9 Ottobre 2024
Cultura

I volti della decadenza, sesta parte – Fabio Calabrese

Prima di addentrarmi in un’analisi del materiale composto da articoli di varia natura e provenienza che ho collezionato in questi anni, sarebbe bene premettere un approfondimento riguardante il libro Sottomissione di Michel Houellebecq. Il concetto di sottomissione riguarda particolarmente l’islam, verso il quale la nostra civiltà europea si dimostra sempre meno capace di opporre resistenza.

Ho spiegato più volte riguardo all’aggressione che oggi subiamo da parte del mondo islamico, l’idea sostenuta e strombazzata in tutti i modi possibili dal buonismo sinistrorso e cattolico, secondo la quale non ci sarebbe alcun rapporto di sorta fra immigrazione e terrorismo, dimostra un totale scollamento rispetto alla realtà. Il terrorismo, al contrario, è una diretta conseguenza dell’immigrazione, è un modo, per questi nuovi venuti in Europa, di marcare il territorio, di dirci: “Guardate che questa non è più la vostra terra, ora è terra nostra”.

Avendo ben chiaro ciò, il termine “sottomissione” può essere inteso in due accezioni diverse. Prima di tutto “sottomissione” è alla lettera il significato di “islam”.

Vediamo qui un atteggiamento nei confronti del sacro che è l’esatto opposto di quello indoeuropeo. L’uomo indoeuropeo “pagano” pregava/prega in piedi con le braccia protese. Non si umilia, sa di essere piccolo e debole nei confronti delle divinità, ma non si umilia, non rinuncia al senso della propria dignità, sa di essere un uomo di valore.

L’inginocchiamento cristiano si può considerare una sorta di compromesso fra l’atteggiamento europeo e quello semitico ben esplicitato nell’islam dove ci si prosterna con la fronte a terra, implicita ammissione della scarsa qualità umana che caratterizza quelle genti. Sulla Religiosità indoeuropea continua in ogni caso a fare testo lo splendido saggio di Hanns F. K. Gunther che ha appunto questo titolo.

La seconda accezione riguarda invece “gli infedeli” che vanno sottomessi alla religione del Profeta.

A questo riguardo, occorre essere espliciti e sfatare diffusi luoghi comuni. La tolleranza religiosa che spesso si attribuisce all’islam, non è che una delle tante favole buoniste che hanno sfortunatamente ampia circolazione in una cultura diventata imbelle e che preferisce morire piuttosto che fare lo sforzo di difendersi.

Per i pagani e i politeisti, l’islam non prevede altra scelta che la conversione o la morte. Queste non sono storie del passato, perché vediamo oggi nei confronti dei Kalash dell’Afghanistan e degli induisti, che l’atteggiamento islamico è rimasto esattamente lo stesso, d’altra parte quella islamica è una “cultura” incapace di qualsivoglia evoluzione.

Bisogna tuttavia riconoscere che il cristianesimo nei suoi “tempi d’oro” non era migliore, ecco cosa scriveva “san” Bernardo di Chiaravalle nella sua opera Elogio della nuova cavalleria:
“In occasione della morte di un pagano, il cristiano si gloria in quanto Cristo viene glorificato”.

Occorre riconoscere che il cristianesimo ha iniettato nella cultura europea uno spirito di intolleranza semitica che fino al suo avvento era ad essa del tutto estraneo, ma mentre il veleno semita del cristianesimo ha trovato dei contrappesi nello spirito europeo, riguardo all’islam non c’è stato mai e non c’è tuttora nulla del genere.

Nei confronti delle altre religioni monoteiste: cristiani, ebrei, zoroastriani, l’islam ha a volte manifestato una relativa tolleranza il cui senso viene generalmente equivocato. Non meno dei pagani, ebrei, cristiani e zoroastriani vanno sottomessi e costretti a riconoscere la superiorità dell’islam, anche se (talvolta, non sempre) non sono costretti alla scelta tra la conversione e la morte. Esiste, e la trovate sulla maggior parte dei libri di testo, la leggenda buonista secondo la quale ad esempio gli Arabi del periodo califfale si limitavano a imporre agli “infedeli” una tassa, per sottrarsi al pagamento della quale la maggior parte delle popolazioni mediorientali ha finito per convertirsi all’islam. Questo è un modo di presentare le cose buonista e sostanzialmente falso.

