10 Ottobre 2024
Politica Società

I volti della decadenza, quinta parte – Fabio Calabrese

Onestamente, non avrei proprio pensato, quando ho steso il primo di questi articoli, che essi potessero diventare una serie, magari una rubrica. L’antefatto ve l’ho già spiegato: il fatto di trovarmi ad aver accumulato una serie di testi che avevo intenzione di leggere e recensire per “Ereticamente” non appena il pensionamento che ritenevo più imminente di quanto effettivamente non sia, mi avesse liberato dagli impegni lavorativi in quel microcosmo diventato sempre più assurdo, demenziale e incapace di trasmettere cultura, che è oggi il mondo della scuola.

Una successiva riflessione mi ha fatto balzare in evidenza la circostanza che questi testi perlopiù trattano tematiche che si possono comprendere nel concetto generale di decadenza della nostra civiltà, ragion per cui, nell’attesa di trovarmi ad avere quella disponibilità di tempo necessaria per un’analisi approfondita, ho pensato di darvene almeno approssimativamente un’idea complessiva.

Ebbene, anche in questo caso, pare proprio che valga la regola per cui più si scava, più si trova, anche se onestamente non si può scacciare il dubbio che in definitiva qualunque testo che affronti seriamente le tematiche riguardanti la società e il mondo nel quale viviamo, non possa non collegarsi al tema della decadenza, perché – diciamolo con estrema chiarezza – le tematiche trattate da Julius Evola in Rivolta contro il mondo moderno, da René Guenon in La crisi del mondo moderno, da Oswald Spengler ne Il tramonto dell’Occidente potevano suonare come inquietanti profezie negli anni in cui questi furono scritti, mentre oggi il disfacimento della nostra civiltà è una realtà che abbiamo sotto gli occhi, e ci vogliono davvero gli spessi paraocchi dell’ottimismo progressista, la fede irrazionale o nell’avvento di una rivoluzione planetaria come palingenesi finale, o una fiducia nella ragione e nel progresso che è a tutti gli effetti il colmo dell’irrazionalità considerando come l’essere umano si è sempre comportato nei secoli, per non rendersi conto di come stanno le cose.

Fra i testi che ho citato in precedenza, io trovo estremamente significativo che a darci la chiave interpretativa più ovvia dei fenomeni a cui stiamo attualmente assistendo sia proprio quello del probabilmente meno conosciuto fra gli autori che ho citato, Angelo Bertolo: la prima causa della decadenza di una civiltà è il declino demografico, il venir meno della sostanza umana di chi l’ha creata, ed è altrettanto evidente che l’immissione massiccia di sangue estraneo alla quale stiamo assistendo oggi, non soltanto non migliora la situazione, ma rende la crisi irrisolvibile, è quello che è sempre avvenuto nel corso della storia, a prescindere dal fatto che gli stranieri che ci si vogliono gabellare per “nuovi italiani” e “nuovi europei” rappresentano obiettivamente un materiale umano di gran lunga più scadente, e che la loro massiccia presenza sul nostro suolo è precisamente l’attuazione di un piano volto a distruggere l’uomo europeo, a sostituirlo con masse umane meno intelligenti, più malleabili e più facilmente manipolabili dalle oligarchie del denaro interessate a far regredire qualcosa come due secoli di conquiste sociali, precisamente ciò che conosciamo (e che hanno fatto di tutto per non farci conoscere) come piano Kalergi.

Un piccolo inciso: la distinzione fra élite aristocratica e oligarchia mercantile non è una novità, risale a Platone, anche se sembra una distinzione che la maggior parte dei sociologi attuali non sia più in grado di tracciare. Gli scritti dell’antico filosofo greco ci illuminano sul nostro possibile destino molto più della logorrea stampata della maggior parte di questi ultimi.

