Recensione di Fabio Calabrese
Silvano Lorenzoni è con ogni probabilità uno degli intellettuali “nostri” più acuti e interessanti, e mi onora della sua amicizia (in questo caso, la frase non è retorica, l’amicizia di un uomo di questa levatura è certamente un onore), devo dire tuttavia che mi sento in debito, per non dire in colpa nei suoi confronti.
Il motivo è questo: l’anno scorso Lorenzoni mi ha inviato copia del suo libro Intelligenze collettive che io, contrariamente a una prassi ormai consolidata da alcuni anni, non me la sono sentita di recensire per “Ereticamente” tranne un brano che ho inserito in un articolo della serie Una Ahnenerbe casalinga, perché questo testo, pure di grandissimo interesse per chi abbia delle curiosità scientifiche, tratta appunto delle intelligenze collettive quali esistono nel mondo animale, soprattutto gli insetti sociali: api, formiche, termiti, e non si occupa se non marginalmente del mondo umano, della dimensione sociale e politica verso cui si orientano gli interessi di “Ereticamente”.
Lorenzoni mi ha poi fatto pervenire Mondo aurorale, una sua opera basilare, direi, in cui tratteggia i fondamenti del suo pensiero “storico e preistorico”. Qui però c’era un altro problema, trattandosi di un testo alquanto datato, risalente al 2010, che non sapevo quanto senso avesse recensirlo a distanza di dieci anni dalla sua pubblicazione.
Ultimamente, Silvano mi ha mandato la sua ultima fatica, Incomprensibilità, e a questo punto vedrò di sdebitarmi/scusarmi con una recensione cumulativa di tutti e tre i testi.
Mondo aurorale è un’opera fondamentale nella bibliografia di Lorenzoni, nel senso preciso che delinea i fondamenti del suo pensiero. Questo lavoro si pone in una linea di continuità e completamento rispetto a un’altra opera che è forse il suo scritto più noto, Il selvaggio come decaduto. In entrambi si può vedere una vigorosa contestazione dei “miti” più radicati della “cultura” moderna, l’idea di progresso e la concezione evoluzionistica.
L’idea fondamentale è che gli uomini non appartenenti al mondo europeo-occidentale-moderno, i membri delle cosiddette culture extraeuropee, (facendo eccezione, s’intende, per le culture asiatiche: indiana, cinese, giapponese, radicalmente diverse da quella europea ma assolutamente degne di rispetto), quelli che ancora oggi senza eufemismi si possono chiamare i selvaggi, non siano affatto, come pretende la vulgata progressista-illuminista, dei “primitivi” nel senso di qualcuno che ancora oggi conserva la condizione umana dei primordi, che è rimasto attardato sul cammino del progresso, ma siano al contrario dei decaduti, cioè residui degenerati di culture un tempo superiori. Una concezione che ci porta a vedere come il progresso, inteso come necessario destino della specie umana non sia altro che un’illusione.
Questo punto di vista ricorre negli autori tradizionalisti a cominciare da Julius Evola, ma raramente è stato esposto con tanta ampiezza e sistematicità, ma soprattutto occorre dire che Lorenzoni nello sviluppare il suo punto di vista non si è basato su letture o resoconti di terza mano, così come la maggior parte di coloro che hanno sviluppato il concetto di progresso o l’idealizzazione delle cosiddette culture primitive standosene comodi nelle aule universitarie del mondo occidentale, ma “sul campo” avendo per decenni viaggiato per lavoro nelle più diverse parti del mondo ed essendo venuto in contatto con uomini e culture diversissime.
Lorenzoni introduce un altro concetto chiave: quello delle cesure epocali e dei continenti perduti (forse sarebbe meglio parlare di mondi perduti, alla lettera): il crollo di una civiltà sarebbe legato a una o più catastrofi che rappresenterebbero delle cesure epocali, cioè delle fratture nello scorrere lineare del tempo che lascerebbero dietro di sé uno spazio e un tempo diversi, nonché un ricordo offuscato che si esprimerebbe nel mito: Atlantide, Lemuria, Mu, Gondwana, e un’umanità residuale ridotta allo stato selvaggio oppure un’umanità che mantiene almeno in parte la sua qualità superiore, tuttavia al prezzo di una disconnessione, per usare un termine attuale, dalle sue radici più remote: è questo il caso dell’uomo bianco-caucasico-europeo-indoeuropeo disconnesso dalle sue origini iperboree e atlantidee, e dell’uomo asiatico che ha del pari (forse meno di noi) perso le connessioni con le sue origini più remote.
