Riprendiamo le fila del nostro discorso. Come ricorderete, in questa serie di articoli mi sono riproposto di darvi una rapida sintesi del contenuto di una serie di testi che avevo intenzione di analizzare quando avessi avuto il tempo di esaminarli e recensirli in dettaglio, grazie al mio previsto pensionamento che però, grazie alle beffe che il nostro ottuso sistema burocratico riserva ai cittadini, è slittato di un anno. Tuttavia, a ben guardare, essi in varia misura riguardano un tema piuttosto specifico, ossia quello della decadenza della nostra civiltà, e il punto – peraltro essenziale – che era rimasto in sospeso, era precisamente questo: davvero la nostra civiltà, la civiltà europea coincide con “l’Occidente giudaico-cristiano”?
Per comprendere se davvero la nostra civiltà sia giudaico-cristiana come la definisce Michel Onfray nel suo ponderoso Decadenza (ma in questo non è certo il solo) e quale ruolo abbia giocato e giochi attualmente il cristianesimo nella storia del nostro continente, occorre rispondere a una domanda preliminare: che cos’è il cristianesimo?
Forse per comprendere nella maniera migliore cosa sia realmente il cristianesimo e che ruolo abbia giocato nella storia della civiltà europea, e giochi oggi nella sua decadenza e possibile sparizione, la cosa migliore è rifarsi a un’analisi fatta nel suo libro Les races humaines da N. C. Doyto (testo ovviamente pubblicato in edizione privata e non disponibile in lingua italiana, alla cui lettura ho potuto accedere grazie alla cortesia dell’amico Gianfranco Drioli).
Secondo l’ultimo grande studioso dei fenomeni razziali nella nostra epoca in cui la stessa parola “razza” è diventata tabù, la storia del cristianesimo andrebbe distinta in tre periodi: il cristianesimo delle origini che nasce come movimento sovversivo ebraico di rivolta anti-romana e che dopo il fallimento delle rivolte giudaiche del 67-70 assume un aspetto universalistico diventando una sorta di coagulo di tutti gli elementi di ribellione e malcontento contro lo stato romano (ed è per questo che i Romani, tolleranti in materia religiosa, lo combatterono, perché era un movimento di sovversione politica).
Ad esso, a partire dal concilio di Nicea voluto dall’imperatore Costantino, succedette per un lungo arco di secoli il cattolicesimo. Questo imperatore, che non fu mai cristiano e non fu battezzato che sul letto di morte, quando probabilmente non era più cosciente, intendeva restaurare l’unità religiosa dell’impero creando una religione katoliké, cioè universale, che andasse bene per tutti i sudditi (volenti o nolenti), perfezionando in fondo il modello teocratico già sperimentato da Diocleziano, con una fusione che incorporava disinvoltamente nel cristianesimo parecchi elementi pagani: dalla fusione della figura del messia ebraico (atteso liberatore del “popolo eletto”) con il soter, il salvatore delle religioni misteriche (Orfeo, Dioniso, Mitra a seconda dei casi), all’idea dell’immortalità dell’anima (estranea all’ebraismo e al cristianesimo delle origini, e ripresa da Platone), al culto delle immagini, all’ingigantimento della figura di Maria di Nazareth quasi inesistente nei vangeli per creare un equivalente delle divinità femminili.
Di passata si potrebbe ricordare che uno studioso cristologico “fuori dagli schemi”, Giancarlo Tranfo ha definito il cattolicesimo e la figura del Cristo delineata dai rimaneggiati vangeli usciti dal concilio di Nicea e che hanno rappresentato per secoli la didaché, la dottrina ufficiale della Chiesa, “una sincresi di infiniti archetipi”.
Bene o male, più male che bene, questa dottrina imposta con la forza, con una brutalità sulla quale perlopiù gli storici tacciono (praticamente in nessun testo di storia di quelli che vengono messi in mano ai nostri ragazzi, si accenna alle durissime persecuzioni messe in atto a partire da Teodosio, da parte dei cristiani, contro coloro che volevano continuare a seguire la religione e le tradizioni dei Padri), il cattolicesimo ha funzionato per secoli come surrogato di quelle tradizioni e di quello spirito europeo che andava sopprimendo.