Come avete visto, nelle parti precedenti di questa trattazione sono partito dal mio caso personale, e credo di non dispiacere a nessuno se proseguirò il discorso sulla stessa falsariga. Lavorare nel mondo della scuola oggi è un’esperienza davvero frustrante. La stragrande maggioranza degli insegnanti italiani oggi è di sinistra, gente proveniente dal ’68 o i loro eredi formati più o meno nella stessa mentalità e – contraddicendo il principio fondamentale per il quale chi vuole insegnare deve essere del pari disposto a imparare – ai quali un evento epocale come il crollo dell’Unione Sovietica e il fallimento provato sul campo dell’ideologia marxista, al costo della distruzione delle vite di milioni di persone, non ha insegnato nulla. Io ho più volte richiamato il fatto che il danno e il pericolo rappresentati dal fatto che la (de)formazione delle giovani generazioni rimane affidata a gente di questo genere, è un problema la cui gravità è di gran lunga sottovalutata dalle forze politiche anticomuniste.

Sicuramente la tematica del ’68 è strettamente connessa a quella della decadenza dell’Europa e in generale di ciò che possiamo chiamare sia pure impropriamente la cultura occidentale. Oggi gli ex sessantottini e coloro che si sono (de)formati nel clima culturale creato da costoro, hanno praticamente il monopolio sia dei media, sia, cosa ancora più grave, dell’istruzione. Ora, non c’è dubbio che la trasmissione delle informazioni sia per la via “orizzontale” del sistema mediatico, ma soprattutto attraverso quella “verticale” dell’istruzione che passa da una generazione a quelle successive, è l’anima stessa di una cultura, per cui il danno provocato da costoro non può essere sopravvalutato.

Prescindiamo, per ora, dalla compromissione che tutti costoro hanno arrecato e continuano ad arrecare in altri settori: dalla decadenza generale dei valori, all’annichilimento del senso di responsabilità sostituito da un edonismo generalizzato che ha distrutto e sta distruggendo l’idea stessa di famiglia, all’assenza di rispetto per l’autorità, alla diffusione di piaghe specifiche come le tossicodipendenze.

Non vi possono purtroppo essere dubbi sul fatto che il ’68 coi suoi annessi e connessi ha costituito un punto di svolta cruciale per la decadenza della nostra civiltà.

Dopo una serie di amare esperienze, ho fatto il possibile per tenere per me le mie concezioni politiche nella scuola dove attualmente lavoro, perlomeno nei confronti dei cosiddetti colleghi, lasciando semmai trapelare con gli allievi quel tanto che è necessario per contrastare i veleni ideologici di sinistra a cui sono quotidianamente esposti.

Ora la cosa potrà anche sembrare strana, ma perlopiù queste persone non dimostrano di valere molto di più delle loro idee. Vi faccio l’esempio di un “collega” che come gli altri ignora assolutamente le mie idee politiche, il quale dopo aver saputo che l’Ufficio Scolastico Regionale aveva sbagliato i conteggi riguardo al mio pensionamento e che non sarei potuto andare in pensione a settembre 2018, ha commentato sarcastico: “Ora non ti resta che votare Lega” (La Lega, come sappiamo, tra le forze politiche, infatti, è l’unica che si propone l’abolizione della legge Fornero che ha innalzato di due anni l’età pensionabile).

A parte il tono di dileggio usato verso la mia persona, quello che mi ha davvero colpito, è stato l’evidente disprezzo verso le forze identitarie e populiste fra le quali la Lega bene o male rientra. Questi ex sessantottini dallo stile di vita assolutamente borghese, nonostante che le loro utopie siano scoppiate una dietro l’altra come bolle di sapone, hanno un’enorme arroganza, la convinzione di essere in possesso della chiave della comprensione dell’universo mondo.

Di un altro esemplare della stessa fauna, credo di avervi già parlato in particolare nell’articolo Razzismo rosso, trattasi di una “compagna” assatanata ed estremamente impegnata nell’inoculare nella mente dei disgraziati adolescenti tutto lo sciocchezzaio multietnico e multiculturale che ben conosciamo, oltre ad avere un carattere estremamente litigioso ed essere una di quelle persone che si rendono antipatiche a vista, grazie anche alla ferrea convinzione della propria superiorità intellettuale sull’universo mondo. L’esistenza di un razzismo di sinistra, questa donna me la fece toccare con mano con il suo atteggiamento di foia mondialista, di aperto disprezzo e dileggio per chi ha la ventura di avere un’identità etnica definita, di vivere nello stesso luogo dove sono nati i suoi genitori.