Si tratta, come è facile capire, di una visione delle cose fortemente controcorrente, che non solo intacca il “mito” consolatorio del progresso, ma ci induce a pensare che anche il nostro destino possa non differire da ciò che si è ripetuto varie volte nel corso del tempo, e che l’attuale decadenza del mondo occidentale preluda alla prossima, catastrofica cesura epocale.
Naturalmente, proprio perché dopo una cesura epocale il tempo è qualitativamente diverso e le tracce delle epoche pre-cesura sono scarsamente intelligibili, non è possibile tracciare una cronistoria delle epoche pre-cesura, quel che è invece possibile fare, è un esame antropologico sapendo che l’umanità attuale è in realtà un mosaico dei residui dei diversi cicli. Lorenzoni individua varie fasce di distribuzione geografica che corrispondono ad altrettanti tipi umani (con tutte le intrusioni e i meticciamenti tra l’uno e l’altro che ci possono essere): una fascia nordica che corrisponde al tipo umano indoeuropeo di origine boreale, una fascia continentale (asiatica) che corrisponde al tipo turanico e mongolico, un cuneo (così lo definisce in base alla conformazione geografica della sua distribuzione) atlantico-mediterraneo-indostano, una “fascia infera” comprendente le popolazioni “scure” dell’Africa, dell’India meridionale e del Pacifico, una fascia antartica comprendente le popolazioni più meridionali del pianeta, quelle che più delle altre presentano caratteristiche residuali e decadute: Boscimani e Ottentotti in Africa, Fuegini all’estremità meridionale del Sudamerica e nella Terra del Fuoco. In più, vi sarebbero due “intrusioni”, una atlantica, avvertibile nella Penisola Iberica e nelle Isole Britanniche (risalente forse ad Atlantide) e una pacifica (risalente forse a Mu) che avrebbe influenzato l’Asia di nord-est e le coste pacifiche delle Americhe.
Senza entrare troppo nei dettagli, si può dire che queste considerazioni offrono una base al discorso sviluppato nei testi seguenti, infatti, a prescindere da un concetto di umanità che, come Lorenzoni evidenzia più volte, è “puramente zoologico”, queste diverse umanità frutto di diversi cicli storici, mostrano psichismi significativamente diversi.
Una cosa che occorre rimarcare, è che a prescindere dalla cultura ufficiale certificata dai titoli accademici, Silvano Lorenzoni è un uomo dotato di una cultura vastissima, prevalentemente autodidatta che spazia dalle tematiche storico-antropologiche alle scienze naturali, alla fisica (dove è da segnalare la sua contestazione della relatività einsteiniana), alla filosofia e ai problemi della conoscenza.
Proprio questa sua estrema versatilità mi ha messo in difficoltà inducendomi a rinunciare a recensire per “Ereticamente” Intelligenze collettive, testo che tratta una tematica di grande interesse ma piuttosto lontana da quel complesso di tematiche storiche-socio-politiche di cui la nostra pubblicazione tratta per l’ordinario, cioè appunto le intelligenze collettive degli insetti sociali, un tipo di intelligenza radicalmente diversa da quella umana, che non appartiene agli individui che sono una sorta di cellule del “cervello sociale” dell’alveare o del formicaio, tuttavia capaci di manifestazioni sorprendenti.
