“Non sarai anche tu un complottista?” mi chiede allarmato un amico. Il tono è tra il biasimo e il dileggio, come gli avessi confessato di credere a Babbo Natale. Questo conferma che oggi tutto è messo alla rovescia. Basta dire la verità per non essere creduti e basta raccontare assurde falsità perché la gente immediatamente ti creda. Così, in questo mondo capovolto, le forze delle tenebre agiscono alla luce del giorno e non si curano più di nascondere i loro complotti. Perché preoccuparsi? La gente non crede ai complotti e quindi non li vede. Infatti, per vedere una cosa, è necessario credervi. Credo ut intellegam. Viceversa, i pochi seguaci della luce devono muoversi nell’ombra, cercarsi nuove catacombe, scavare oscuri cunicoli nella Rete dove riunirsi in segreto, tramare, tendere i fili di una tenace resistenza.
Oggi è compito degli uomini di buona volontà cospirare per una santa causa. Co-spirare è una parola cui dovremo restituire dignità. In lei c’è lo spirare di volontà affini, che congiungono i loro spiriti e li dirigono verso un medesimo fine. Dobbiamo congiurare contro il mondo e la sua follia. Ovvero, giurare-insieme di sacrificarci a questo nobile complotto per rovesciare l’ordine costituito delle cose, il che vuol dire riportarle a un ordine giusto e naturale. La parola complotto indica complicità e la complicità evoca azioni colpevoli. Ma nel nostro caso dovrà essere un complotto sacro, filosofico e spirituale, contro i complotti che oggi vogliono privare di senso la vita. Prima però vorrei sfatare questo insulso pregiudizio secondo cui i complotti non esistono. Non possiamo certo opporre un complotto inesistente a complotti inesistenti.
“Non credere ai complotti” è un articolo di fede. Appartiene al catechismo del politicamente corretto, questo chimerico mostro, parte ipocrisia, parte odio e parte stupidità. L’idea di un complotto provoca nelle persone beneducate una reazione di chiusura con la rapidità di un riflesso palpebrale. È un tabù, e chi lo viola viene anatemizzato e proscritto. Non credere ai complotti sembra invece un certificato di sanità mentale e bon ton culturale. Capita sovente di sentire giornalisti, intellettuali o politici, ricorrere alla formula rituale – “io non credo ai complotti” – come per rassicurare sulla loro credibilità. Questa professione di incredulità viene esibita come una patente di ortodossia, una sorta di parola d’ordine per ottenere attenzione e rispetto. Tuttavia, se chiedete a qualcuno perché mai non crede a i complotti, faticherebbe a spiegarvelo. È una sorta di precetto illuministico, una di quelle indiscutibili certezze che accompagnano certe menti razionali. Per lo stesso motivo non credono ai miracoli, all’astrologia o agli angeli. Non vedono neppure la necessità di spiegarlo. Per loro i complotti son favole, come gli gnomi, le fate e gli unicorni.
Questa idea è curiosa. Infatti i complotti son sempre esistiti. Nessuno direbbe: “non credo all’esistenza delle bugie”, a meno che non sia forse un bugiardo. Così, solo chi prende parte a un complotto avrebbe ragione di negarlo. La vita è in realtà piena di complotti piccoli e grandi, intrighi domestici, camere segrete dove si ordiscono trame. Vi sono complotti bonari, tra amici, e complotti subdoli dettati dall’invidia o dal rancore. Le stanze della politica trasudano complotti dai loro muri come una vecchia e viscida muffa. I potenti avvolgono i loro piani di dissimulazioni, inganni, tradimenti. Gli impotenti fanno altrettanto.
A questo punto, lo scettico potrebbe obiettare: “io ammetto che esistano intrighi di palazzo, losche e coperte manovre ecc. Ma nego possano esistere i complotti di cui qualcuno favoleggia, piani occulti escogitati da giganti economici o finanziari per allargare i loro imperi. Lo nego perché se tali piani esistessero verrebbero oggi facilmente smascherati dalla stampa e perché il nostro sistema democratico lo impedisce”. Parole che inevitabilmente fanno pensare a Chesterton: “Chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente perché comincia a credere a tutto.” Infatti, può credere che giornali e governi siano illibati difensori del Bene.
È invece proibito credere ai complotti. Si creano strani neologismi – complottismo, complottista – che sembrano indicare una disfunzione cognitiva o una bassezza morale. Questi termini vengono usati per screditare gli argomenti dell’interlocutore, e usati con disinvolto eclettismo a proposito di sbarchi sulla Luna, scie chimiche, vaccini, microchip, campi elettromagnetici ecc. Inoltre, secondo una diffusa opinione, chi crede nei complotti pensa anche che la Terra sia piatta e che esistano alieni simili a lucertole. Una mente sana non vi troverebbe alcun nesso, ma a molti sembra logico ragionare così. Certo tutto questo rende la questione terribilmente confusa.
