Uno dei ritornelli più cantati degli ultimi anni dice: la società europea avrà mille difetti, ma per la prima volta nella loro lunga storia gli Stati d’Europa hanno imparato a governarsi pacificamente. Si tratta chiaramente di una pia illusione poiché una volta annullati i confini dal diritto talassocratico, sono comparse indefinibili «fasce di sicurezza» (confini non dichiarati) che vengono difese con le unghie e con i denti attraverso misure restrittive, guerriglie commerciali, rappresaglie politiche, e adesso anche barriere sanitarie. Recentemente il Global Research ha pubblicato un documento sul numero di persone uccise dalla ininterrotta serie di guerre, colpi di stato e altre operazioni sovversive innescate quasi sempre dall’Impero statunitense ma davanti alle quali l’Europa non si è mai tirata indietro.
Dal 1945 ad oggi ci sono stati non meno di 30 milioni di vittime, circa il doppio dei caduti della Prima guerra mondiale. Eppure, non si sa come, ci siamo autoconvinti di vivere in un mondo di pace. E’ stato sufficiente aborrire la guerra a parole e chiudere gli occhi di fronte alle azioni belliche che si susseguono in varie parti del mondo, per vedere uscire i fiori dai nostri cannoni.
Ultimamente non abbiamo esitato a giustificare i bombardamenti aerei della «coalizione» contro i tiranni mediorientali presunti gasatori di popoli, né dubitato dell’opportunità delle azioni armate di distrazione di massa che girano attorno al cuore dell’Eurasia, l’Iran, colpevole di «dare fastidio» al riassetto geopolitico immaginato da Israele, da attuarsi attraverso la destabilizzazione e la balcanizzazione del Nord Africa e del Medio Oriente.
Se davvero vivessimo in un mondo di pace, non si capisce per quale motivo gli Usa negli ultimi tempi si siano dati tanto daffare a riorganizzare le strutture della Nato dislocate in Europa, soprattutto in Polonia. Sebbene nell’est dell’Europa il Paese più atlantista (anche se sarebbe più corretto dire «sorosiano») resti la Romania.
La Francia (che dispone di un suo arsenale nucleare) ha un seggio permanente al Consiglio di sicurezza Onu. L’Italia, ad Aviano e Ghedi, «ospita» dei caccia Usa F-16C/D che possono entrare in azione in qualsiasi momento insieme ai nostri tornado PA-200, anche loro sempre pronti.
Sappiamo che l’Impero sta mettendo a punto un nuovo e micidiale bombardiere, il Raider B-21, ed è facilmente prevedibile che anche stavolta gli stati maggiori delle colonie europee eseguiranno gli ordini. Che purtroppo non si faranno attendere, perché l’elezione del nuovo presidente Usa ha richiamato in servizio il partito della guerra.
Ma se l’Impero ha le armi, numerose e sofisticate, la Cina ha i soldi. E andando avanti ne avrà sempre di più, insieme alle tecnologie, alle produzioni di qualsiasi bene di consumo, ai numerosi mercati di sbocco in Asia e in Africa, alle intese sempre più solide con la Russia e l’India.
Mentre la mentalità puritana e idealistica degli imperiali crea conflitti ovunque vada, quella pragmatica (confuciana) degli avversari è più conciliante. E noi Europei, abbiamo un’opinione personale o ci limitiamo ad eseguire gli ordini? Andare a fare la guerra «altrove» anziché in casa nostra basterà a salvarci dal Flegetonte, o finiremo tutti immersi nel fiume di sangue bollente del VII cerchio dantesco? Cosa penserà di noi, tra cinque o diecimila anni, il ricercatore che si troverà tra le mani il racconto di una delle tante «guerre umanitarie» scritto da un cronista occidentale di oggi?
