Sono passati circa sessant’anni dalla pubblicazione del libro I persuasori occulti di Vance Packard. Era il 1957, e il giornalista e sociologo statunitense aveva deciso di prendere in esame i meccanismi che regolavano i consumi del popolo americano. A pochi anni dalla fine della guerra, ci si preparava infatti al boom economico che avrebbe caratterizzato gli anni ‘50. Il mutamento radicale della società aveva però messo in crisi gli esperti di comunicazione dell’epoca. Con l’avvento della produzione di massa, le aziende sentivano il bisogno di incrementare le vendite al fine di raggiungere un numero sempre maggiore di potenziali consumatori.
Per queste ragioni, le agenzie pubblicitarie si erano presto rese conto che, per vendere i loro prodotti, era necessario “attaccare l’inconscio” delle persone, facendo cinicamente leva sui bisogni segreti di ciascun individuo. Identificato questo intimo bisogno, “si prometteva al pubblico che l’unico modo di soddisfarlo era di acquistare questo o quel prodotto, dai condizionatori d’aria, alle miscele per dolci, ai motoscafi“.
Packard aveva individuato otto bisogni inconsci fondamentali che gli esperti di comunicazione utilizzavano per manipolare le scelte dei consumatori: la sicurezza emotiva (“il frigorifero rappresenta per molti la garanzia che in casa c’è sempre del cibo”), la stima e considerazione (“molte donne si sentono impegnate in una faticaccia per la quale non otterranno né compenso né riconoscimento morale. Occorre quindi […] impostare la «pubblicità sulla nobiltà e l’importanza dei lavori domestici […]”), le esigenze dell’ego (“i manovratori si sentivano offesi e diminuiti dalle fotografie messe in circolazione dalla ditta, le quali davano il massimo risalto alla macchina a danno del manovratore, minuscola figura appena visibile nella cabina di comando”), gli impulsi creativi (“il giardinaggio è una «attività simile alla gravidanza», «cuocere una torta è un’azione sostitutiva del parto»), la speculazione sull’affetto (“gli agenti pubblicitari di Liberace, il celebre cantante-pianista della televisione, hanno giocato […] sul complesso edipico per «vendere» il loro divo alle donne che hanno oltrepassato l’età della maternità”), il senso di potenza (“questo bisogno di potenza, diffuso in special modo tra gli uomini, è stato individuato e sfruttato a fondo dalle industrie interessate al mercato delle imbarcazioni in America”), i legami familiari (“gli investigatori incaricati dell’inchiesta notarono che la gente, quando parla del vino, lo nomina spesso in relazione a riunioni di famiglia o altre occasioni festive”), e il bisogno di immortalità (“ciò che veramente attrae un uomo, nell’assicurazione a vita, accertarono gli psicologi, è l’implicita «prospettiva di immortalità attraverso il perpetuarsi della sua influenza”).
Gli sviluppi delle scienze sociali e della psicanalisi avevano fornito un terreno fertile per i manipolatori della mente: attraverso l’uso intrusivo di simboli, si denudava il consumatore delle sue barriere coscienti, quelle barriere che si frapponevano tra l’imperativo assoluto della vendita ad ogni costo e l’intima vulnerabilità delle persone, fatta di infantile narcisismo, senso di colpa e bisogno di prestigio. Si notava quindi che i riferimenti sessuali attraevano fortemente l’attenzione del pubblico (in particolare quello femminile), che la scelta dei colori giusti era indispensabile per raggiungere un determinato target di consumatori, che la grande automobile affascinava così tanto gli uomini perché donava loro un senso di virilità, e che anche le più radicate avversioni nei confronti di merci di un certo tipo potevano essere “curate”. Ma il versante forse più inquietante di questo tipo di realtà riguardava la “psicoseduzione” dei bambini. Le grandi aziende davano una grandissima importanza alle nuove leve di consumatori, e avevano compreso che influenzare i bambini fin dalla più tenera età era una delle strategie più feconde per registrare un incremento delle vendite. Packard chiamava il reclutamento dei nuovi consumatori “allevamento di uomini”.
All’epoca, il libro di Packard veniva considerato fin troppo allarmista. Tuttavia, l’autore sapeva bene che il marketing occulto si sarebbe sviluppato nel corso dei decenni fino a raggiungere scenari impensabili per l’epoca in cui viveva. Nonostante in quegli anni molte aziende avessero annunciato di porre fine a questo tipo sleale di pubblicità, non è cessata l’intrusione nel nostro inconscio dei persuasori occulti; questi, nel nuovo Millennio, si chiamano “neuroscienziati”, e i loro metodi di persuasione “neuromarketing”. Non si tratta solamente di inserire messaggi subliminali dal contenuto inquietante nei cartoni animati destinati ai bambini, ma di creare un numero sempre maggiore di tecnologie in grado di far vacillare la nostre antiche certezze sul libero arbitrio. Oggi, molte grandi aziende fanno ricorso alla tecnologia di monitoraggio oculare (“eye tracking”): studiando il movimento delle pupille del consumatore, è possibile, ad esempio, sviluppare il confezionamento che attrae maggiormente l’attenzione del pubblico. Facebook, a giugno di quest’anno, ha sviluppato un brevetto per profilare gli utenti utilizzando messaggi subliminali nelle pubblicità, suoni non udibili dall’orecchio umano, che vengono prodotti dalla TV attivando così una registrazione audio ambientale. I neuroscienziati hanno voluto esprimere il loro parere anche in merito all’idea di un reddito di cittadinanza, passando così dalla persuasione del consumatore a quella del cittadino. In altre parole, le neuroscienze si stanno progressivamente avvicinando alla questione pubblica, non limitandosi solamente alla sfera dei consumi. Dal momento che, tramite queste suggestive tecniche, è infatti possibile rendere più attraente un prodotto agli occhi del pubblico, per quale motivo non mettere la “scienza” anche al servizio della politica? Ogni cosa, infondo, può diventare potenziale merce per gli esperti delle tecniche di persuasione subliminale, persino un’ideologia. È il trionfo del totalitarismo economico a scapito dell’etica politica, il rifiuto di rispondere alla domanda “perché no, se è possibile?”, o addirittura di porsela. Packard, tuttavia, questa domanda se l’era già posta molto tempo fa, e ad essa aveva anche dato una coraggiosa risposta.
“Il sopruso più grave che molti manipolatori commettono è, a mio avviso, il tentativo di insinuarsi nell’intimità della mente umana. È questo diritto alla intimità della mente – il diritto di essere, a piacere, razionali o irrazionali – che, io, credo, abbiamo il dovere di difendere” (Vance Packard).
Flavia Corso