L’opera di Novalis, poeta e scrittore del Romanticismo tedesco, non ha, sic et simpliciter, valore letterario, ma è la testimonianza di un’esperienza spirituale intensamente vissuta. Lo mostra con chiarezza uno studio dell’indologa Maryla Falk, da poco riproposto da Iduna editrice per la cura di Nuccio D’Anna. Ci riferiamo a, I “Misteri” di Novalis (per ordini: associazione.iduna@gmail.com,pp. 120, euro 15,00).
Alla luce di tale centralità, Arnold giunse a concedere la funzione di motore della storia ai movimenti spirituali marginalizzati ma carichi di afflato mistico che, a più riprese, nel corso del tempo, hanno fatto irruzione nella storia d’Europa. In Novalis è, pertanto, presente l’appello fervente ad una Chiesa invisibile e dei pochi, custode di un patrimonio di conoscenze soteriologiche. Nel Novecento, tale congerie spirituale farà emergere il mitologema della “Germania segreta”, cui si richiamerà Stefan George. Novalis, per Falk, è prossimo alla sensibilità romantico-teosofica di Ludwig Tieck, ma anche: «alle speciali forme di rivelazione sacra esaltate da Johann Georg Hamann, alla mistica dell’ “unità cosmica” prospettata da Franz von Baader» (p. III). Dal secondo capitolo del volume, assai denso di riferimenti storico-culturali alla fonti sapienziali, alle quali Novalis guardò e attinse al fine di costruire la sua visione tradizionale del mondo, si comprende come l’intera sua opera: «sia pervasa totalmente di simboli, dalle speculazioni e dalle cosmologie che avevano sostanziato […] le opere degli alchimisti» (p. III) e da quelle del mondo teosofico-martinista, così attivo in quel frangente storico.
Tra tali tendenze spirituali, un posto di primo piano nell’opera novalisiana, è stato svolto dall’esperienza diretta di Dio e dai “misteri” di Jacob Böhme. Non sono assenti, sottolinea D’Anna, neppure riferimenti alla conoscenza spinoziana di terzo grado. In questo senso, l’ Enrico di Ofterdingen, altro non annuncierebbe se non la natura divina dell’uomo, sprofondata nella pesantezza della “pietra grezza” del nostro dato materiale. Ruolo essenziale, il grande romantico, attribuì alla poesia, in quanto essa: «possiede un fondo di autentica religiosità […] le visioni sacre sperimentate dall’autentico cantore hanno una potenza trasfigurante in grado di cambiare anche la natura più intima di ogni semplice compositore» (p. IV). In tal senso, Novalis rappresenta un tassello di rilievo nella sequela di pensatori che da Wagner conduce alla “nuova mitologia” del Kreis georgeano e al “cammino verso il linguaggio” di Heidegger.
Solo il poeta realizza il superamento della dicotomia io-non io, questo è l’idealismo magico. In Novalis, come coglierà oltre un secolo dopo Julius Evola, tale idealità magica presentava residui di “oggettività”, non completamente risolti nella spontaneità auto-poietica dello spirito. Di qui la necessità, avvertita dal pensatore tradizionalista, di radicalizzare l’intuizione novalisana. Negli Inni alla notte, che muovono dal dolore per la dipartita di Sophie, il poietes consegue la percezione della dimensione sovrannaturale personificata dalla donna amata. Sofia è ormai Conoscenza sacra, per dirla con un noto titolo di Seyyed Hossein Nasr, atta a condurlo lungo la Via dell’ascesa al cielo. Nella notte si realizza il mistero unitivo del superamento della razionalità e del suo correlato, il principio d’identità, produttore dei dualismi. Allora, al poeta si dischiude la dimensione sottile del mondo ed entra nella “visione del mistico”. Nel romanzo incompiuto, I discepoli di Sais, l’autore propone motivi della misteriosofia egizio-antica, già presenti in Schiller. Novalis ricorda le difficoltà che si incontrano nel tentativo di sollevare il velo della dea nel tempio di Sais, fin quando un discepolo, discosto dagli altri, riesce nell’intento e vede, oltre il velo, come nell’insegnamento delfico, semplicemente se stesso, l’identità di io e non io. La stessa verità che Bruno sostiene essere concessa, per chi abbia “occhi” atti a vedere, dal mito di Atteone. Si tratta di una: «esperienza diretta ed estatica dell’unità dell’essere» (p. VII). Dietro di essa una “grammatica simbolica” che l’adepto deve saper decifrare. Ogni aspetto del cosmo, in quanto teofania, è anche “linguaggio sacro”. Contro la vulgata romantica, allora emergente nella pagine del Wilhelm Meister di Goethe, legata al sentimentalismo, Novalis afferma una visione Altra della vita. Lo fa nella presentazione del “Fiore azzurro luminosissimo”: esso sboccia da un piano superiore della realtà, dell’essere, quale simbolo del Principio, della Sorgente di Vita.
Per dirlo con le parole della Falk, nell’esperienza del poeta: «albeggia l’intuizione storica della tradizione come tale, e nella coscienza della continuità […] si afferma la volontà di ripristinare il mitico stato delle sue origini» (p. 6). I Misteri di Novalis hanno, pertanto, il merito di presentare il poeta tedesco quale anello importante della lunga catena della Tradizione. Ecco perché a rilevarlo, non è di certo casuale, è stata un’indologa di vaglia.
Giovanni Sessa