Più male che bene: le continue lotte che travagliano l’Europa in età medioevale, i conflitti fra papato e impero, la lotta per le investiture prima, poi la cronica conflittualità fra guelfi e ghibellini, non sono altro che l’aspetto esteriore, politico dello scontro fra le tradizioni europee di cui i Germani erano portatori e che si saldavano sull’imperium latino, e lo spirito non-europeo, lo spirito del deserto, la radice semitica del cristianesimo che la Chiesa cattolica non ha mai reciso, né potrebbe farlo senza confutare le fonti della sua stessa autorità. Basta considerare la complessità di alcune grandi figure europee come quella dell’imperatore Federico II di Svevia per rendersi conto che questo conflitto non era soltanto politico.
Tutto questo però – ci assicura Doyto – rappresenta una fase ormai trascorsa: il Concilio Vaticano II rappresenta la fine del cattolicesimo come è esistito a partire dal Concilio di Nicea e l’avvento di quello che egli definisce neo-cristianesimo, di nuovo più saldamente riagganciato alle sue radici ebraiche, pauperista, terzomondista e francamente anti-europeo.
Ora noi potremmo anche prescindere dal fatto che la Chiesa cattolica si è sbarazzata di una tradizione secolare basandosi su di un calcolo politico rivelatosi errato: la presunta “apertura al mondo moderno” rappresentata dal Vaticano II era in realtà una serie di adattamenti in vista della convivenza con il comunismo di cui si prevedeva negli anni ’60 del XX secolo la vittoria planetaria più o meno imminente, poi le cose sono andate in tutt’altro modo. Quello che conta, è che una volta sbarazzatasi di questa vernice di europeizzazione che il cristianesimo aveva assunto nei secoli, proprio perché in ultima analisi si trattava di qualcosa di spurio, la trasformazione è stata irreversibile.
Io nei confronti della religione del Discorso della Montagna non sono mai stato tenero, come non lo è Doyto, come non lo è Silvano Lorenzoni, come non lo sono stati (con tutte le differenze fra questi autori) Friedrich Nietzsche, Iulius Evola, Gianantonio Valli. Spesso mi è stato obiettato che una parte almeno, ma una parte non piccola del nostro Umwelt proviene dal mondo cattolico, dal cattolicesimo politico, mi si fanno gli esempi di Codreanu, della Legione dell’arcangelo Michele o di Leon Degrelle e del fatto che il rexismo belga nasceva dal tronco del cattolicesimo politico e prendeva il nome dal giornale del movimento: Christus Rex.
A tutti costoro rispondo che quelli che avevano davanti a sé Codreanu e Degrelle erano un altro cristianesimo e un’altra Chiesa cattolica. Per capirci in estrema sintesi, il beato Marco da Aviano (ma con l’aria che tira, dubito che lo faranno mai santo) alla cui opera diplomatica si dovette la coalizione cristiana (europea) che sconfisse gli Ottomani a Lepanto, è vissuto nel XVI secolo, mentre i preti che non vedono l’ora di trasformare le loro chiese in moschee sono oggi.
Il protestantesimo, del resto, ha preceduto da secoli il cattolicesimo in questa trasformazione, e Silvano Lorenzoni fa notare a proposito del calvinismo che, con innumerevoli sfaccettature e conventicole, è la religione dominante negli USA, che “Un calvinista è un ebreo in tutto fuorché nel nome”, ma noi vediamo che oggi la Chiesa cattolica fa di tutto per mettersi rapidamente al passo, con i papi che vanno in sinagoga a rendere omaggio ai “fratelli maggiori”.
Detto in termini estremamente chiari, se l’Europa vuole avere una possibilità di salvezza, deve scindere il proprio destino da quello della “cultura” giudeo-cristiana-americana-USAsionista, e del pari liberarsi delle istituzioni fasulle ispirate a questa “cultura”, a cominciare dalla UE, la sedicente Unione Europea che – mi scuso se non uso qui questa espressione per la prima volta – è “l’Europa” tanto quanto un tumore è l’uomo che ne è affetto, e le cui politiche si possono riassumere in tre punti: privatizzazioni, divieto agli stati membri di interventi pubblici a sostegno delle proprie economie, divieto agli stati membri di imporre limiti e controlli ai flussi migratori, cioè in sostanza impedire quella ripresa economica che permetterebbe agli stati membri (o parassitati) di rilanciare l’occupazione e risalire la china del declino demografico imposto alla popolazione nativa, e impedire barriere difensive contro la sostituzione etnica.
