Questa serie di articoli ha un’origine abbastanza anomala. Come vi ho raccontato, essa nasce dal fatto, e dal moto di ribellione che ciò mi ha provocato, che il mio pensionamento inizialmente previsto per questo settembre, è invece slittato di un anno. Questo mi ha costretto a rimandare ad allora l’esame di una serie di testi che avevo in animo di leggere e recensire per “Ereticamente”, tuttavia, posto che questo lavoro sarà fatto a tempo debito, poiché mi sono reso conto che ciascuno di essi tratta, sotto varie angolazioni prospettiche, il tema della decadenza della nostra civiltà, ho pensato di presentarvene già adesso una rapida sintesi dopo avervi dato – uso un’espressione cara a un mio ex preside – “un’occhiata approfondita”.
Ai primi due articoli che vi ho già presentato sulle pagine di “Ereticamente” ne dovevano – ne dovranno seguire altri tre, e per non tenervi troppo in aspettativa, vi dirò che il terzo, che ora diventa il quarto, è un ulteriore approfondimento del voluminoso Decadenza di Michel Onfray, mentre il quarto e il quinto che ora scivolano nella quinta e sesta posizione trattano rispettivamente del marxismo e della contestazione sessantottesca come causa della decadenza europea, e dell’aggressione islamica contro l’Europa.
Il motivo per cui ho deciso di interrompere questa progressione inserendo un nuovo “pezzo” in medias res non è tanto difficile da capire. Vi devo confessare che avevo atteso con una certa apprensione la pubblicazione su “Ereticamente” della seconda parte, perché sapevo di andare a toccare un tasto “scomodo” quanto essenziale di tutto il nostro discorso, l’argomento religioso. Davvero la “nostra” civiltà, la civiltà europea coincide con il giudeo-cristianesimo?
In passato, su questo tema ho avuto con alcuni lettori fra cui, ad esempio, una figura di un certo rilievo dell’Area come Nicola Cospito, uno scontro duro che ora temevo si ripetesse. Invece, registro solo un messaggio dal tono educato di un lettore che si firma Gianfranco, che mi è parsa piuttosto una richiesta di chiarimenti che una contestazione, e a cui, per quello che posso, darò volentieri una risposta.
Gianfranco osserva :
“I Vangeli sono delle opere restie ad essere adottate quale fondamento di un’identità culturale nazionale o continentale”, e più sotto aggiunge: “ Già Dante, nel ‘De Monarchia’, mostra qualche difficoltà nel conciliare il detto evangelico ‘Il mio Regno non è di questo mondo’ con la sua argomentazione politicamente filo-imperiale”.
Osservazioni giustissime, e si vede bene che esiste una contraddizione fra il cosmopolitismo predicato nei vangeli e il voler assumere il cristianesimo a fondamento di un’identità etnico-culturale, in particolare quella europeo-occidentale, una contraddizione nella quale il cristianesimo si trova stretto per aver sostituito le tradizioni europee native, in particolare quella romana che era, come sappiamo, essenzialmente una religiosità civica.
Aggiunge poi: “Ammetterà comunque che non tutti i credenti della storia sono stati fanatici o abbiano avuto ‘cattiva volontà” . Questo è ovvio, quando una religione implica aree del mondo popolate da milioni di uomini lungo un arco di secoli, è ovvio che all’interno della popolazione dei credenti si trova tutta la gamma degli atteggiamenti e dei comportamenti umani. Certamente nemmeno gli islamici sono tutti pazzi fanatici, anzi costoro sono verosimilmente un’esigua minoranza, che oggi però riesce a dare il leitmotiv a tutta la comunità dei seguaci del Profeta.
Gianfranco mi pone poi una questione prettamente teologica, alla quale vorrei rispondere senza ombra di spirito polemico.
“la sua espressione: “l’idea dell’immortalità dell’anima (estranea all’ebraismo e al cristianesimo delle origini, e ripresa da Platone)” (…) rispecchia una modalità di pensiero di cui ho trovato tracce in diversi autori (come Sergio Quinzio)”.
Questo immagino sia per un credente un punto molto delicato. Gli antichi ebrei non credevano all’esistenza di un’anima intesa come sostanza immateriale e immortale, credevano alla resurrezione dei giusti che Dio avrebbe operato dopo la distruzione del mondo e il giudizio finale. E’ verosimile che i primi cristiani condividessero la stessa convinzione. E’ vero che, come fa notare Gianfranco, nei vangeli si parla spesso di vita eterna, ma non è chiaro se ciò si debba riferire alla sopravvivenza dell’anima o a una vita ricreata magari in una “nuova carne” dopo il giudizio universale. Quest’ultimo, d’altra parte, se c’è un’anima che va incontro al destino ultraterreno subito dopo la morte, diventa un doppione inutile.
