Nel 1966, gli studi etnologico-antropologici subirono in Italia un’accelerazione stimolante, grazie alla pubblicazione di un volume di un giovane ricercatore torinese, Carlo Ginzburg, che fece subito discutere. Ci riferiamo ad un’opera diventata oramai un classico in argomento, I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra ‘500 e ‘600, da poco nelle librerie in nuova edizione per i tipi dell’ Adelphi (pp. 311, euro 24,00). Il volume è arricchito da una Appendice dell’autore, mirata a contestualizzare l’opera nella cultura del tempo in cui fu scritta e pensata.
Nell’Archivio arcivescovile di Udine, Ginzburg rinvenne la documentazione relativa a circa cinquanta processi contro i benandanti. Questi narravano di essere: «nati con la camicia (avvolti cioè nel cencio amniotico)» (p. 287) e, per questo, costretti alle contese con streghe o stregoni. Quando risultavano vincitori, i raccolti erano abbondanti, al contrario, quando venivano sconfitti dalle schiere del male, si sviluppava la carestia. Gli inquisitori, con la tortura e l’interrogatorio «suggestivo»: «cercarono di indurre i benandanti ad ammetter di essere stregoni […] ma solo dopo cinquant’anni […] questi finirono con l’ammettere […] il sabba diabolico» (p. 287). Nelle pagine del libro, luminose nella loro ingenuità ed innocenza, si stagliano le figure di Paolo Gasparutto, Battista Moduco, Maria Panzona, Anna La Rossa, Michele Soppe, per ricordarne alcune. L’autore ci presenta le loro voci in modo diretto, senza alcuna mediazione. Alcuni tra i critici hanno ravvisato nelle pagine di Ginzburg uno sbilanciamento a favore dei contadini, una scarsa attenzione nei confronti della voce ufficiali degli uomini dell’Inquisizione. In realtà, a nostro giudizio, lo studioso ricrea il giusto equilibrio esegetico, se è vero che, fino ad allora, l’unica voce ascoltata era stata quella ufficiale.
Dai racconti dei contadini si evince: «uno strato profondo di cultura […] a cui si era sovrapposto uno strato cristiano più superficiale» (p. 289). Ci riferiamo alla cultura della religione cosmica, dei culti agrari e femminili di fertilità, che riconoscevano nella potenza irradiante e creativa della physis, la sola trascendenza possibile. Quindi, per il Friuli, rileva l’autore, è possibile affermare che: «la stregoneria diabolica si diffuse come deformazione di un precedente culto agrario» (p. 289). Il caso dei benandanti friulani va inserito in un contesto più vasto, relativo a varie regioni euroasiatiche, a conferma che il cristianesimo non rappresenta se non la patina superficiale dell’ethos europeo, sotto la quale, in modo evidente almeno fino al Seicento, sopravvivevano culti di origine «pagana». A tale tesi, Ginzburg perviene alla luce del metodo comparativo «più propriamente storiografico» (p. 290): sostiene, sia pur in modalità rapsodica, che lo stesso contesto valoriale colto a monte del fenomeno dei benandanti, fosse presente nello sciamanesimo.
Al centro di tale parallelismo, è posta la figura del baltico Thiess, di ottantasei anni, accusato nel 1691 di licantropia. L’estasi sciamanica ha svolto il medesimo ruolo, presso le comunità in cui è diffuso tale fenomeno spirituale, della magia: dare una spiegazione alla «perdita della presenza», alla malattia mortale che investe la vita, sotto specie di tendenza entropica alla dissoluzione, al disordine, alla fine. Lo sciamano e il benandante sono, nell’accezione di De Martino, «eroi culturali». Per le ragioni ora presentate, Mircea Eliade, insigne storico delle religioni romeno, si occupò dei benandanti nel volume Occultismo,stregoneria e mode culturali. Saggi di religioni comparate (Torino, 2018).
Questo studio di Ginzburg confermò, sul finire degli anni Sessanta, le ricerche dell’egittologa Margaret Murray, allieva di Frazer, interessata alla magia dei primitivi. Fu la prima studiosa che, fondandosi su una documentazione prevalentemente inglese relativa ai processi di stregoneria, rivalutò: «l’attendibilità […] di quelle confessioni», estorte con la violenza. Dietro al sabba diabolico, si celavano i culti precristiani di fertilità, nei quali i giudici non sapevano vedere, invece, che perversione demoniaca. Tale posizione teorica fu confermata da Jean Marx e da Weiser-Aall che rilevò i tratti di prossimità tra stregoneria colta e popolare. Ecco, ciò che è vivo e conta davvero ne I benandanti, a circa cinquant’anni dalla prima edizione Einaudi, è l’l’attenzione posta sullo sfondo ancestrale della cultura europea. Lo schema esegetico fondato sulla lotta di classe, sulla individuazione della cultura degli oppressi, ci pare, al contrario, del tutto accessorio.
Giovanni Sessa