Il campo dei santi di Jean Raspail, a differenza delle altre opere menzionate, è un romanzo, un romanzo fantastico che per il suo contenuto si può senz’altro definire profetico, considerato che è stato scritto nel 1972.
Questo romanzo io ho avuto l’occasione di conoscerlo in occasione della presentazione a Trieste della sua recente edizione da parte delle Edizioni di AR, presentazione fatta da Silvia Valerio e che io sono stato pregato di introdurre, perché diciamo che qui a Trieste nei nostri ambienti ci si è ormai abituati ad aspettarsi da Fabio Calabrese miracoli come quello di presentare al pubblico un libro che non ha letto, ora è vero che fare subito le cose impossibili non presenta difficoltà, ma improvvisare un miracolo risulta più problematico.
Ora, diciamolo pure, considerando le tendenze emerse a partire dalla metà del XX secolo, ossia il declino demografico del mondo occidentale, “bianco” e l’esuberanza da questo punto di vista del cosiddetto Terzo Mondo, il fatto che si arrivasse all’attuale invasione non era lontano dall’essere prevedibile. Ciò che da questo punto di vista appare invece una profezia più arrischiata e senz’altro azzeccata, è l’atteggiamento rinunciatario al riguardo della Chiesa cattolica, con il papa che a un certo punto decide di regalare ai mussulmani tutte le chiese perché le trasformino in moschee. Diciamo pure che oggi con papa Bergoglio non siamo molto lontani da ciò.
“L’uomo libero” è una pubblicazione che nei nostri ambienti ha accumulato parecchi meriti, a cominciare da quello di aver offerto una tribuna a intellettuali coraggiosi e controcorrente come Gianantonio Valli e Sergio Gozzoli, e di Gozzoli ricordiamo soprattutto lo splendido saggio L’incolmabile fossato che chiarisce bene la differenza radicale che esiste fra la civiltà europea e la “cultura” americana, un testo fondamentale da sbattere in faccia a tutti gli atlantisti filo-USA, dagli eredi di Oriana Fallaci ai seguaci di Silvio Berlusconi.
In tempi relativamente recenti, Mario Consoli, “storico” direttore della pubblicazione, ha passato la mano per motivi di età a Fabrizio Fiorini. Il cambio al comando ha portato ad alcuni cambiamenti nella linea della rivista, e fra questi l’introduzione di numeri monografici, fra questi il n. 79, giugno 2015, Europa e islam, il n. 81, ottobre 2016, Lo zaino di Gian e il n. 82, dicembre 2016, Civiltà europea e anomalia giudaica. L’8 aprile dell’anno scorso ho avuto il piacere di introdurre qui da noi a Trieste la conferenza di Fabrizio Fiorini che ha presentato il nuovo corso della rivista.
Lo zaino di Gian è una monografia opera di più autori dedicata allo scomparso Gianantonio Valli, che è stato uno dei collaboratori più prestigiosi della rivista. Ne ho già parlato in due articoli presenti sulle nostre pagine, Il passaggio del testimone e Gian, Sergio e il captano. Ora perciò sarà il caso di dire qualcosa delle altre due monografie, Europa e islam, e Civiltà europea e anomalia giudaica, entrambe opera di Piero Sella.
Europa e islam: anche qui, detto con grande chiarezza le possibilità di convivenza di queste due realtà fondamentalmente estranee dipendono dalla volontà, oggi fortemente illanguidita, dell’Europa di non farsi sopraffare dal traboccante mondo islamico. Non dobbiamo mai dimenticare, infatti, che l’islam da quando esiste ha sempre praticato l’evangelizzazione con la spada in pugno (oggi con armi molto più letali della spada). Anche le crociate, oggi maledette dai sinistri e da quanti vorrebbero che di fronte all’espansionismo islamico ci comportassimo come un gregge di pecore, compreso un certo signore – il peggio che “lo spirito santo” poteva scegliere – che sarebbe il capo della Chiesa cattolica, non furono in realtà che una momentanea controffensiva posta fra due grandi offensive islamiche contro l’Europa, quella arabo-califfale e quella ottomana. Oggi dobbiamo fare i conti con l’immigrazione, con l’insediarsi di cellule islamiche nel tessuto stesso dell’Europa, una situazione la cui pericolosità è di gran lunga sottovalutata.