Ipocrisie contemporanee
Terra d’incontro fra etnie differenti, crogiolo di rimescolamenti genetici e di adattamenti culturali, l’Eurasia è stata sovente un terreno di scontro. Stando alla ricostruzione di Plutarco venne prima civilizzata dal mitico «popolo di Crono», che in tempi primordiali diede al mare boreale il nome di Cronio, e poi dai «compagni di Eracle», espressione di un mondo che reclamava cambiamenti radicali e li otteneva a filo di spada.
Sotto l’ala di questi guerrieri il cuore del continente eurasiatico, teatro permanente di trasformazioni, prese il nome di «Terra del Toro», probabilmente perché correva l’Era in cui la Costellazione del Toro salutava la levata del sole all’equinozio di primavera (4.380 – 2.220 a.C. circa).
Se ci fosse un modo per calcolare i tempi di pace e di guerra negli ultimi 100mila anni, cioè da quando i colonizzatori Sapiens incontrarono gli autoctoni Neanderthal e i Denisoviani, noi Europei potremmo scoprire di essere stati quasi sempre in guerra, altro che «continente di pace».
Tanto varrebbe essere sinceri con se stessi e ammettere che le guerre sono un «male necessario», mentre l’aggressività fa parte della nostra natura. L’uomo non è incline a fare il bene, come voleva Socrate, ma semplicemente tristo per costituzione, per dirla con Machiavelli, e solo il timore della punizione (divina o terrena) lo trattiene dall’abbandonarsi agli istinti peggiori.
Non è un caso che sui social gruppi di giovani (maschi, per lo più) si diano appuntamento per darsele di santa ragione, e che ogni tanto qualcuno ci lasci la pelle. Questa però è violenza gratuita, mentre i «guerrieri solari» di un tempo erano illuminati dalla luce dello Spirito e raggiungevano livelli di fiducia interiore che i soldati moderni neanche immaginano. Né qualcuno chiede loro di farlo.
Ormai le guerre sono progettate nei salotti dell’alta finanza, è sparito dal mondo europeo il nemico la cui soppressione (Bernardo di Chiaravalle) non è omicidio bensì purificazione, e con esso se ne sono andate anche le «nobili cause» per cui battersi vale la pena.
A schiere di giovani del tutto ignari della propria storia non importa un fico secco se là fuori c’è un mondo orfano del Sacro da ri-sacralizzare. Non è un problema loro. Dopo decenni di pacifismo «d’ufficio» spesi a vivacchiare al riparo di ogni possibile rischio, gli Europei sono lontani dall’idea della guerra intesa come morte e rigenerazione. La Morte è uno dei più grandi tabù dell’Era moderna, figurarsi con quale occhio si guarda la mors triunphalis.
Gli ultimi guerrieri
Già durante la Prima Guerra Mondiale i combattenti preferivano il «vivi e lascia vivere» alla morte da eroi, essendo piuttosto basso il livello di ardore bellico che dovrebbe animare ogni valoroso soldato. Addirittura tra pattuglie nemiche s’instaurava il tacito reciproco accordo di ignorarsi a vicenda durante le missioni esplorative notturne, quando incontrandosi nella terra di nessuno si finiva immancabilmente per manifestare sentimenti amichevoli. Uniti sulla stessa barca a combattere senza un perché.
Le «guerre antiumane» del Novecento, prive di codici d’onore e regole condivise dalle parti, hanno svuotato di senso l’azione della guerra intesa come danza frenetica capace di coinvolgere il Corpo e lo Spirito, scatenando le potenze interiori. Il guerriero di un tempo è scomparso, lasciando dietro di sé solo il pensiero orripilante della morte.
Inizia da qui la profonda crisi culturale e civile europea, la sua totale sottomissione all’Impero, la mancanza di stimoli, idee, progetti, il desiderio di fuggire da se stessi, dalla propria storia, dalle proprie tradizioni. Per quale motivo oggi un soldato europeo dovrebbe combattere per il Signor Nessuno in nome del nulla, con il rischio concreto di lasciarci la pelle? Esclusi i mercenari che appartengono alla categoria dei professionisti del combattimento, attualmente solo il jihādista sembra disposto a sacrificarsi per una causa, che nel suo caso è la «causa di dio». Sebbene i carri armati dell’esercito israeliano impiegati sul fronte palestinese continuino ad essere chiamati con il nome di merkavà, o mer-ka-ba, in memoria del mistico carro della visione di Ezechiele divenuto sinonimo universale di evoluzione e crescita spirituale.
