di Giacinto Reale
Ho letto con interesse e curiosità l’articolo “Giudaismo e cristianesimo nel pensiero dei volontari italiani nelle Waffen SS”, che, indubbiamente, stimola all’approfondimento del tema principale, magari anche con la lettura incrociata di altre fonti in materia.
Due sole parole su una cosa che mi lascia un po’ perplesso, però, e cioè l’affermazione (“secondaria” nel contesto, ma importante per l’A, a quel che mi pare di capire) che sia opportuno far prevalere, nel “guardare alla grande avventura del fascismo come fenomeno europeo”, gli aspetti “guerrieri e gerarchici” su quelli più propriamente “sociali e nazionali” (credo possiamo dire “politici”, tout court).
Ritengo, invece, che il fascismo nasce (e muore) come fenomeno essenzialmente “politico”, nel quale la componente “guerriera” si innesta per le contingenze della storia, ma in ruolo sempre subordinato; per non dire di quella “gerarchica” che, alle origini almeno, appare una sovrastruttura imposta (da qui, per esempio l’opposizione alla Milizia) agli anarcoidi ex Arditi, legionari fiumani e squadristi.
Varrà la pena di ricordare che, al fronte, durante la prima guerra mondiale, furono attivi nuclei “guerrieri” di rilievo eguale e (forse) superiore agli stessi Arditi, come, per fare un esempio, gli ormai dimenticati “bombardieri”.
Essi passavano le linee con rudimentali bombarde per aprire, con tiri mirati e ravvicinati, stante la limitata gittata delle loro armi, brecce negli sbarramenti avversari fatti di filo spinato e reticolati. Erano, perciò, esposti, durante la loro azione al fuoco (anche di cecchinaggio) nemico, e ad una vera caccia all’uomo che nuclei avversari, defilati fuori dai camminamenti, facevano ai loro danni, a colpi di mazze ferrate, pugnali, pistole e bombe.
Bombardieri furono, per fare due soli nomi, il pluridecorato Cesare Maria De Vecchi e il coraggiosissimo Cesare Forni, posti a capo di uomini molto “irrequieti” di provenienza sociale assortita e talora galeottesca.
Eppure, di loro non è rimasta traccia, per il semplice motivo che non furono “politici”, a differenza degli Arditi, che sempre ebbero chiara la volontà di fare “dopo” i conti con l’Italietta vile e mediocre che aveva loro affidato il compito di salvarla. Una sola testimonianza, quella di Bottai, credo basti:
“Quei battaglioni (degli Arditi ndr) furono, intanto, una caratteristica manifestazione di volontà politica. Volontarismo, dunque? Sì, ma bisogna intendersi. Un volontarismo nuovo, tipico, rivelatore di una coscienza politica inusitata a quei tempi… non una generica volontà di fare la guerra, perché la guerra già la si faceva, di farla in un certo modo… contro i nemici di fuori e i nemici di dentro…
Io penso che al XXVII (reparto d’assalto) data la mia vita politica. Fino al passaggio nei ranghi del XXVII avevo fatto la guerra come meglio avevo potuto, in magnifici reggimenti di fanti… Col XXVII ero venuto a fare guerra e politica insieme”.
Troppo nota è poi l’insofferenza per le gerarchie (che qui da noi, ahimè, spesso sconfinano, anche a dispetto delle migliori intenzioni, nel gerarchismo) non guadagnate sul campo e con l’esempio (quindi, molto “terrene” diciamo, prive di ogni “tradizionale” contenuto trascendentale), tanto che nell’Ordinamento dell’Esercito Liberatore fiumano non vi è cenno ai gradi militari.
All’epilogo, poi (ma qui – è materia che conosco meno – il terreno per me si fa più scivoloso) credo proprio che chi avesse voluto privilegiare valori “guerrieri” si sarebbe piuttosto indirizzato, per esempio, verso la Decima. La scelta dell’arruolamento nelle Waffen (così come quella di andare nelle Brigate Nere piuttosto che nella Guardia Nazionale Repubblicana) era essenzialmente “politica”, in nome di quei valori “sociali e nazionali” che si vorrebbero mettere in secondo piano.
E, da ultimo, una curiosità: quel richiamo a Salgari, che, curiosamente – ma non tanto – accomuna gli squadristi del ’20 (“Troppo Salgari”, diceva il papà di Piazzesi) ai combattenti del ’44.
Ciò che piace nei tigrotti straccioni e scalcagnati (proprio come i ragazzi “a bracaloni i calzoni, le camicie nere messe a parapetto di cui parla Gravelli), che si battono contro i “guerrieri” inglesi, super armati e stretti nella rigida gerarchia che Kipling ci ha insegnato a conoscere, è “l’idea”, tutta politica, sociale e nazionale, che li muove: un’idea di libertà, di popolo come comunità, di reazione alle prepotenze, di sfida senza paura, e anche – se volete – di fedeltà ad un uomo… che non era Kabir Bedi