Questo discorso si salda molto bene a quello che troviamo nell’altro fascicolo di Sella, Civiltà europea e anomalia giudaica. Che l’elemento ebraico rappresenti nell’ambito dell’Europa un’anomalia inassimilabile, che fin dai tempi di Roma si è posta sistematicamente in conflitto con tutto ciò che è europeo, e la ragione è in ultima analisi la stessa della contrapposizione fra Europa e Islam: anche l’ebraismo, l’ebraismo prima dell’islam, è un’emanazione di quel contesto mediorientale-semitico-desertico etnicamente ostile all’Europa, al suo modo di essere, ai suoi valori.
Un testo che mi sono ripromesso di leggere e recensire più volte, è Una scomoda eredità di Nicholas Wade. Si tratta di un libro pubblicato da “Le scienze” nel 2014. Qual’è il problema al riguardo? Molto semplicemente, di questo testo io possiedo il PDF, e una lettura a schermo di 1.014 pagine è certamente faticosa e richiede una notevole quantità di tempo che io nell’arco di quattro anni non sono ancora riuscito a trovare. In un primo momento ero incerto se parlarvene qui ora. L’eredità “scomoda” di cui si parla è l’eredità biologica, e il libro reca come sottotitolo La storia umana tra razze e genetica. Verrebbe da dire, poiché si tratta della storia della nostra specie raccontata dal punto di vista di un biologo, che semmai l’argomento trattato si riconnette alla questione delle origini, non a quella dalla decadenza, siamo precisamente nella direzione opposta.
Un’ulteriore riflessione, però, ci porta alla conclusione che il tema della decadenza c’entra eccome! Il non voler riconoscere, il pretendere addirittura di negare l’importanza dell’eredità biologica che portiamo in noi stessi, infatti, è precisamente una delle cause della decadenza della nostra civiltà.
Riguardo alla questione delle origini, la posizione di Wade è quanto di più “scientificamente ortodosso” e “politicamente corretto” possiamo immaginare, Out of Africa senza discussione, ma come leggiamo nell’introduzione, il libro è stato oggetto nella sua prima edizione americana, di duri attacchi da sinistra per il suo determinismo biologico, e per non aver escluso del tutto che il concetto di razze umane possa avere una qualche validità.
E’ tipico della mentalità di sinistra vedere nell’essere umano esclusivamente il prodotto di meccanismi ambientali, sociali, educativi, escludendo che la “scomoda” eredità biologica possa avere un qualche ruolo. Questo non porta solo a un’intrinseca fragilità nel momento in cui ci si confronta con culture “altre” che invece dei legami di sangue hanno una consapevolezza fortissima, ma porta all’utopia peggiore di tutte: poiché si costruisce meglio partendo da zero che rabberciando il vecchio, ecco l’idea folle che gli allogeni, cui si attribuisce una “verginità” culturale che in realtà sono ben lontani dall’avere, si pensa che adeguatamente indottrinati e addestrati potrebbero diventare “nuovi italiani” e “nuovi europei” migliori di quelli vecchi, più adatti a costruire quella società egualitaria di cui la sinistra di ogni sfumatura delira da sempre. Da qui nasce la peggior forma di razzismo del nostro tempo, il razzismo della sinistra che penalizza e discrimina gli italiani e gli europei nativi a favore degli allogeni.
Tuttavia, la matrice di quest’aberrazione è tutt’altro che misteriosa: la contrapposizione natura-cultura con la svalutazione della prima a favore della seconda, non è altro che un ricalco della contrapposizione cristiana corpo-spirito con la svalutazione del primo, e la semplice verità è che il marxismo in ultima analisi non è altro che una sorta di cristianesimo laicizzato. Alla fine, tutto si tiene.
Naturalmente, la rapida sintesi del contenuto di questi testi e delle questioni da essi sollevate che ho tracciato in questi due articoli, non sostituisce una loro lettura approfondita e la recensione che non mancherà sulle pagine di “Ereticamente” se e quando sarà possibile.
NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra Quell’antica festa crudele, il libro più noto di Franco Cardini. A prescindere da tutti gli altri aspetti del pensiero di questo autore cattolico, non si può non sottoscrivere la sua affermazione (“Iter” n.15, 2002) che l’Europa non può rimanere succube della “cultura” Occidentale-Americana. Al centro, Il campo dei santi di Jean Raspail, a sinistra Lo zaino di Gian, fascicolo de “L’uomo libero” che evidenzia il nuovo corso di questa pubblicazione basato su numeri monografici.
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