Probabilmente gli odierni integralisti ebraici pensano che il sinistro fragore metallico dei carri armati (chiamato «il rumore delle doglie del Messia») contribuisca in qualche modo alla restaurazione del perduto ordine cosmico, da essi assimilato alla ri-costruzione religiosa dello Stato d’Israele.
A bordo di un mezzo così pregno di significati è impossibile non riscoprire il proprio «fuoco interiore», divenendo così parte integrante del grande dramma che comprende la vita e la morte. Grazie al combattimento ci si astrae dalla realtà più marcatamente materiale per accedere ad una dimensione altra, ed alta, nella quale le paure, il dolore, lo spirito di conservazione inteso nel senso più gretto, sono affievoliti.
Ma il «popolo d’Israele», è un «popolo». Per questo motivo il conflittuale mondo simbolico abitato dalle potenze terribili della morte e della rigenerazione può tirare fuori i suoi figli dalla palude dell’immobilità, catapultandoli nell’eterno movimento universale. L’Europa di oggi, a quale «popolo» appartiene? C’è la domanda di riserva?
Armi non convenzionali
Non si creda comunque che dopo avere abbandonato la guerra classica, ritenuta uno strumento obsoleto, gli Europei si siano ritirati dai campi di battaglia per vivere in pace. Hanno solo optato per i conflitti senza spargimento di sangue.
Probabilmente nessuno di noi vedrà mai un fungo radioattivo, degli obici pronti a devastare case e infrastrutture, giovani reclutati d’ufficio contro la loro volontà, piogge di gas letali e bombe rovinanti. Ma da qui a dire che «l’Europa ha scelto un mondo di pace» ce ne corre.
Oggi distruggere il nemico non è più una priorità, bisogna distruggere l’uomo, per cui sono cambiate le armi e gli eserciti. E’ forse pacifica la «guerra dei vaccini» attualmente in pieno svolgimento tra le multinazionali del farmaco e le grandi potenze mondiali che ci vede tra i protagonisti?
Non è un’arma il monopolio dell’informazione? Ufficialmente non esistono in Europa e nel mondo occidentale uffici di censura dichiarati, ma ogni giorno vengono oscurate pagine social e siti di controinformazione. Mentre in quelli che rimangono aperti il controllo agisce a diversi livelli: organizzativi-gestionali all’interno delle redazioni, nei rapporti tra la proprietà e gli esecutori, sotto forma di sponsorizzazioni o di ricatto occupazionale.
Non sono armi lo spread e il Pil, il lavoro sottopagato e la mancanza di occupazione, le tasse e il ballo indemoniato dei dati statistici a cui bisogna sottostare? Oggi la disoccupazione nel Sud dell’Europa è più alta rispetto a quella degli Stati Uniti durante la Grande Crisi del ’29. Ma se gli Usa di allora si rialzarono dalla caduta grazie a uno straordinario programma di rilancio dell’economia, le misure imposte dalla UE agli Stati membri sono fortemente (e volutamente) depressive e avranno quale prevedibilissimo effetto quello di far sprofondare ancor di più l’economia reale dei singoli Paesi.
Non è un’arma la scomparsa del benessere sociale? Per decenni i cittadini europei hanno vissuto l’illusione di una vita confortevole in un clima di crescita infinita, creduto alla continuità delle elargizioni della mano invisibile dello Stato, pensato di poter superare qualsiasi ostacolo. Ma ora la stessa mano che ha dato, sta togliendo.