Il monoteista sottomesso all’islam (ebreo, cristiano, zoroastriano) è chiamato dhimmi. Il dhimmi è considerato dagli islamici un mussulmano incompleto, quindi un uomo incompleto. La famosa tassa non era che una delle molte umiliazioni e discriminazioni cui nel mondo islamico i dhimmi erano/sono soggetti. A loro era ad esempio proibito cavalcare (limitazione non trascurabile in un’epoca in cui i trasporti erano solo a trazione animale), di possedere case di altezza più elevata di quelle dei mussulmani, erano esclusi dalla vita politica che nel mondo islamico non si distingue da quella religiosa. Nell’impero ottomano era in vigore (fino al 1918!) l’imposizione più crudele: alle famiglie cristiane potevano essere strappati i figli maschi, per essere poi allevati nell’islam più fanatico e quindi forzatamente arruolati nel corpo dei giannizzeri.

Bisogna avere ben chiaro questo: L’EUROPA NON PUO’ OSPITARE AL PROPRIO INTERNO SEMPRE PIU’ CONSISTENTI COMUNITA’ ISLAMICHE SENZA SUBIRE UN COLPO MORTALE ALLA PROPRIA CIVILTA’. Tutti coloro che si riempiono la bocca della parola “integrazione” sono in realtà predicatori di morte. Agli occhi degli islamici saremo sempre infedeli da ridurre alla condizione di dhimmi, sottouomini.

Concetti non molto diversi da quelli qui esposti, li ha espressi anche Maurizio Blondet in un articolo sul suo sito “Blondet & friends” dal titolo molto significativo: L’Europa diventa Dhimmiland.

Riguardo a Maurizio Blondet e allo stesso modo Franco Cardini che ho menzionato negli articoli precedenti, vale lo stesso discorso: si tratta di due intellettuali più che rispettabili, le cui analisi, tra l’altro, tornano utili in più di un’occasione, ma appartengono all’area del tradizionalismo cattolico, e per quanto stimabili sul piano personale, bisogna riconoscere che non sono le attuali gerarchie cattoliche a essere in contraddizione con un vangelo egualitario e cosmopolita, sono loro in contraddizione con esso, loro e tutta l’area del tradizionalismo cattolico.

Come si può ben vedere, due altri intellettuali dei quali mi sono finora occupato sono Michel Onfray con il libro Decadenza e ovviamente Michel Houellebecq con Sottomissione. Questi due intellettuali rappresentano ancora due voci relativamente isolate, ma è evidente che in Francia, non solo negli strati popolari, ma anche in quelli della borghesia colta, si comincia a manifestare un chiaro senso di malessere per la crescente presenza islamica. Oggi in Europa vi sono due nazioni con una presenza particolarmente forte di islamici immigrati, la Francia e la Gran Bretagna. Riguardo a quest’ultima sappiamo che recentemente Londra ha eletto Sadiq Khan, il suo primo sindaco mussulmano, e sappiamo anche che entrambe le nazioni hanno subito negli ultimi anni una sequela impressionante di attentati terroristici di matrice islamica.

Certo, in Gran Bretagna c’è il movimento di Nigel Farage, come in Francia c’è il Front Nationale, ma almeno a livello di intellettuali non sembra levarsi alcuna voce contro la de-europeizzazione.

Probabilmente un grosso limite per i Britannici è costituito dalla presenza del Commonwealth, questo ridicolo fantasma e surrogato del loro scomparso impero coloniale che li induce a percepire coloro che provengono dal loro ex impero, rovesciando di fatto gli antichi rapporti di sudditanza – contro ogni logica – come “non stranieri” o meno stranieri rispetto agli Europei.