Io tralascerei quasi di dirvi che questa donna e il marito hanno adottato un ragazzo etiope, se non fosse per una circostanza: per puro caso, sono venuto a sapere che costei è la nuora di un ormai defunto da tempo maestro che ho avuto in terza elementare, e di cui conservo un ricordo del pari sgradevolissimo.

Quest’uomo mi prese subito a mal volere. Era, come ho saputo più tardi, un cultore di folclore triestino, che a livello locale si era anche acquisito una certa notorietà redigendo e pubblicando una raccolta di canzoni dialettali, nonché uno di quei triestini che rimpiangevano i tempi anteriori al 1918, per i quali coloro che sono venuti più tardi nella città giuliana o che vivono a occidente del Tagliamento o forse dell’Isonzo rimangono stranieri, “taliani”, come dicono con per nulla celato disprezzo, e il mio cognome “terrone” me l’aveva subito messo contro. Nonostante i molti anni passati, ricordo ancora molto bene la sua faccia dominata da un bel naso rosso da alcolista, poiché era notoriamente un devoto frequentatore delle osterie e bettole della zona.

Devo dire che dopo che mia madre andò a parlare con lui, avendo saputo che ero si di padre meridionale, ma nato a Trieste, e che mia madre era toscana, il suo atteggiamento migliorò un po’, però pensate che coraggio: un uomo fatto e finito (anche se più che altro sfatto dall’alcool) che se la prende con un bambino di nove anni, quale allora ero.

Io non so se esiste l’anima o qualcosa di noi che sopravvive alla morte, ma nel caso fosse così, io mi auguro tanto che questo maniaco della triestinità pura, disprezzatore di “taliani”, dovunque si trovi (ma in paradiso non credo), sappia e si goda il fatto che oggi il suo riverito cognome è portato avanti da un nero.

Io non ho la ventura, e ovviamente nessun desiderio di conoscere il signor N., figlio di questo mio antico maestro e marito della “cara collega” di cui sopra, anche se ci sono due proverbi che mi danno un’idea su che tipo di uomo deve essere: “Il frutto non cade lontano dall’albero” e “chi si somiglia, si piglia”. Tuttavia, voi sapete che io non ho intenzione, né in questa serie di articoli né altrove, di intrattenervi sulle vicende personali di Fabio Calabrese se non nella misura in cui possono servire per introdurre una riflessione di carattere più generale, anche perché non mi sono pianto addosso quattro anni fa quando mi hanno diagnosticato un tumore, figuratevi se lo faccio adesso ripensando a certi episodi spiacevoli della mia infanzia.

Questa vicenda ci pone un problema di carattere più generale: tra il campanilismo localistico e il mondialismo cosmopolita sembrerebbe esserci un abisso, ma è veramente così? Il fatto di trovare persone che passano con relativa facilità da un atteggiamento all’altro, spinge a dubitarne, ma questo significa ancora poco, la cosa davvero importante è un’altra. Noi abbiamo visto in questi ultimi decenni il sorgere e il crescere un po’ dappertutto di movimenti localistici e separatistici, cosa che in prima battuta sembrerebbe essere un assurdo totale, ma la cosa in realtà si spiega: è il mondialismo stesso a incoraggiare queste tendenze, al preciso scopo di intaccare e rendere sempre più precarie quelle realtà nazionali che sono le uniche che potrebbero opporre una qualche resistenza ai progetti mondialisti. Questo, ci racconta lo scrittore austriaco Gert Honsik, è precisamente uno dei punti del piano Kalergi. Da questo punto di vista, vediamo bene che c’è un’insospettata coerenza e continuità fra gli atteggiamenti della mia “cara collega” e del suo defunto suocero.

Ce l’ha spiegato chiaramente Gert Honsik che ha affrontato per spiegarci Il piano Kalergi in 28 punti un lungo periodo di detenzione “democraticamente” comminatogli da una democrazia che non sopporta che la gente disponga delle informazioni necessarie per fare le scelte consapevoli.