Non è un’arma la soppressione di tutte le garanzie costituzionali? Da oltre un anno siamo agli arresti domiciliari senza aver commesso alcun reato, mentre Bruxelles continua a sfornare direttive autoritarie che mirano a fare piazza pulita di ciò che resta della democrazia. Solo vent’anni fa certe forzature sarebbero state violentemente contrastate confidando in un appoggio politico, ma ormai chi comanda possiede ogni cosa e controlla tutto, a cominciare proprio dalla politica.
Non è un’arma l’invasione dell’Europa da parte di popolazioni asiatiche e africane, il divieto di difendersi respingendole? Non si stanno ponendo le basi per la creazione di nuovi conflitti etnici, religiosi, sociali? Non è un crimine la soppressione delle identità dei popoli europei?
Eppure tutte queste guerre non vengono riconosciute come tali. Abilmente narcotizzati da un sistema mediatico egemonico e mai correttamente informati, i cittadini europei non riescono a elaborare e sintetizzare. L’emergenza Covid-pandemica è solo l’ultimo anello di una catena di guerre che (quasi) nessuno sa come siano iniziate né quando finiranno. Come tanti mi sono fatta un’idea di quello che può essere accaduto, ma non saprei dire se l’opinione che ne è derivata è più vicina al vero o al falso. Va presa dunque con beneficio d’inventario la «storia di guerra» che segue, ambientata in un mondo che sostiene di vivere in pace.
Guerre intelligenti
Tutto ebbe inizio nel 2001, dopo il famigerato attacco alle Torri Gemelle, quando gli Usa adottarono il “Pentagon’s New Map” (la nuova mappa del Pentagono), una strategia formulata da Donald Rumsfeld e dall’ammiraglio Arthur Cebrowsky allo scopo di modellare le missioni delle forze armate americane attorno a una nuova forma di capitalismo in cui la Finanza avrebbe dovuto primeggiare sull’Economia.
Per raggiungere lo scopo il mondo doveva essere diviso in due: da un lato gli Stati-stabili integrati nella globalizzazione (requisito che possedevano anche Russia e Cina), dall’altro gli Stati-dispensa, ovvero la vasta zona geografica di sfruttamento delle materie prime i cui governi andavano economicamente e politicamente precarizzati onde evitare una possibile emancipazione.
Poco dopo comparve sulla scena quella che George Bush jr. definì la «guerra senza fine», una catena di conflitti finalizzati non alla vittoria bensì a far durare il caos il più a lungo possibile. Bastarono pochi anni per annientare le strutture statali dell’Afghanistan (dal 2001), dell’Iraq (dal 2003), della Libia (dal 2011), della Siria (dal 2012) e dello Yemen (dal 2015). Stati privati della sovranità che oggi non sono più in grado di assistere e difendere le loro popolazioni.
Nel frattempo gli «istruttori della Nato» andavano avanti ad addestrare truppe locali in Marocco, Tunisia, Egitto e Iraq allo scopo di mettere sotto assedio la Libia, culla dell’idea di «autogestione dell’Africa» formulata da Gheddafi. La Giordania che era già il «miglior partner mondiale della Nato» si schierò prontamente dalla parte dell’Impero, mentre Israele (i cui sostenitori negli States erano, sono e saranno, le banche che cacciano il grano) otteneva carta bianca.
Naturalmente la Russia e la Cina non potevano stare a guardare. Anche se tra i due, i russi erano forse i meno colpiti, essendo energeticamente autosufficienti. Mentre i cinesi avevano bisogno per il proprio sviluppo di accedere alle materie prime del Medioriente, che però non erano in grado di difendere militarmente.
Per ragioni di autorevolezza mondiale, fu comunque la Russia ad intervenire per prima, fermando lo scempio della Siria. Mentre la Cina continuò a far girare la ruota ben oliata dello sviluppo tecnologico. A questo scopo nel 2014 allestì in collaborazione con la Francia (il cugino megalomane d’Europa) il biolaboratorio di Wuhan, ufficialmente per sperimentarvi nuovi vaccini.
