura della Guerra è il Gioco e il Gioco è “game” non è “pastime”, come dire che non si va in Guerra tanto per passare il tempo, a meno che non si sia dei militari di carriera verrebbe fatto di dire, che tali rimangono anche in assenza di Guerra!

Sono vincenti sia i sopravvissuti vittoriosi che i morti vittoriosi mentre sono perdenti soltanto i sopravvissuti dei perdenti. I morti dei perdenti sono egualmente vittoriosi per non aver conosciuto la sconfitta e per aver sperato nella Vittoria.

Ehr Sheng: Almanacco di Strategia Trascendentale – Chi vince, chi perde? Pag. 251 e seguenti

 

Traggo dall’Almanacco di Ehr Sheng quest’acconcia riflessione sul tema della guerra la quale costituirebbe comunque, cioè sempre e dovunque, una perdita sia per coloro che la promuovessero che per coloro che la subissero insomma per ambedue i contendenti.

In guerra nessuno vince ed ambedue perdono!

Può credersi ciò?

Che una guerra sia comunque perdente è una banalità che si comprende e si tollera soltanto nel monito di un Pontefice.

Del paradosso così formulato bisognerà andare a fondo nel senso che se il Pontefice può aver detto così e l’ ha detto e ripetuto più volte, ciò è nel suo dire, nella bocca e nel verbo del Pontefice più che corretto e sensato perché il Pontefice è in tal caso il condottiero non di uno Stato che comprende un esercito e dei laici ma di uno stato che non ha che un esercito solo e nessun laico tra le sue componenti. L’esercito della Chiesa[1] non ha laici ma soltanto i militi di una guerra che non avrà la sua conclusione che nell’ al di là perché come sentenziò Sant’Agostino ne la Città di Dio, non è possibile erigere una fortezza contro il Male per coloro che si accampano e resistono peregrinando lpropria esistenza.

Non è come disse e credette Stalin che chiese di quante divisioni disponesse il Vaticano perché il Vaticano, lo Stato della Chiesa coi suoi ministri e magisteri non è che un unico esercito disposto a morire nel Cristo in cui il Dio creatore si è ricreato per riattingere con esso l’eternità iniziale. L’armamento di un tale esercito sta tutto nella devozione e nel giuramento specie ora che è guidato da un Gesuita che oltre i voti di obbedienza, castità e povertà assume, in un corto circuito mai prima prodottosi, anche quello di obbedienza al Papa cioè a sé stesso!

Si ha che si sappia un solo esempio di un tale esercito vincitore senz’armi e senza esercito composto di soli credenti che abbia superato la potenza dell’oppressione nemica ed è la vittoria di Gandhi sulla prevaricazione imperiale inglese.[2] Ciò può accadere soltanto se si costituisce un solo esercito formato da un popolo tutto e non da militi e laici, da armati e disarmati insieme e ciò perché se si distinguono gli armati dai disarmati vi è già all’interno della compagine il germe malevolo e invincibile – esso sì ! – di una guerra futura. Occorre che la militanza sia estesa a chiunque e non soltanto a taluni e con essa la trascendenza mortale.

Dopo che si sarà riflettuta la circostanza di una fede costituita da soli professionisti disarmati ma armati con essa e di un popolo come fu quello guidato da Mahatma si potrà con avveduta coerenza e non per imbecille ipocrisia parlare di una guerra che vince senza combattere nell’accettazione mortale.

Salvo l’eccezione di uno Stato costituito di soli combattenti e non già diviso in coloro come disse Breton che sanno perché si fa una guerra ma non la fanno facendola fare a quelli che la fanno senza sapere il perché la fanno, sennonché nemmeno questo paradosso coglie l’essenza della guerra.

La guerra è insita nella formazione dello Stato stesso e si dovrebbe dire del gruppo stesso.

Gli eserciti sono l’evidenza della guerra ma non ne sono l’essenza. Anche i malfattori rinchiusi in un carcere sono i perdenti di una guerra tra chi possiede e chi non possiede o vorrebbe semplicemente possedere più di quanto non possegga ora e desideri possedere.

Non esistono buoni e cattivi a priori come non esistono ricchi e poveri a priori ma lo si diventa nell’ambito di un contesto comune che è quello che consocia i diversi che nascono da coloro che copulano per generarli.

Si può generare e si genera e si produce povertà nella ricchezza e così infelicità nella felicità propria se non è anche l’altrui facendo oscillare la bilancia del dare e dell’avere. Ciò si continua a fare e i rimedi possono essere peggiori della cura e delle intenzioni.

Come porre fine alle disuguaglianze e con esse alla guerra?

Come rendere sudditi e sovrani ambedue i contendenti pacificamente intesi e conviventi?

Come comandare e ubbidire con la medesima gioia?

A parole tutti vorremmo la pace, non nuocerci vicendevolmente ma stare soccorrenti, benevoli, generosi e pazienti l’uno accanto all’altro e allora perché ciò non accade?

Qual’ è la risposta che si può dare?