Tuttavia, anche qui le tematiche socio-politiche sono in parte sfiorate attraverso la constatazione che i – chiamiamoli non-europei e non-mongolici – hanno un senso della propria individualità meno pronunciato e solido di quello di un uomo europeo-occidentale ed est-asiatico. Per questo motivo, dedicai al libro, se non proprio una recensione, una citazione nell’ottantaduesima parte di Una Ahnenerbe casalinga dell’8 ottobre 2018 che ora vi riporto:
“Se vi chiedessi dove secondo voi si trova il discrimine, la barriera che separa il primate non umano dall’umano, penso che la maggior parte di voi risponderebbe “L’intelligenza e l’autoconsapevolezza”, ma se vi chiedessi poi cosa sono l’intelligenza e l’autoconsapevolezza, sono certo che avreste delle difficoltà a rispondere. Un aiuto a trovare queste risposte certo non facili, ci può venire dal più recente libro di Silvano Lorenzoni, una ricerca sulle Intelligenze collettive, vale a dire il confronto con quelle intelligenze non di tipo umano che sono rappresentate dai cosiddetti insetti sociali: api, formiche, termiti. Cosiddetti perché l’alveare, il formicaio, il termitaio non sono società come le nostre, composte da individui autonomi, ma veri e propri super-organismi di cui il singolo insetto non è che una semplice cellula incapace di sopravvivere fuori da essi. Questo confronto serve anche a mettere in luce alcuni aspetti tipici del mondo umano, l’uso o il disuso dell’intelligenza. La cosiddetta intelligenza artificiale, che in realtà non è affatto tale. Una macchina, anche il computer più potente e tecnologicamente sofisticato non può far altro che calcoli, cioè manipolazione di segnali che per essa non acquistano mai un significato, può cioè elaborare ma non capire, ed è conseguentemente incapace di prendere decisioni che non siano quelle stabilite da un programmatore umano, non può avere una volontà propria. Si comprende quindi che tutte “le speranze” del post-umanesimo diventato una sorta di religione, non sono altro che illusioni, il sogno di beneficiare dell’immortalità sostituendo ai nostri fragili corpi l’hardware di un computer, rimane una chimera irrealizzabile. Se anche riuscissimo a trasferire in un computer le registrazioni complete di ogni aspetto della nostra esistenza, sarebbero registrazioni e nient’altro, non saremmo noi.
Un aspetto per il quale nel mondo umano si può verificare una condizione che in qualche modo si avvicina alle intelligenze collettive, è la condizione di folla, la cui psicologia è stata studiata da Gustave Le Bon a cui l’autore in parte si richiama. Nella folla il singolo perde in una certa misura la sua individualità per una sorta di contagio psichico, ed essa agisce come una sorta di intelligenza collettiva più emotiva e irrazionale dei suoi componenti presi separatamente. Lorenzoni fa notare che il fenomeno della folla è tipico delle religioni monoteistiche, si pensi alle suggestioni di massa che stanno alla base di certi “eventi miracolosi”, e che certe razze umane, in particolare la nera, sono più inclini di altre a cadere sotto queste forme di invasamento collettivo. Per menzionare un episodio recente, ricordiamo come i “nuovi francesi” che oggi impestano quella che un tempo fu una delle più belle capitali d’Europa, hanno “festeggiato” la vittoria ai mondiali di calcio della “Francia” multietnica, con un’orgia di violenza gratuita”.
Una tematica, va detto, che si salda molto bene a quella che Lorenzoni ha sviluppato nel suo ultimo libro, Incomprensibilità, che tratta proprio dello iato mentale irriducibile che esiste fra le diverse popolazioni umane (si può usare a tal proposito la parola “razze”?).
Per avere chiara la concezione di Lorenzoni, quella che potremmo definire la sua epistemologia, occorre avere a mente il significato di due concetti importanti, varie volte esposti nelle sue opere, ma che qui acquistano un rilievo particolare: “prigione kantiana” e “insieme bühleriano”.
Il primo di questi due concetti fa riferimento ovviamente alla gnoseologia di Immanuel Kant. Secondo il grande filosofo tedesco, il mondo della nostra esperienza, il mondo fenomenico, non è il mondo delle cose in sé come sono a prescindere dal nostro percepirle, ma è una “costruzione” del nostro apparato sensoriale e percettivo. Siamo dunque prigionieri di ciò che ci rivelano la nostra mente e i nostri sensi, una “prigione” dalla quale non è possibile evadere. Ogni essere vivente ha la sua “prigione kantiana” tipica della sua specie: per fare un esempio banale, noi viviamo in un mondo fatto prevalentemente di stimoli visivi, mentre quello di un cane è prevalentemente olfattivo.