Fino a che punto la Gran Bretagna è o si considera Europa? Registro il fatto che secondo Silvano Lorenzoni essa non dovrebbe affatto essere considerata tale. Col tempo l’antico rapporto di sudditanza con l’ex colonia americana si sarebbe di fatto invertito e oggi essa sarebbe piuttosto un frammento di Stati Uniti piazzato di fronte alle coste dell’Europa. Per questa realtà globale britanno-americana, Lorenzoni ha proposto il nome di Puritania.

Questo discorso torna molto utile nel momento in cui cerchiamo di rispondere a un’altra domanda: cosa sono davvero gli Stati Uniti d’America?

Che culturalmente gli USA rappresentino una realtà estranea e opposta all’Europa, su questo non si potrebbero avanzare dubbi solo che si abbia in mente lo splendido saggio di Sergio Gozzoli L’incolmabile fossato che ho citato in più di un’occasione sulle pagine di “Ereticamente”, ma si potrebbe obiettare che etnicamente il 60% all’incirca degli attuali abitanti degli Stati Uniti discendono da europei che vi sono giunti in varie ondate come coloni o come immigrati. E tuttavia, anche da questo punto di vista le cose non sono precisamente come sembrano.

Ce lo spiega un bell’articolo di Eugenio Benetazzo del 2010, Gheto capio? (in veneto, Hai capito?).

Eugenio Benetazzo è un imprenditore veneto che ebbe modo di visitare gli Stati Uniti nel 2010 per motivi di lavoro, incontrando imprenditori, brokers, uomini d’affari, e quindi potendoli vedere secondo un’ottica molto diversa da quella di un turista convenzionale. I dati che fornisce si riferiscono a otto anni fa, ma dato il tasso differenziale di crescita delle popolazioni, nettamente a favore delle etnie “colorate” e a sfavore delle popolazioni di origine europea, non vi è dubbio che la situazione non possa essersi modificata se non in peggio.

Ora, bisogna tenere presente che per quanto riguarda i dati statistici sulla popolazione, Benetazzo ha potuto fare riferimento a un censimento di dieci anni prima, quindi del 2000, e nel frattempo da allora sono passati diciotto anni, quasi una generazione, e i bambini nati allora hanno fatto in tempo a diventare maggiorenni. Oggi siamo vicini al sorpasso destinato a trasformare gli statunitensi di origine europea in una minoranza, se esso non è già avvenuto.

Il dato importante, però, non è tanto questo, quanto il fatto che la distribuzione etnica sul territorio degli States è tutt’altro che uniforme. Un terzo circa della componente di origine europea e praticamente solo di essa, vive in aree rurali che presentano un’assoluta marginalità del punto di vista economico e politico.

“Se invece andate a visitare i paesini rurali in cui vive il restante 1/3 degli americani scoprirete con grande sorpresa che la popolazione è costituita al 98% da bianchi caucasici (ad esempio Springfield in Nebraska rappresenta una insignificante nucleo cittadino con appena 1500 abitanti, il 99% dei quali sono bianchi caucasici). Sono i nuclei di insediamento nelle aree rurali che alzano abbondantemente la percentuale dei bianchi per tutta la popolazione, tuttavia queste piccolissime comunità vivono di una economia stanziale caratterizzata da relazioni commerciali quasi rarefatte: difficilmente vi troverete la sede di una grande corporation o il jet market di una famosa catena alimentare”.

Se si vanno a considerare i dati delle grandi città, c’è da rimanere sbalorditi: l’entità della popolazione caucasica non supera mai il 50%, ed è del 35% a New York, del 30% a Chicago e a Dallas, del 28% a Houston, del 20% a Los Angeles, del 15% a Miami, per scendere a un misero 12% a Detroit, e questi – lo ripeto – sono dati del 2000, nel frattempo la situazione è certamente peggiorata.