Si dirà, per tirare le fila del discorso, che l’elemento comune tra faccende tanto diverse è la tendenza a immaginarvi la presenza di piani misteriosi e maligni. L’essenza del complottismo sarebbe dunque una certa sospettosità, un disturbo paranoide a cavallo tra sociologia e psichiatria. Popper ne ha fornito il paradigma definendolo “teoria cospirativa della società”. Dato il prestigio, forse eccessivo, di cui gode questo filosofo, la sua teoria è posta come caposaldo ideologico della lotta ai complottardi, testa d’ariete contro le loro insinuazioni. In sostanza, secondo Popper, il ‘cospirazionista’ crede che alcuni fenomeni sociali negativi – guerre, attentati, disordini, disoccupazione ecc. – siano legati alle decisioni di potenti élites, di oscuri burattinai che ne traggono profitto e potere. Ma per lui questa idea non ha fondamento reale e va negata.
Popper non prende concretamente in esame le possibili responsabilità di poteri economici e finanziari. Più che i fatti reali, gli preme indagare la corrispondenza ideale tra teorie cospirative e antiche credenze religiose e mitologiche, di cui il complottismo sarebbe una sorta di sedimento. A tale scopo Popper ci ricorda che gli uomini antichi, privi ancora dei nostri lumi, credevano nell’esistenza di potenti divinità che incombevano sul destino degli uomini, inviando loro ogni genere di mali. In seguito, nella rielaborazione cristiana del mito, hanno creduto fosse il diavolo a tessere trame oscure a danno dell’umanità. Infine, nella nostra società secolarizzata, sarebbero multinazionali, speculatori, banchieri, a occupare il posto lasciato vacante da demoni e Dei come causa dei problemi che affliggono il mondo.
Secondo Popper, ancor oggi alcuni appagano così il loro desiderio di trovare una spiegazione semplice alle crisi, saltando a piè pari variabili complesse e difficilmente comprensibili. Se vi sono colpi di Stato, recessioni economiche, manovre illiberali ecc., se ne può dare la colpa a poteri oscuri come il Bilderberg, la CIA, la massoneria, la finanza ebraica, evitando ogni gravoso esame di realtà. Popper denuncia l’uso che i sistemi totalitari fanno di tale inconscia e potente attidudine, inventando dei ‘colpevoli’ verso cui indirizzare l’odio del popolo. Del resto, abbiamo esempi frequenti di questa prassi anche nelle democrazie moderne. Il complottismo sarebbe dunque una variazione sul tema del capro espiatorio. Ora, noi sappiamo che quella povera bestia non aveva colpa. Ma questo non significa che anche banchieri, multimilardari, massoni ecc. siano innocenti capri espiatori.
Popper usa una falsa analogia: siccome la colpevolezza degli Dei ecc. era una fantasia, una superstizione, anche la colpevolezza dei banchieri ecc. lo è. Questa corrispondenza è ingannevole per due motivi. Primo, scartare a priori l’esistenza di Dei e demoni e un loro possibile legame con calamità sociali o naturali è solo un pregiudizio positivista. Potrebbero esservi realmente potenze infere che seminano dolore e discordia sulla terra. Per chi giudichi imparzialmente la questione, questa ipotesi è probabile quanto quella di Popper. Secondo, Popper pone sullo stesso piano spietate entità sovrumane e avidi banchieri ecc., senza notare l’incongruenza. Zeus o Satana hanno infatti natura metafisica. I banchieri ecc. sono invece uomini, società, organizzazioni a scopo di lucro, e le loro attività sono oggettive e documentabili.
La teoria di Popper è una sorta di sineddoche che prende la parte per il tutto. È infatti possibile che alcuni vedano complotti dove non ce ne sono, come di sera puoi scambiare una corda per un serpente. Ma questo non vuol dire che i serpenti non esistano o che tutti i serpenti siano corde. In mancanza di prove e di validi argomenti, è irrazionale tanto il credere in un complotto quanto il non credervi. Vanno soppesati i fatti, i moventi, i testimoni, gli indizi. Il complottismo è in fondo l’applicazione del classico cui prodest?. Popper non crede “che la spiegazione di un fenomeno sociale consista nella scoperta degli uomini o dei gruppi che sono interessati al verificarsi di tale fenomeno”. E anch’io potrei dubitarne. Ma perché escludere che vi sia un legame causale tra certi fatti e chi ne trae vantaggio?
Onestamente, Popper ammette che le cospirazioni esistono, ma sostiene che poche di loro “alla fin fine hanno successo”. E questo, secondo lui, dimostra la fallacia delle teorie cospirative. Potrebbe sembrare un delizioso nonsense, ma Popper lo spiega col fatto che la vita sociale è per sua natura complessa, fatta di azioni e reazioni imprevedibili, anche inintenzionali. Questo, dice, crea un incolmabile divario tra aspirazioni e realizzazioni. Il riferimento alla frequente frustrazione dei nostri desideri suona molto saggio. Ma è in fondo quello che un bambino apprende nei primi mesi di vita. Siamo grati a Popper di avercelo ricordato, tuttavia è difficile capire come questo smentisca le teorie del complotto.