Il concetto di insieme bühleriano si rifà agli studi dello psicologo e linguista Karl Bühler. Un insieme bühleriano è composto da coloro che sono in grado di capirsi. Ora, bisogna fare attenzione: capirsi nel senso di Bühler, cioè avere una comprensione dei concetti dell’altro, è altra cosa dall’intendersi come mera interpretazione di segnali, che è il livello più basso della comunicazione: anche il nostro cane ci intende, che abbiamo intenzione di portarlo a spasso quando gli mostriamo il guinzaglio, ma questo non significa certo che potremmo discorrere con lui di filosofia, di scienza, di religione.
È ovvio che elementi dello stesso insieme bühleriano condividono la stessa prigione kantiana. Quello che è meno ovvio, è se tutti gli esseri che consideriamo umani appartengano o meno al medesimo insieme bühleriano. Parlando di difficoltà a capirsi, non parliamo se non parzialmente di difficoltà linguistiche a cui una traduzione può sempre ovviare. Il problema non consiste nel lessico ma nella sintassi o meglio ancora nella struttura logica a essa sottintesa. È un’opinione che sicuramente provocherà lo sconcerto e il fastidio di molti, ma Lorenzoni ritiene che non tutti gli esseri che consideriamo umani facciano parte dello stesso insieme bühleriano. È un concetto che il nostro ha ripetuto più volte: “la definizione di umanità è puramente zoologica”.
Prima di scandalizzarsi sarà bene ricordare che le idee di Lorenzoni a tale proposito non derivano dal sentito dire, da letture, da astrazioni filosofiche come quelle di cui si pascono i sostenitori dell’uguaglianza e della fraternità umane, ma dall’esperienza di ripetuti contatti con le più diverse popolazioni del mondo. In Incomprensibilità cita un episodio davvero illuminante: ai neri africani sembra mancare del tutto il concetto di gratitudine. Una volta, l’autore rimproverò uno di costoro per l’abitudine, costante e radicata, di non ringraziare, e si sentì rispondere davvero con paradossale candore:
“Se ti disfi di qualcosa, vuol dire che non ci tieni”.
Sarebbe tuttavia un errore pensare a una semplice differenza caratteriale: il bianco e il nero vivono letteralmente in due mondi diversi, non fanno parte dello stesso insieme bühleriano, come si può ben arguire dalla percezione del tempo completamente diversa che hanno: per il nero il futuro sembra letteralmente non esistere, e anche del passato, del proprio passato personale conserva un ricordo estremamente vago, vive, si può dire, in un eterno presente da cui sono esclusi i concetti di preveggenza, di pianificazione, di interesse per un domani che per lui neppure esiste.
Lorenzoni osserva il fatto che nelle lingue bantù neppure esistono i tempi passati e futuri, con la conseguenza che quando i traduttori cercano di tradurre in queste testi europei, devono ricorrere a perifrasi e circonlocuzioni che agli africani risultano incomprensibili e ridicole.
L’autore fa notare che oggi l’inglese-americano, che egli chiama americhese, se mantiene in parte il lessico della lingua di Shakespeare, a livello di sintassi sta diventando sempre più una lingua bantù, e questo è certamente sintomatico del fatto che oggi negli USA la componente di origine europea sta diventando minoritaria rispetto alla massa nera-ispanica-meticcia-colorata, e là dove permangono caratteristiche fisiche europidi, spesso assistiamo a una sorta di africanizzazione a livello animico.
Io mi domando se le lingue europee e noi europei non siamo destinati a subire a breve la stessa sorte e se, per esempio, non sia sintomatica l’estinzione del modo congiuntivo, il cui uso, del tutto normale per le persone della mia generazione, sembra oggi presentare ai più giovani insormontabili difficoltà.
Secondo Lorenzoni, la vera cesura si trova tra l’umano superiore e tutto il resto del mondo vivente animale e vegetale (pure alle piante egli riconosce una certa, per noi incomprensibile, psichicità), compresi certi bipedi a noi affini in termini anatomici e zoologici.
Un pensiero, quello del nostro autore, radicale e tonificante, un’aperta sfida a tutti i dogmi del “politicamente corretto” democratico.
Silvano Lorenzoni:
Mondo aurorale
Libreria Editrice Primordia 2010
€. 12,00
Intelligenze collettive
Libreria Editrice Primordia 2018
€. 18,00
Incomprensibilità
Libreria Editrice Primordia 2019
€. 14,00
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