Nella scorsa puntata di questo nostro excursus nella “poesia politica” di Howard Phillips Lovecraft abbiamo analizzato i primi componimenti (1897 – 1911) in cui il Sognatore di Providence, ancora giovanissimo, infonde le idee di una “coscienza identitaria” che rimarrà tale in tutto il suo percorso letterario – talvolta in maniera evidente, talaltra sottotraccia. Spostiamoci adesso di una casella nella complessa scacchiera dell’universo poetico lovecraftiano…
2^ parte – Primi passi nell’editoria: 1912-1913
Con il 1912 HPL inizia a trovare uno “sbocco editoriale” per le sue poesie. In questo anno e nel successivo, il 1913, la produzione è ancora limitata, ma la “portata” si espande: sono le prime avvisaglie del “fiume in piena” di cui parlavamo. Sarà solo a partire dal 1914 che il Nostro comincerà a scrivere per certe pubblicazioni letterarie che aprivano le loro colonne ad autori amatoriali, riviste che oggi – con una certa approssimazione – potremmo chiamare fanzine; ma già nel 1913 il poeta si fece notare su “Argosy”, la prima pulp magazine, per infiammate dispute e schermaglie artistiche sulla pagina della posta, veri e propri “duelli letterari” che si risolvevano in un cospicuo scambio di infiammate missive alla redazione; in risposta a chi lo criticava per quanto aveva scritto in una lettera pubblicata su “Argosy” a proposito del romanziere Fred Jackson, Lovecraft partorì addirittura un poema, diviso in quattro libri per un totale di 175 versi in rima (Ad Criticos, composto alla fine del 1913 e pubblicato solo in parte nel 1914).
5. To Mr. Terhune, on His Historical Fiction (Al Sig. Terhune, a proposito dei suoi racconti storici), 1912?
Albert Payson Terhune era uno scrittore americano con la passione per i cani, soprattutto quelli della razza collie: li allevava e li incrociava. A lui, a quanto pare, si deve la creazione del ben noto rough collie. Alcune sue storie “canine”, come l’autobiografico Lad: a Dog, servirono di ispirazione alla popolare saga letteraria/televisiva/cinematografica/fumettistica di Lassie (che è per l’appunto un rough collie), almeno secondo quanto sostiene S. T. Joshi in The Ancient Track. Ma nel periodo in cui HPL componeva questi versi (la cui datazione è incerta, ed è collocabile fra il 1911 e il 1913), Terhune scriveva ancora racconti di ambientazione storica su “Argosy”, la vitale rivista letteraria alla quale prima accennavamo; come dicevamo, fu proprio con le sue numerose e lunghissime lettere inviate ad “Argosy” fin dal 1911, che Lovecraft cominciò a “farsi notare” nel mondo dell’editoria amatoriale. To Mr. Terhune è interessante perché HPL torna a evocare i suoi sentimenti nostalgici per i valori dell’epoca coloniale americana, ancora sostanzialmente inglese ed europea.
Per Lovecraft la prosa di Terhune suscita il “plauso di Clio”, la Musa della Storia; lo scrittore si innalza sopra la folla dei suoi colleghi per la sua fedeltà alle antiche tradizioni; riesce a far rivivere come attuali accadimenti storici tutto sommato recenti (come la Rivoluzione Americana), ma che oggi (agli inizi del XX secolo) sembrano (sottinteso: spiritualmente) per i moderni statunitensi già lontani quanto la Guerra di Troia; grazie a quei racconti (sulla Rivoluzione, su Bunker Hill, su Valley Forge, etc.)…
The true American, with proper pride,
Sees how his fathers liv’d and fought and dy’d.
Our weaker spirits catch the noble rage,
And feel the valour of a sterner age.
(Il vero Americano, con autentico orgoglio,
Vede come i suoi padri vivevano e combattevano e morivano.
I nostri ormai deboli spiriti fanno propria quella nobile furia
E provano il valore di un’epoca più austera.)
6. Providence in 2000 A.D. (Providence nel 2000 A.D.), 1912
Si tratta della prima poesia in assoluto che HPL riuscì a pubblicare, sul giornale “Evening Bulletin” di Providence, ed è una satira rivolta contro gli immigrati; i toni sono leggeri, per niente offensivi, ma oggi questo componimento viene visto con sospetto e con malcelato fastidio in Europa, e soprattutto in Italia. I versi sono infatti preceduti da due righe in prosa dai toni “allarmistici”:
È stato annunciato sul “Providence Journal” che gli Italiani desiderano cambiare il nome di Atwell’s Avenue in “Columbus Avenue”.