Il problema è che Popper si limita ad argomenti generici e astratti, non si cura di confutare ipotesi cospirative particolari, non analizza eventi storicamente determinati. Non scende nel mondo dei fatti ma resta in quello delle idee. Non vede però una contraddizione. Infatti, egli presume che il pensiero cospirazionista sia influenzato da inconsce dinamiche interiori. E dietro tali dinamiche sospetta vi siano potenti archetipi mito-psicologici. Dunque, anche la sua congettura è dietrologica e immaginaria. Volendo criticare teoremi cospirativi, cade in una forma mentis cospirativa. La sua teoria può risultare suggestiva, come le ipotesi di Freud sulla pulsione di morte o di Darwin sull’evoluzione naturale, ma le manca un concreto ubi consistam. Come direbbe Popper, non è falsificabile, quindi ascientifica.
Ciò nonostante, è stata accolta dai benpensanti come un teorema euclideo o una legge della meccanica. La “teoria cospirativa della società”, nella sua apparente incontrovertibilità, è diventata un pretesto per sottrarre reali complotti a sguardi indiscreti. Così, quando alcuni sospettarono che il governo americano nascondesse prove sull’esistenza degli UFO, si liquidarono quei dubbi come vaneggiamenti. Lo stesso accadde in altre occasioni: gli assassini dei Kennedy, i grattacieli crollati, un virus apocalittico ecc. Il complottista è visto come il focolaio di una pericolosa infezione. Non importa se è un giornalista ben informato, uno storico scrupoloso, un integerrimo magistrato, un grande filosofo, un premio Nobel o se è Roosevelt stesso a dire: “dietro l’apparente governo siede un governo invisibile”. I medici addetti alla sanità mediatica interverranno per eliminare i rischi di contagio, i germi della disinformazione cospirativa. Disinfetteranno, amputeranno, cauterizzeranno, secondo la gravità del male.
È impressionante lo zelo con cui i defensores fidei e i domini canes del politicamente corretto cercano di scovare, colpire, diffamare, zittire i complottisti. In realtà, questi ultimi si lamentano molto, ma per lo più sembrano cuocere in un brodo di vittimismo e di invettiva impotente, incapaci di ribellarsi al Male che vedono. Perciò, chiamare alle armi feroci demistificatori per annientarli, mi pare una forma parossistica di auto-difesa del Sistema. Come se si sentisse minacciato dalle teorie cospirative. Ma la mia è solo una supposizione e, lo ammetto, non prova nulla. Anzi, solleva nuove perplessità. Perché mai il Sistema dovrebbe temere che il suo maestoso edificio si incrini per colpa di qualche visionario? Se anche si portassero prove irrefutabili sui piani illeciti di una élite finanziaria o economica, sulla corruzione di politici, scienziati, giornalisti, questo non scalfirebbe strutture di potere tanto solidamente costruite.
Così, anche operazioni di dimensioni planetarie, disastrose per la gente comune ma redditizie per una sparuta élite, possono ormai compiersi in pieno sole, senza che nessuno se ne dia pensiero. Il diavolo è riuscito a convincerci che non esiste. Per questo può girare indisturbato per le strade, agire impunemente sotto gli sguardi di una folla distratta, per nulla turbata dalla sua presenza. Anzi, se lo vedono arrabattarsi per portare alla rovina il genere umano, lo aiutano. Perché sono persone razionali, che non credono a demoni, Dei, cavalieri dell’Apocalisse o altri invisibili agenti delle sofferenze umane. Quindi non credono neppure che consigli d’amministrazione, cartelli finanziari o Deep States, nelle loro olimpiche dimore, possano architettare guerre, pestilenze, carestie.
Popper ci rassicura: non esistono agende segrete per il dominio del mondo, e tanto meno esiste la possibilità di realizzarle. Credere il contrario è solo la proiezione di archetipi psicologici, un ancestrale retaggio mitologico. Nella società neoliberista e neoilluminista che Popper vagheggia esistono solo razionali transazioni, contrattazioni oneste tra cittadini consapevoli, regolate dai principi democratici della libera scelta e della trasparenza; il mercato, i grandi flussi di denaro, non sono oscuri poteri che inconbono sull’uomo, ma strumenti di progresso. E le persone evolute non credono ai complotti perché questo significherebbe regredire a società dominate ancora da illusioni metafisiche. Così, scrutando nella sfera di cristallo o nei fondi di caffè della ragione, Popper ci predice il futuro Eden, capitalista e borghese, della società aperta. Ora sta a noi chiuderla.
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