“Kalergi proclama l’abolizione del diritto di autodeterminazione dei popoli e, successivamente, l’eliminazione delle nazioni per mezzo dei movimenti etnici separatisti o l’immigrazione allogena di massa.

E’ abbastanza chiaro? Parallelamente all’immigrazione di massa di allogeni dal Terzo Mondo, i movimenti separatisti che disgregano le realtà nazionali sono un mezzo per eliminare le resistenze all’attuazione di questo piano diabolico, volto a sradicare completamente la civiltà europea.

Ma se questo non vi basta, potete ascoltare direttamente la voce del nemico, ovvero quanto rivelato nel 1970 in un’intervista alla rivista francese “Enterprise” da Edmond de Rotschild, uno dei membri della casta di banchieri usurai circoncisi che stanno portando avanti il piano Kalergi a livello planetario:

«[Si realizzerà] un’Europa politica federale. Ma poiché ogni individuo prova il bisogno di situarsi in un ambiente ristretto, si identificherà ad una provincia, sia il Wurtemberg o la Savoia, la Bretagna, l’Alsazia-Lorena o il Paese dei Valloni. In queste condizioni la struttura che scomparirà, il lucchetto da far saltare, è la nazione, perché inadatta al mondo moderno; a volte è troppo piccola, a volte troppo grande».

E’ un concetto che ho spiegato più volte: talvolta occorre rinunciare a qualcosa per salvare tutto il resto, e il qualcosa cui occorre saper rinunciare è l’identitarismo di corto respiro, quello che si traduce in localismi e municipalismi, che non solo frantumano le realtà nazionali trasformando quella che dovrebbe essere una realtà solida in ghiaia sbriciolata destinata ad essere travolta dalla marea, ma possono mettere le genti di una stessa nazione le une contro le altre in un gioco al massacro che il potere mondialista saprà ben sfruttare per il suoi fini, e il tragico destino della ex Jugoslavia da questo punto di vista sarebbe dovuto essere un esempio sufficiente ad aprire gli occhi a chiunque.

Possiamo quanto meno dire che fra il cosmopolitismo della “cara collega” e il municipalismo del defunto suocero esiste un’obiettiva convergenza che lascia intravedere in controluce il segno odioso della falce e martello oggi in pieno accordo con le finalità del grande capitalismo internazionale.

Non è probabilmente il caso, ora, di provvedere a un’ulteriore analisi di testi per non rendere questo articolo chilometrico, tuttavia va detto che oltre ai libri di cui vi ho parlato nelle quattro parti precedenti, e che era mia intenzione recensire dettagliatamente non appena il pensionamento me ne avesse concesso il tempo, c’è una vasta anche se eterogenea collezione di articoli in formato elettronico scaricati nell’hard disk del mio computer, di cui sempre per motivi di tempo, non ho potuto dedicarmi alla lettura approfondita che meriterebbero. Nel loro insieme costituiscono l’equivalente di più di un libro.

Sempre in attesa che la quiescenza mi dia il tempo necessario per un lavoro approfondito, vedremo di fare dei controlli a campione, ma si tratta di un lavoro da rimandare alle prossime volte. Per ora, vi posso dire questo: io non vi prometto che questa serie di articoli diventerà folta come ad esempio Ex oriente lux, ma sarà poi vero?, né tanto meno come Una Ahnenerbe casalinga che è ormai diventata sulle  nostre pagine una vera e propria rubrica a cadenza bisettimanale, ma di certo essa continuerà assieme al mio impegno per “Ereticamente”.

NOTA: Nell’illustrazione, un’immagine emblematica del ’68, manifestanti “rossi” che aggrediscono a sprangate un agente. Il ’68 è stato un momento cruciale per la decadenza dell’Europa.

1 Comment

  • Paola 17 Ottobre 2018

    Ringrazio molto il Sig. Calabrese per quanto scrive e per come scrive.

    Inoltre desidero precisare che sono del tutto convinta che il 68 sia stato una mannaia sull’umanità.
    E dal 68 è nata anche una delle più nauseanti situazioni umane, della quale nessuno si è accorto..
    Probabilmente creerò un blog per parlare di questa e anche di altro.
    Grazie di nuovo.

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