In realtà i timori di Lovecraft erano mal riposti, perché il vecchio nome di quella via della zona di Federal Hill, dove sorgeva e sorge tuttora il quartiere italiano di Providence (con tutti i suoi caratteristici ristoranti), sarebbe rimasto tale per sempre. Leggendo la poesia si capisce che per HPL non era solo un fatto di nomi, né tanto meno di nomi italiani, ma di identità razziale e, soprattutto, culturale.
Lovecraft immagina che un Inglese in cui antenati erano nati e vissuti nel Rhode Island, torni nell’anno 2000 nei luoghi originari della sua famiglia, che era stata costretta a riparare nell’ancor più ancestrale Inghilterra, in una sorta di triste “viaggio a ritroso” dall’America, a causa della crescente e pressante immigrazione straniera. Quando sbarca dal battello nella Baia di Narragansett trova tutto mutato e non c’è più nessuno a Providence che parli o capisca l’inglese.
I Portoghesi (ma Lovecraft si riferisce a loro come negro Bravas), che nel 1912 erano già circa 4.000 nella città del Rhode Island, in questo immaginario 2000 sono ormai esplosi nel numero e hanno cambiato il nome del loro quartiere di Fox Point (che ancora oggi esiste e si chiama ancora così) in Sao Miguel’s Cape; gli Irlandesi (per HPL sono “i figli di Erin”) allignano in O’Murphy’s Avenue, un tempo chiamata South Main Street, e più a nord nella stessa contea hanno trasformato la cittadina di Pawtucket in New Dublin Town.
In questo distopico futuro multirazziale gli Ebrei sono quelli che hanno modificato di più il panorama di Providence: hanno raso al suolo il settecentesco Board of Trade Building (la Camera di Commercio, oggi nota come Market House), che sorgeva in Market Square, adesso rinominata Goldstein’s Court; la località di Turk’s Head (così denominata perché su una casa
era installata un’antica polena raffigurante la testa di un sultano in turbante) ora si chiama Finklestein’s Cross-ways; nella Nuova Gerusalemme sono più che evidenti – dice HPL – “le ricchezze che Israele ha ammassato”.
Gli Svedesi abitano in Svenson’s Lane, un tempo Westminster Street; gli Italiani hanno ribattezzato la Federal Hill, chiamandola La Collina Federale, e Atwell’s Avenue (come profetizzato nell’intestazione) è adesso Il Passaggio di Colombo (ma HPL scrive “Passagio”, con una sola “g”); i Canadesi di lingua francese (che Lovecraft chiama “Galli”) si sono insediati a Woonsocket, nel nord dello Stato, cambiando il toponimo in Nouvelle Paris; i Polacchi hanno trasformato il quartiere di Olneyville, concentrandosi in Wsjzxypq&?&%$ladislaw Street (HPL scherza sulla pretesa impronunciabilità di certi cognomi polacchi, digitando caratteri a caso sulla macchina per scrivere).
Alla fine di questo infernale tour nella “città che risuona solo di grida straniere” il nostro sconvolto Inglese di ritorno, controfigura dello stesso Lovecraft, individua nella zona del porto una “figura avvizzita, mezza accovacciata” che gli afferra il braccio, e quando gli chiede chi sia, questo gli risponde:
Un mostruoso prodigio (…), l’ultimo della mia specie, un uomo solitario e infelice. Mi chiamo Smith! Sono un Americano!
Per HPL, che si identificava in un gentiluomo inglese del Settecento, gli “Americani veri” sono solo i discendenti dei coloni britannici, e fra questi solo quelli colti, quelli che non hanno scordato le loro radici europee più antiche. Tutto il resto è a lui estraneo. Come mai anche gli “altri” europei? Persino gli Irlandesi e i “bianchissimi” Svedesi vengono messi alla berlina. In questo caso non è tanto il razzialismo che spinge Lovecraft alla satira contro di essi, ma una coscienza elitaria di distanziamento culturale dagli immigrati di più umili origini, semianalfabeti, attaccati più alla bottiglia che alla laboriosa America, che pretendono, seppur ultimi venuti, di imporre i loro usi e costumi in un territorio già “occupato” (dagli Yankee).
