Guerra modernissima: i nostri lanciano granate a mano nelle trincee nemiche distanti pochi metri.
Durante la Prima guerra mondiale, una guerra come più volte ripetuto detta di posizione, avvenivano pericolosi attacchi da una linea all’altra, scagliando ordigni direttamente nelle trincee, sia per uccidere i soldati nemici che per rendere inagibili i ricoveri sotterranei, soprattutto le infermerie. I soldati furono dotati di primordiali armi chimiche, secondo le stime ne usarono per un totale di più di 50 mila tonnellate di materiale, più o meno come se venissero consumate per intero più di 300 mila bombolette di deodorante spray dei nostri giorni. (Prima Guerra Mondiale – La chimica in trincea) In particolare la guerra chimica nel 1914 si faceva con tre sostanze chimiche: il fosgene, l’iprite e il cloro, lo scopo era quello di uccidere il nemico o di metterlo almeno fuori combattimento.
Questi gas velenosi venivano impiegati in due modi: per emissione a getto continuo come una nube, oppure per mezzo di proiettili, granate o qualsiasi sorta di ordigni da trincea. Anche se studiate prima della guerra e preparate con finalità di pace, molte sostanze rivelarono proprietà tossiche sorprendenti e nettamente superiori ai prodotti normalmente usati in chimica industriale o come veleni per altri scopi e applicazioni. Per esempio il gas“Fosgene“, fu scoperto miscelando cloro e ossido di carbonio per la preparazione di colori e la colorazione dei tessuti. Gli effetti del fosgene sull’uomo sono molto aggressivi e portano a pesanti lesioni all’apparato respiratorio, irritazione alla bocca e una tosse convulsiva persistente. La morte quando veniva inalato sopraggiungeva entro 72 ore per emorragia interna delle vie respiratorie.
L’iprite, invece era un liquido di color bruno-giallognolo estremamente vescicante. Veniva detto “gas mostarda” per il suo caratteristico odore. Anche questo terribile gas veniva già impiegato dal 1910, nell’industria tedesca, per la creazione di vernici e medicinali. Oltre ad avere effetti vescicanti di enorme intensità, ristagnava sulle divise, sull’intero campo di battaglia e persino nel sottosuolo, aumentando la sua potenzialità d’offesa per settimane e settimane. Anche il Cloro, quello che oggi comunemente utilizziamo come disinfettante nelle piscine, è stato responsabile durante il primo conflitto mondiale della morte di molti soldati, procurando asfissia.
Dopo il termine del conflitto spesso metodi e mezzi sono stati messi sotto accusa, ma anche prima e durante, la guerra stessa era stata messa in discussione, ci furono diverse correnti di pensiero, gli interventisti e i neutralisti quelli che si spesero anima e corpo per la vittoria e quelli che si rifiutarono di combattere, un fenomeno avvenuto non solo in Italia.
Mi sono imbattuta in un libro scritto dal giornalista Will Ellsworth-Jones che racconta la storia di due giovani inglesi: uno ha combattuto con i suoi soldati contro l’esercito tedesco nella battaglia della Somme sul fronte occidentale francese, l’altro al contrario ha rifiutato di combattere a causa della propria fede ed è stato condannato a morte come traditore. Un libro affascinante e commovente che l’autore ha scritto dopo aver trovato interessanti graffiti in alcune celle inglesi, fra cui il viso di una giovane donna.
I fratelli Brocklesby, Philiph e Bert, erano stati cresciuti dagli stessi genitori, con le stesse regole e gli stessi valori. Erano educati, colti e pieni di aspirazioni per il futuro, molto uniti fra di loro, ma lo scoppio della guerra e le loro diverse prese di posizione causarono una frattura nella famiglia. Anche in Gran Bretagna, i giovani erano pieni di caldo entusiasmo patriottico e le ragazze regalavano piume bianche di “pollo” agli uomini sospettati di sottrarsi al servizio militare per codardia.
Philiph come milioni di altri giovani, prese le armi contro i nemici del suo paese, mentre Bert insegnante, maestro del coro, più avvezzo ai libri che alle armi, divenne un obiettore di coscienza, la cui profonda fede religiosa impedì di combattere e uccidere. A 25 anni, era un giovane di successo, già fidanzato e con un promettente futuro da insegnante anche se fra i suoi sogni vi era quello di andare in Africa, a fare il missionario. Una certezza comunque l’aveva: mai e poi mai avrebbe potuto imbracciare un fucile per sparare a un essere umano.
Partito volontario per combattere, Philiph non aveva spesso notizie del fratello che invece avendo rifiutato l’arruolamento, quando era diventato obbligatorio, era stato imprigionato ed era in attesa di giudizio, che si paventava il peggiore. I due fratelli si rividero, con molta emozione, mentre si trovavano in Francia, Philiph per andare al fronte e Bert sul punto di essere condannato a morte, perchè si rifiutava persino di preparare il cibo per i soldati inglesi che combattendo uccidevano altri esseri umani.
Nel frattempo, una delegazione, guidata dall’amante del leader pacifista Bertrand Russell, fece pressione sul Primo Ministro inglese Mr. Asquith, raccontandogli cosa stava succedendo, egli ascoltato l’appello, diede istruzioni affinché nessun obiettore di coscienza in Francia fosse fucilato per essersi rifiutato di obbedire agli ordini. E questo salvò Bert da un plotone di esecuzione. La pena fu commutata in reclusione e lavori forzati per dieci anni. In realtà, nel 1919 venne rilasciato e fece ritorno a casa.
Dopo la sentenza Philip, era partito per il fronte con “un cuore più leggero” e due mesi più tardi condusse con coraggio i suoi uomini all’attacco, vedendo cadere sotto i suoi occhi il comandante di compagnia, che fu solo uno dei 60.000 soldati britannici uccisi o feriti durante il primo giorno dell’offensiva della Somme.
Philip, nonostante avesse partecipato alla battaglia rischiando la vita e avesse visto due terzi dei suoi compagni morire attorno a lui, non provava rancore per suo fratello pacifista, quando fu di ritorno in patria, sopravvissuto alla guerra, la famiglia era di nuovo unita, e senza recriminazioni.
Bert continuò con le sue aspirazioni e la sua coscienza lo portò in Austria per aiutare le vittime della guerra. In seguito divenne missionario in Africa. Aveva perso l’amore della sua fidanzata Annie, che sposò invece un eroe di guerra, la stessa di cui aveva lasciato un rudimentale ritratto inciso sulle pareti della prigione dove era stato per tanto tempo.
Philip avviò una propria attività e prosperò negli affari, ma per tutta la vita fu turbato dai ricordi degli orrori della guerra che continuarono a dargli incubi e sofferenze . Due scelte diverse che condizionarono per sempre le loro vite.