A questa ammutolita umanità che si dispera nell’avvicinarsi del conflitto che presentisce il sonoro delle trombe apocalittiche risponde con un ghigno beffardo e sapiente la dea Fortuna.

La guerra è un GAME, è un gioco che diverte perché promette la vincita.

La guerra è un gioco come il gioco d’azzardo in cui si può vincere come perdere perché si vince sottraendo a quell’altro il suo in più e si perde cedendo a quell’altro l’ in più che si detiene. Ogni gioco giocato esclude la parità del dare e dell’avere.

Non si cambiano 1000 dollari con 1000 dollari ma il danaro con qualcos’altro.

 L’argent fait la guerre disse Napoleone ed Hitler disse egualmente Geld geld! ich brauche geld ohne geld nicht zu machen cioè Danaro, danaro Io ho bisogno di danaro senza danaro non si fa niente.

Lo scambio si fonda sulla diversità e non sull’eguaglianza e così è il danaro che misura la differenza ma con essa si hanno lo scambio, i commerci e la concorrenza vittoriosa o la perdita fallimentare.

Vi è ancora registrato perché lo vidi nel corso di un seminario tanti anni fa a Parigi lo sketch del comico tedesco Valentin in cui due operai esprimono tutta la loro contrarietà per la guerra salvo poi a cambiare idea perché ambedue erano operai in un’ industria di armamenti.

Karl Valentin, pseudonimo di Valentin Ludwig Fey (nacque a Monaco di Baviera4 giugno 1882 – Planegg, 9 febbraio 1948). Egli è stato anche è stato un commediografo tedesco, che ha avuto una influenza significativa sulla cultura tedesca al tempo della Repubblica di Weimar.

Possiamo veramente dolerci nei confronti di coloro che sono partecipi dell’idea stessa di una guerra comunque sia essa di difesa od aggressiva? Perché non abolire allora nei nostri costumi il gioco d’azzardo che obbedisce alla stessa identica funzione di promettere il meglio a scapito di quell’altro. Colui che vince a una lotteria quali sono mai i suoi meriti se non quelli d’intascare insieme allo Stato il danaro dei perdenti che si illusero come lui di pervenire al bottino?

Vi è un mirabile film The lottery cui diamo ai nostri lettori il link per vederlo nel quale il tema della lotteria subisce un perfetto ribaltamento che vado a illustrare.

 

 

In una lotteria uno o pochi sono i Vincenti per rispetto ai molti, a tutto il resto che sono i Perdenti. La vincita è somma e la perdita in definitiva è poca e sembra accettabile. Questa speranza mette in forma il gruppo che l’accetta. Ma può aversi come nel film il contrario e cioè quello di una lotteria che gratifica, assolve la maggioranza e punisce il singolo se non la minoranza. Ambedue queste soluzioni sembrano tenere in forma il gruppo. Non tutti sono in galera ma potrebbero andarci e pertanto cautela e obbedienza.

La guerra opera come la seconda lotteria cioè premia gli scampati che sono pur sempre una maggioranza per rispetto ai morti in guerra di guerra, ma non solo perché i morti in guerra vengono resi sacri e premiati. Non conosciamo i nomi di tutti quelli combattendo si sacrificarono nella prima guerra mondiale per la Patria per aggredire un Impero con cui avevamo avuto da secoli solo scambi pacifici con frontiere che vedevano l’ andare e il venire di etnie diverse germaniche ed italiche, solidali e simpatetiche, ed empatiche come oggi si direbbe, ma che furono traviate da una propaganda occhiuta.

Se si leggono ora i nomi dei caduti nella Prima Guerra Mondiale nei cenotafi non si può non riflettere sul fatto che molti di quei cognomi non appaiono più nel presente perché quei caduti non ebbero figli ma soltanto medaglie e nomi cognomi di pietra scolpiti.

Non si può più ora chiedere loro se non avessero desiderato una sorte diversa, meno gloriosa, con dei figli e nipoti anonimi ma vitali e viventi!

Non è possibile in terris vivere in pace a meno che il vivere non sia un essere consapevole per la morte cioè per la fine e non già per la vita e l’illimitato della crescita funesta.

Come il Dio non gioca a dadi così deve fare l’uomo col mondo e non scommettere sul futuro.

 

Renato Padoan

NOTE

[1]La famosa frase “Quante divisioni ha il Papa?” è attribuita a Joseph Stalin. La pronunciò in modo provocatorio durante i colloqui di Yalta nel 1945, quando qualcuno gli fece presente che si dovevano considerare anche le esigenze di Papa Pio XII risguardo al futuro assetto europeo.

[2]Si fa riferimento alla famosa Marcia del sale. Gandhi partì a piedi e nei 300 chilometri che lo separavano dal mare, si aggregarono a lui circa due milioni di persone e da lì a poco tutti gli indiani iniziarono, più come gesto di sfida che come reale necessità, a procurarsi il sale in maniera autonoma. Gli inglesi a questo punto non la presero benissimo e arrestarono 100 mila persone, ma la ‘ribellione del sale’ ormai era in atto e non si fermò.

 

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