7. New-England Fallen (La caduta del New England), 1912
Fra le poesie viste finora questa è sicuramente la più corposa, composta com’è da 152 versi, ed è introdotta da una cinquina tratta dalla Satira III di Giovenale, un passaggio indirizzato contro ai Giudei:
Hic, ubi nocturnae Numa constituebat amicae,
Nunc sacri fontis nemus et delubra locantur
Judaeis, quorum cophinus faenumque supellex;
Omnis enim populo mercedem pendere jussa est
Arbor et ejectis mendicat silva Camenis.
La critica si è scagliata spesso contro questo poemetto, che è in sostanza un inno al New England com’era prima della Guerra Civile, abitato soltanto da industriosi yeomen (piccoli proprietari terrieri, qui rappresentati per antonomasia dal Farmer John, sorta di “eroe culturale agreste”) di origini britanniche, dediti alla famiglia, alla preghiera, all’allevamento, alla pastorizia, all’agricoltura (il cui momento culminante è la raccolta delle messi), alla produzione del miele, alla cura della fattoria e del focolare domestico, etc.; in questo panorama idilliaco e bucolico i figli del fattore crescevano sani, robusti e ben istruiti nelle scuole dei villaggi, lontani dalle grandi città e dalle “strade affollate”; la famiglia si vestiva bene per andare la domenica in chiesa, ad ascoltare il semplice e giusto sermone del pastore; le necessità materiali del Farmer John e dei suoi consanguinei erano minime, e gli acquisti e gli scambi di merci al mercato erano sempre fatti con parsimonia e saggezza.
Il manoscritto del componimento non a caso fu vergato da Lovecraft sul risguardo del libro The Puritan Republic of the Massachusetts Bay in New England (1899) di Daniel Wait Howe, una storia piena di rimpianto sui giorni felici dei primi coloni sulla costa atlantica dell’America. HPL, rievocando questo mitico e pacifico passato agreste, introduce dunque nella narrazione in rima un primo elemento straniante, quando il Farmer John si reca al porto e, insieme ad altri cittadini suoi pari, osserva attraccare la nave che, da lidi lontani, sta portando le merci che servono per la fattoria:
On wind-swept docks the Yankees, wond’ring, view’d
The swarthy sailors, freaks of alien bood.
(Sui moli spazzati dal vento gli Yankee osservavano meravigliati
I bruni marinai, curiose creature dal sangue straniero.)
Poi tutto comincia a decadere. Lovecraft si chiede come mai i figli di questi primi yeomen sentano il desiderio di abbandonare le fattorie per trasferirsi lontano dai luoghi natii nelle “tristi città” (dismal towns), dominate dalla miseria e dalla penuria. E poi esplode l’indignazione:
Why are base foreign boors allow’d to dwell
Amongst the hills where Saxon greatness fell;
Live their low lives, themselves in filth degrade
As monkeys haunt a palace long decay’d?
(Perché ai vili cafoni stranieri è stato permesso di dimorare
Sulle colline dov’è tramontata la grandezza dei Sassoni;
Di vivere le loro infime vite, nel più lurido degrado
Come scimmie che infestano una reggia da tempo decaduta?)
Quello che un tempo era un panorama perfetto è ora avvelenato: le colline sono meno verdi e meno rigogliose, l’aria è appestata dai fumi delle fabbriche; le case stesse, un tempo sempre curate e aggiustate, adesso si reggono a malapena in piedi, però…
Tho’ in a few some wretched aliens dwell
‘Midst hideous squalor, and repulsive smell.
(Però in alcune di esse dimorano certi miserabili stranieri
In mezzo al più orrendo squallore, e tra repellenti fetori.)
In questo “nuovo mondo” apocalittico, dove persino la chiesa si sgretola fra le erbacce, dove le navi del New England non percorrono più le rotte commerciali, dove i campi si sono tutti inariditi, dove le scuole rurali si sono svuotate e poi sono crollate a terra…
The village rings with ribald foreign cries;
Around the wine-shops loaf with bleary eyes
A vicious crew, that mock the name of “man”,
Yet dare to call themselves “American”.
