I filosofi, sempre da loro bisogna prendere le mosse, così saccenti così invadenti, hanno spesso trattato la vita quale schifezza, un sacchetto della spazzatura da abbandonare nel cassonetto differenziato del Cosmo, indegna d’essere posta in relazione con le grandi idee, di cui al massimo sono ‘pallide ombre di sogno’, che governano e cielo e terra ed ogni cosa, tramite ordine e giustizia, la cui comprensione spetta solo a coloro i quali si prendono cura e sanno adoperare il pensiero raziocinante. Immediato il rimando va a Platone, lo so, ma almeno egli era un grande facitore di miti, uno scrittore di ‘dialoghi’ da Premio Strega, forse a candidato al Nobel, nella Settima Lettera, con civetteria o profondità d’animo, ebbe il merito di affermare di non aver scritto nulla e, già nel Timeo, rimprovera il dio egizio Toth di aver fatto dono agli uomini della scrittura. E, se nel Fedone, si dà a pontificare su e perché l’anima debba considerarsi immortale – abili intelligenti noiose le sue enunciazioni (qualcuno, sobrio ed emaciato, è venuto da qualche sito estremo a confermarle in spirito e carne da testimone oculare?) –, la descrizione di Socrate in cella la coppa della cicuta i discepoli affranti e, al contempo, attratti e stupiti la moglie Santippe rimandata a casa con i suoi lagni e piagnistei (il morire, certo morire, appartiene solamente alla comunità degli uomini – cantavano gli squadristi spavaldi e rissosi come ‘alla mia morte non voglio preti né donne che mi piangano sul letto’… ed io, altrettanto), è scena da brivido, di straordinaria potenza evocativa e coinvolgente.
Va detto, per non essere faziosi e denigratori tout-court, che fra di loro vi furono, rivoli inquieti rispetto e in contrasto con l’alveo principale, alcuni che si diedero a battere canaletti insenature fenditure per scoprire luoghi impervi mai battuti dispersi tra roccia e roccia forre ricoperte da foglie morte salti pietrosi all’ombra di boschi fitti e tetri. Furono costoro disperati e folli e fuggitivi, proscritti in patria, lebbrosi ricoperti di cenci e additati al pubblico ludibrio, condannati al silenzio alla dimenticanza all’obbrobio. Io mi schiero dalla loro parte, eretico al rogo (evito nelle rare passeggiate di passare per Campo di Fiori là dove sprezzante e certo del suo dire Giordano Bruno, ‘martire e volentieri’, fu reso poca cenere. Scrivevo, però, come ‘oggi per poca cenere/ vale far tutto,/ perché è così raro/ averne un po’ in mano’), con la campanella al piede (dal collo del piccolo cane peloso ciondola, unico compagno del Cavaliere del Duerer, incurante della Morte del Diavolo e insensibile al richiamo delle città luminosa. La fedeltà non è un disonore), ed altro ancora (ironia e vanto ne fa il mio amico Cyrano, prima di incrociare le lame con lo sciocco e imprudente damerino al teatro – ‘Non un torso ben fatto, non un prestante petto,/ ma l’anima io raddrizzo come in un corsaletto’ –). Basta, mi son fin troppo lodato e sbrodato…
Gli scettici, confine estremo oltre il quale la filosofia non ha accesso e forse neppure ogni fantasma di logico pensare vi abita confuso tra il rifiuto d’ogni Sì – non questo è, ma ‘questo e quello per me pari son…’ –; gli gnostici, di cui in tempi non lontani Martin Heidegger si ricordò di citare esistenza e valore, che si nascosero con troppi orpelli simboli maschere fino a non capacitarsi essi stessi; poi il percorso è impervio e piccola la compagnia ma il paesaggio vale la pena essere esplorato, magari strappando qua e là una pagina una frase un aforisma – il sudore scivola lungo la schiena grosso il fiato pesanti le gambe eppure un passo ancora… Io, per quarant’anni circa, professore di filosofia, con masochismo autolesionismo ebbro e danzante a dire che il sapere cura i brufoli arrotonda le tette bagna il letto con la prima goccia bianca ti fa sentire meno stupido (questione di cromosomi) e solo (inganno). Vano simulacro a distogliere, precario il suo esito, la paura della morte come la pensava Céline.
La vita quale malattia che viene guarita con renderla universale e necessaria, frammento insignificante di un Tutto, di una Idea, d un Dio, della specie e del genere (senza coglierne il fondo tragico, atto – dicono – di rispetto e superamento della differenza, che potrebbe essere avvertita ostile alla ‘libera’ uguaglianza, ora i soloni del politicamente corretto l’hanno reso ‘legge’) – presto e lesti in fila per due… Un tempo si usavano le maiuscole con dovizia e gettate nel solco, promessa del futuro, a far germogliare frutti di valori sublimi e imperituri mentre gli uomini, va da sé, continuavano a star chini nella miseria del quotidiano. Insomma non mi consola non mi giustifica non mi esalta perché, una volta resomi consapevole che ‘Dio è morto’ e con lui ogni sua determinazione e surrogato, ecco apparirmi l’unico filo conduttore dell’esistenza, quel nascere per dovere vivere per obbligo morire per caso, facendo mia riflessione non mia.