Nel 2015 il “Pirbright Institute”, una società farmaceutica finanziata dal governo inglese, chiese ed ottenne a sua volta un brevetto per il Coronavirus attenuato, sempre con la scusa di farci un vaccino. Alla cordata dei filantropi e benefattori dell’umanità rispose un’alleanza atlantica guidata da Bill Gates, dichiarandosi pronta a finanziare le società biotech che tentavano di combattere il mortale «Coronavirus di Wuhan» … Ma cinesi, francesi e inglesi non avevano intenzione di produrre vaccini a scopo preventivo? Tutte le operazioni non erano state avviate in via precauzionale? Perché adesso si voleva fare un vaccino contro quello che doveva essere il vaccino?
Il grande Pan (non) è morto
Sempre pronti a trovare il Male nel Bene i complottisti si scatenarono sul web. Per loro il Covid-19 era un’arma batteriologica sfuggita di mano ai suoi inventori. Tutto è possibile, visto che un virus è come Al Quaeda: una volta creato, non lo controlli più. E non è un mistero che i laboratori militari di tutto il mondo sperimentino da anni virus e batteri a scopo bellico.
Tuttora in corso, il balletto del vero-falso non permette a nessuno di noi comuni mortali di capire come può essere andata veramente. Su un solo punto il mondo asservito dei media sembra essersi messo d’accordo: la colpa è della Cina. Non importa se a Wuhan c’erano tutti. Non importa se la strategia americana prevede di plasmare a propria immagine e somiglianza la regione Indo-Pacifica. Non importa che gli interessi economici Usa cozzino contro quelli di un immenso continente cinese in netta ascesa non solo economica ma pericolosamente tecnologica. Non importa, e basta.
Per il momento i vecchi privilegi sono ancora in vigore e le navi militari battenti bandiera a stelle e strisce pattugliano regolarmente il Mar Cinese Meridionale mentre quelle cinesi non sono autorizzate ad arrivare nel Golfo del Messico. Ma fino a quando l’America riuscirà a contenere le potenze locali stanziate lungo il Pacifico? E l’Europa, cosa farà?
Per il momento la Vecchia Signora sembra concentrata sulla sua salute cagionevole, tanto da dichiarare un’«emergenza sanitaria» mai vista prima. Colpa dell’età, probabilmente. Per contenere il colera, la Sars, l’aviaria, la mucca pazza, eccetera, non furono prese misure altrettanto drastiche. Ma erano altri tempi.
A meno che non vi siano davvero dei secondi fini e si voglia abituare i popoli europei a uno Stato di Polizia permanente, testando fino a che punto le persone sono disposte a rinunciare alle proprie libertà. Forse il «continente di pace» ha fatto un passo avanti nelle strategie di guerra e sta consolidando un sistema di controllo panottico reso invisibile, permanente e capillare, dalla sorveglianza tecnologica per spiare chiunque.
Come in un dèjà-vu l’Europa sta rivivendo «morte di Pan», metafora dello stato di smarrimento di una civiltà che ha perso la «strada di casa». La prima volta stava per iniziare la disordinata Era dei Pesci, il tempo inaugurato dalla stella di Betlemme nell’anno 6 a.C. sotto l’influsso della Grande Congiunzione di Giove e Saturno, verificatasi per ben tre volte di seguito. E adesso, cosa dobbiamo aspettarci?
Cerchiamo almeno di non aggiungere altro disordine al disordine. Freniamo il legittimo desiderio di fuggire chissà dove e cerchiamo di non cedere alle pulsioni autarchiche. Quelle, sì, fuori tempo massimo. Meglio alzare il tiro. Vale la pena di riallacciare i rapporti commerciali, diplomatici, politici e culturali con il resto dell’Eurasia, che è sempre stata un corpo unico e tale dovrebbe rimanere. Almeno fino al prossimo scivolamento della crosta terrestre.
Rita Remagnino
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