(Il villaggio risuona di oscene grida straniere;
Intorno alle osterie bighellonano a branchi con occhi spenti
Pericolosi individui, parodie di ciò che chiamiamo “uomo”,
Che osano comunque definirsi “Americani”.)
Lovecraft ribadisce dunque per l’ennesima volta quello che significa per lui l’essere “Americano”, qualcosa che oggi sfugge alla nostra comprensione, soprattutto dalla fine degli anni Trenta in poi, ma che allora poteva ancora avere un senso positivo.
Il poeta termina il suo componimento con una serie di domande retoriche sulla fine del New England come l’avevano immaginato i miticizzati Padri, fondandolo sul lavoro, la giustizia, l’onestà, l’ordine, la virtù… Dov’è sprofondato questo antico New England? Se n’è andato per sempre con la “nobile razza” che l’aveva creato; ma nessuna “spregevole tribù” potrà mai realmente sostituire lo yeoman sassone che si è (solo momentaneamente) ritirato, perché, come spiega l’ultimo verso, con un forte richiamo al sangue…
The pow’r lies lock’d within the noble BRITISH race!
(Il potere è racchiuso nell’animo della nobile razza BRITANNICA!)
8. On the Creation of Niggers (Sulla creazione dei negri), 1912
Scherzosa e brevissima satira in otto versi che ha suscitato nella critica fin troppe sdegnate reazioni in confronto a quello che realmente è; un semplice, e tutto sommato innocuo, goliardico divertissement. Non si tratta infatti di un componimento destinato alla pubblicazione, tanto che fu battuto a macchina da HPL usando la carta carbone, pensando dunque a una diffusione molto limitata in un ristretto circolo di amici e parenti. E in realtà nemmeno l’attribuzione è del tutto certa perché la data “1912” scritta a mano con il lapis sull’unico originale superstite non è detto sia di Lovecraft (fra quelli che sostengono questa opinione dubitativa c’è per esempio S. T. Joshi). La prima pubblicazione nota (e dunque anche la prima attribuzione) risale al 1975 quando L. Sprague De Camp (il continuatore della saga di Conan, personaggio di R. E. Howard) inserì l’intera poesia nel libro Lovecraft: a biography. A tal proposito, in un’intervista rilasciata ad Andrea Scarabelli per “Antarès” n. 8 (Bietti, 2014), S. T. Joshi fece alcune interessanti considerazioni:
Nell’ambito delle ricerche biografiche, un evento fondamentale fu la pubblicazione, nel 1975, del volume di Lyon Sprague de Camp, “Lovecraft: A Biography”. Pur contenendo più materiale sulla vita di Lovecraft di qualsiasi altro uscito prima, fu subito criticato per via dei molteplici errori, una scarna visione di Lovecraft (non vi era praticamente traccia di discussione sulla sua filosofia), le continue allusioni al suo razzismo e la definizione, impettita e professorale, di Lovecraft come uno “scrittore dilettante”.
Nel giro di poche rime HPL immagina, da (neo)pagano, il momento della Creazione; Giove dà vita all’uomo, essere superiore, e poi modella le bestie, esseri inferiori; ma gli Dei dell’Olimpo si accorgono che gli animali sono troppo lontani dall’umanità, e dunque rimediano al “gap” creando una specie di “anello mancante”, una “bestia dalle sembianze semi-umane”, “piena di ogni difetto”. Chi sia, per HPL, questo essere “di mezzo” non è difficile immaginarlo visto il titolo!
9. On a New-England Village Seen by Moonlight (Su un villaggio del New England visto al chiar di luna), 1913
Con questa poesia strutturata in quartine in rima alternata HPL torna – seppur con meno vigore e indignazione – sui temi di politica sociale e razziale già affrontati in New-England Fallen, fondendoli con la contemplativa “poetica lunare” di Ode to Selene. Il componimento è preceduto da una breve ed esaustiva spiegazione in prosa:
I pacifici e antichi villaggi del New England stanno rapidamente perdendo i loro originari abitanti Yankee e la loro vocazione agricola, essendo ora sede di industrie manifatturiere popolate di immigrati Europei meridionali e Asiatici occidentali, tutti di basso livello.