(Avvertenza per coloro che potrebbero cadere in facile e immediato errore, presi magari ad andare oltre le apparenti sovente dicotomie di destra e sinistra, in narcisistiche autorappresentazioni … Non si tratta qui di fare il verso al marxismo e ai suoi derivati, ad altri appunto cercare nelle umane cose la formula liberatoria immanente, semmai riconoscere e riaffermare e adoperarsi in quanto ‘il socialismo non è né una questione puramente economica né una questione di classe riguardante soltanto una certa parte del popolo; ma che è invece e innanzi tutto una questione di carattere’, riporta testuale, ad esempio, il dottor Georg Zachariae, medico tedesco del Duce nella Repubblica Sociale, queste parole di Mussolini. Una aristocrazia di uomini fattisi ‘probi e capaci’ e ‘passati attraverso una dura scuola’ e non soltanto concependolo quale idea. Nella mia giovinezza condivisi con altri i più arditi e sfrontati il formarsi dei quadri combattenti nell’azione e non nel chiuso delle teorie e in sedi protette e fumose. Ciò chiamai, in tempi recenti, questo connubio rosso e nero – idee maturate e forgiatesi nella prassi e la prassi da esse nobilitata – anarco-fascismo).
Drieu la Rochelle esprimeva tenerezza per i falliti, riconoscendone come ne fosse pieno il mondo – forse in lui vi era l’interiore macerazione di considerarsi uno di loro –. Un intellettuale piccolo borghese, amato dalle donne e deluso da ogni relazione, scrittore di opere che sanno in fondo di incompiutezza, frequentatore di salotti alla moda e pur necessitante delle zone impervie ed oscure della solitudine, ansioso della sicurezza del denaro e, al contempo, di divenire ‘sempre più mistico’, cercare nella politica e la forza e la potenza e la rinascita e stancarsene ogni volta e di ogni prolungato duro coinvolgimento militante. Lontano dalla solarità di Brasillach; ostile al linguaggio di Céline… Eppure gli si vuole bene, di quella sua disperazione esistenziale di quell’aristocratica fierezza dal tratto di discendente normanno (chi fra ciascuno di noi non s’è commosso e ha fatto propri i versi della sua poesia ‘noi siamo uomini d’oggi…’?). E la maggior parte dei filosofi lo sono, così patetici e incapacitanti, falliti nella penna e ancor più quando hanno la pretesa di essere pastori di genti e non di greggi belanti alla loro scuola. Ne avete mai visto uno di costoro quando, con mimica da guitto, si contorce simile a cobra uscito dal cesto al ritmo monocorde, pifferaio di se stesso, e vi sbatte sul muso ‘è un concetto importantissimo!’ oppure ‘ora vi spiego…’? Lacrime dal ridere e sangue da sudarella…
Qualcuno si eleva da questo liquame e si fa gigante, nell’esistenza, come Platone reiterato illuso di essere il pensare alto e nobile del tiranno di Siracusa, che infatti se lo vende come schiavo; come Giovanni Gentile il quale, scrivendo alla figlia Teresa, le ricorda che non poteva sottrarsi all’invito del Duce per non rinnegare il senso stesso della propria vita e la coerenza delle scelte. Nietzsche ricorda come il valore di una filosofa sta là dove il filosofo sa viverla in sé, ma è richiamo esistenziale e ben poco sistematico. E verrebbe da chiedersi se è l’uomo che incarna e della filosofia si fa signore e testimone o è quest’ultima a dargli spessore o meno. Altri si scandalizzano se un loro studente si presenta a lezione con il gilet sbottonato o, dietro le persiane della finestra, si accontentano di assistere all’entrata di Napoleone a Jena (ed entrambi hanno scritto cose notevoli su cui inciampare e non poterli evitare, ma questa è ‘vita’?) … Sempre Nietzsche s’era professato medico e non più filosofo, intuendo i molteplici aspetti della malattia, dell’infezione, dei germi a devastare la sanità del corpo (in fondo essi si assommano nel cristianesimo). La trasmutazione dei valori, l’esigenza di una loro nuova tavola, la volontà di potenza sono il farmaco – c’è ancora in lui dell’ottimismo, una pretesa di verità tipica del filosofare. Ancora oltre, bisogna andare ancora oltre…
Ridurre l’esistenza a insonnia noia prostata (il risveglio alle prime luci dell’alba come icasticamente l’amico Nello mi suggerisce via chat da Torino) simili all’essenza delle Idee, al loro essere e vere e giuste e belle, e dirsi ‘io sono e questa è vita’ – in piedi fra le rovine, la finestra aperta i libri muti gli oggetti nella penombra, osservare il mondo e avvertire, brivido di freddo lungo la schiena, l’insorgenza dello Spirito, la tua carne le ossa il sangue, sapere che sono frammenti che chiami, ultimo baluardo, eternità. E il cuore ti batte ormai in disordine e nulla puoi farci o poco o nulla fai di più per dare anche ad esso un ordine. Hai sposato il Chaos, ad esso sei stato fedele ed esso ti ha ricambiato con il medesimo conio, e te lo sei portato dietro, anche se non hai visto nascere ‘stelle danzanti’ ma solo qualche scintilla sparsa e subito dispersa… Eppure scintillio, tripudio in cielo a rischiarare la notte, notte sul Nulla, ritorno al Nulla. Beatitudine… E sempre i filosofi a turlupinarci con ‘il cielo stellato su di me e in me la legge morale’. Inganno arroganza presunzione forme di salvifica giustificazione d’essere, comunque e nonostante tutto, qualcosa e qualcosa d’importante. Meno che zero, stronzi. Oppure no?