La popolazione nera è il 30% a Chicago, il 35% a Dallas, il 55% ad Atlanta per toccare una sbalorditiva punta dell’81% a Detroit. Va poi considerata la presenza sempre più rilevante della componente degli immigrati “ispanici”. Sul reale significato di questo termine, è bene non equivocare: “ispanici” perché provenienti perlopiù dal Messico o dall’area mesoamericana dove la colonizzazione ha imposto la lingua spagnola, ma si tratta perlopiù di meticci o indios che di iberico non hanno nulla o, quando provengono ad esempio dall’area caraibica, sono prevalentemente neri.

E non è ancora tutto, infatti Benetazzo ci avverte che i censimenti

“Non contemplano i flussi di immigrati clandestini che entrano in America soprattutto dal Messico, una stima piuttosto ottimistica parla infatti di almeno 15 milioni di clandestini. Solo nella città di Houston si stimano 500.000 presenze. Sono proprio le grandi città metropolitane infatti che diventano le porte di ingresso preferite per l’immigrazione clandestina e per le migrazioni dei nuclei familiari. Ma il dato più significativo che conferma il profondo cambiamento del tessuto sociale statunitense è riferito ai diversi trend di crescita di ogni etnia, con in testa al momento la popolazione ispanica, la quale rappresenterà il 40% della popolazione statunitense entro il 2030”.

Il motivo di tutto ciò non è affatto un mistero.

“Chi non lo avesse ancora compreso i cosidetti processi di integrazione tanto propagandati in passato come fenomenali processi di crescita culturali per tutti i paesi che li vogliano abbracciare, conditi da buonismo ed accoglienza sfacciata, altro non hanno fatto se non istituzionalizzare lo schiavismo moderno asservito al capitale e sfruttare senza limiti tutte quelle popolazioni che avrebbero dovuto essere oggetto di integrazione, spingendo proprio queste persone ad accettare lavori pericolosi, insalubri o fisicamente usuranti per una paga notevolmente inferiore a quella che sarebbe invece spettata ad un lavoratore autoctono”.

Questi dati fanno indubbiamente riflettere sul fatto che il giudizio espresso da Silvano Lorenzoni circa gli Stati Uniti che sarebbero “una potenza negroide a guida ebraica”, è certamente drastico, ma ben lontano dall’essere infondato.

Gli stessi fenomeni di sfruttamento capitalistico, nuovo schiavismo, che sono alla base della progressiva sparizione della componente caucasica della popolazione americana sono stati creati anche da noi, imponendo all’Europa l’immigrazione allogena incontrollata, è ciò che conosciamo come piano Kalergi. Al riguardo, Benetazzo ha il pregio di parlarci con una chiarezza senza illusioni:

“E questa strada è stata perpetrata ai danni di altri lavoratori (italiani, tedeschi, francesi, inglesi, americani e cosi via) che hanno visto in pochissimi anni modificarsi verso il basso i loro livelli minimi salariali. L’unico beneficio che ha portato la menzogna dell’integrazione razziale è stato il vile aumento dei profitti delle grandi corporations che hanno beneficiato così di manodopera a costo inferiore senza tante seccature sindacali o rispetto per la dignità umana altrui. Chi invece si scalda tanto per consentire ed osannare le fenomenali opportunità dell’integrazione, perché così pensa di poter aiutare queste popolazioni dai mezzi limitati, non fa altro che condannarle ad una nuova era di schiavismo moderno, andando nel contempo a compromettere il tenore reddituale dei lavoratori autoctoni. Fate quindi attenzione, ed iniziate a considerare le conseguenze (…) di queste politiche di integrazione infelice, in quanto il modello americano è stato esportato in tutto il mondo, Europa compresa”.

Come si vede bene, a questo punto il cerchio si chiude. L’opposizione all’islam che ho espresso in apertura, infatti ha principalmente motivazioni etniche, è l’opposizione alla trasformazione dell’Europa in un pezzo di Africa/Medio Oriente, con la progressiva sparizione dell’etnia caucasica, cioè della nostra etnia.

Non abbiamo nessuna alternativa al rimanere sulle barricate per la difesa a oltranza della nostra identità e del futuro dei nostri figli.

Fabio Calabrese

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