La luce della Luna, che ammanta tutto misericordiosa “smussando gli angoli”, sembra far riemergere, nel silenzio di una limpida notte accarezzata dalla brezza marina, gli antichi fasti “inglesi” di un paese del New England, adesso abitato da immigrati che lo hanno reso “squallido e puzzolente”, “decadente” e “in rovina”. Il clangore delle fabbriche, con i loro “mostruosi macchinari”, e il vociare degli stranieri, in questa momentanea pace notturna si quieta e gli “spiriti ancestrali regnano di nuovo”. E persino la nuova “croce papista”, eretta dagli ultimi arrivati (cattolici) sulla vecchia chiesa “dove pregavano i padri”, rimane adesso in ombra. È l’ennesimo pianto dolente e nostalgico per la fine ingloriosa del New England britannico e della razza che l’aveva fondato.
10. Quinsnicket Park, 1913
In quello che S. T. Joshi definisce “uno dei preferiti rifugi boschivi di HPL”, il parco disseminato di laghetti poco fuori dai confini di Providence oggi chiamato Lincoln Woods State Park, il poeta immagina ancora una volta di tornare in quel rimpianto passato classico (un “paradiso pastorale”, come scrisse il critico Gavin Callaghan) che sentiva più prossimo spiritualmente. Il Quinsnicket Park è “vicino alla città indaffarata e allo stesso tempo molto lontano”; qui HPL può discostarsi dalla Realtà e immergersi nel mondo dell’Immaginazione; la stessa Providence, “sordido paese”, pare trasformarsi in distanza in una magica cittadina; rinascono le Ninfe, i Satiri, le Naiadi e risuona di nuovo il flauto di Pan; gli Indiani, antichi abitanti di quei luoghi, tornano a riunirsi intorno ai falò. Qui
No modern finger yet hath dar’d to mar
These quaint remainders of an age afar
(Nessuna mano moderna ha ancora osato alterare
Questi pittoreschi ricordi di un’epoca lontana)
Il parco racchiude testimonianze di “ere più brillanti e felici, ormai alle nostre spalle”; è “un ricordo dell’epoca più splendente del vecchio New England”, e al suo interno “nessuna minaccia moderna può minare la nostra gioia”.
Non a caso il breve poema era preceduto da alcuni versi tratti dalla parte conclusiva del Libro Secondo delle Georgiche di Virgilio, un inno alla vita beata dei contandini:
…at latis otia fundis
Speluncae vivique lacus; at frigida Tempe
Mugitusque boum mollesque sub arbore somni
Non absunt.
E prima delle rime HPL aveva posto un breve “cappelletto” introduttivo, una sintesi del suo pensiero su cosa fosse il “dolce tempo passato”:
Il Quinsnicket Park, il luogo più attraente dello stato del Rhode Island, è sito nella città di Lincoln, a circa quattro miglia a nord di Providence. È un angolo del vecchio New England, che contiene una considerevole estensione di foresta primordiale, con i suoi panorami, le sue colline e le sue valli e molti terreni agricoli, su cui insistono immutate le vecchie dimore di due e più secoli fa. Una visita in questa zona rurale è molto più istruttiva di mille studi sui libri che si occupano di storia e antichi reperti del New England. Il nome “Quinsnicket” è un termine indiano che significa “capanne di pietra”, e si riferisce all’antica usanza dei selvaggi di usare come rifugi invernali le caverne delle grandi rocce spaccate che abbondano in questo aspro paesaggio. Quinsnicket Park è una riserva statale, perciò il suo volto antico verrà preservato per sempre.
Il passato che non tramonta: era questo che a Lovecraft interessava.
Per quanto riguarda gli altri componimenti di questo periodo rileviamo di sfuggita che Fragment on Whitman del 1912 (pubblicata nel 1915) è una satira moralistica rivolta contro l’ottocentesco Walt Whitman, uno dei maggiori e celebrati poeti americani, “i cui versi licenziosi deliziano il libertino e scaldano le anime dei maiali”, dice Lovecraft, stravolgendo la poetica di Ovidio al quale si ispiravano: oggi questa breve e beffarda poesia di HPL, che mal sopportava Whitman (lo si desume anche da alcune lettere e saggi), verrebbe definita “non politicamente corretta”.
Francesco G. Manetti
(fine 2^ parte)
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