Ricordo una discussione con dei testimoni di Geova, secondo loro, la bibbia nega la sopravvivenza dell’anima. Mi citarono un passo, credo, dell’Ecclesiaste: “I vivi sono coscienti che morranno, ma i morti non sono coscienti di nulla”. A me non piace per nulla la mentalità di quelle persone, ma non si può negare che conoscano la bibbia meglio dei cattolici.
La Chiesa cattolica nella sua elaborazione dottrinale ha preso da Platone tutto quello che poteva prendere. Si pensi alle quattro virtù cardinali: saggezza, fortezza, giustizia, temperanza: sono le virtù che deve avere lo stato platonico; la saggezza i filosofi, la forza i guerrieri, la temperanza (nel senso di frugalità) i lavoratori, la giustizia (nel senso di riconoscere a ciascuno il ruolo corrispondente alle sue qualità) tutte e tre le classi, d’altra parte la teoria delle tre funzioni: orantes, bellatores, laboratores, è un palese ricalco platonico.
E’ probabilmente meglio evitare di superare certi limiti quando si discute con i cattolici, e questo non solo perché nella nostra Area già marginale e divisa c’è una non esigua componente cattolica.
Qualcuno ha detto che le società tradizionali sono quelle nelle quali non ci sono tradizionalisti. In questo apparente paradosso c’è una profonda verità: le società tradizionali sono appunto quelle dove ciò che noi chiamiamo tradizione non è il frutto di una scelta deliberata con l’intenzione di riconnettersi agli avi e al loro modo di vita, ma è semplicemente la consuetudine.
L’esempio migliore in questo senso mi pare rappresentato all’antico Giappone. I giapponesi antichi non sapevano di essere scintoisti: veneravano le loro divinità, gli antenati, la sacralità della figura imperiale, ed era tutto. La stessa parola, Shinto, ossia tradizione, non è entrata nell’uso se non quando esso si è trovato a competere con un’altra religione, quando il buddismo è arrivato nelle isole nipponiche.
Con qualche eccezione come gli ex evoliani convertiti o riconvertiti, i tradizionalisti cattolici sono forse da noi i superstiti uomini “della consuetudine”, coloro che non hanno mai messo in discussione o riveduto criticamente l’imprinting ricevuto in famiglia nell’infanzia. Si vorrebbe rispettare la loro naiveté se non fosse per il fatto che essa, poiché la tradizione nativa europea è stata sostituita da qualcos’altro due millenni or sono, e questo qualcos’altro è gestito da un’autorità dogmatica, è una posizione intrinsecamente fragile. Lo si è visto molto bene con il flop della fraternità di san Pio X che si proponeva di riportare la Chiesa cattolica ai tempi del concilio di Trento, ma una volta scomparso il suo leader, monsignor Lefevbre, si è subito sottomessa alle ingiunzioni del Vaticano. Oggi queste persone sono costrette a una scomoda scelta fra le loro idee: la difesa della civiltà europea, dei suoi popoli, della sua cultura, e la loro fede che implica l’obbedienza a una Chiesa ormai apertamente schierata dalla parte dell’immigrazione, della sostituzione etnica, del mondialismo. “In mezzo” non è più possibile stare.
Certamente saprete che fra gli intellettuali della nostra Area, Silvano Lorenzoni è uno dei più attenti alle tematiche scientifiche, soprattutto nel campo della fisica, dove fanno testo libri come Kantianità e ghiaccio cosmico o Kant, Brouwer, Lorenzoni. Così, mi è sembrato abbastanza naturale sottoporgli i sette articoli che compongono la serie Scienza e democrazia.
Avevo pensato di raccogliere le sue osservazioni in un ottavo articolo della serie, ma non c’è materiale sufficiente. Ora, non è soltanto in fatto che in tempo di guerra non si butta via niente, e noi siamo in tempo di guerra, guerra ideologica, ma obiettivamente, lo scadere della ricerca scientifica sotto l’influsso dell’ideologia democratica a pura ciarlataneria, è senza dubbio uno degli aspetti, e non il minore, della decadenza della nostra civiltà, e allora, perché non riprendere l’argomento in questa sede?
Io adesso non vi riporterò qui il fitto elenco di osservazioni e note che il nostro Silvano Lorenzoni mi ha fatto avere, ma ve ne darò il succo. In generale, ho visto una concordanza con i punti di vista da me espressi, con in più l’osservazione che tutte le mistificazioni “democratiche”, dal marxismo alla psicanalisi, alla teoria della relatività, si possono far risalire alla mentalità giudaico-cristiana.
Entrando nel dettaglio, in diversi suoi scritti, Lorenzoni si è occupato di Albert Einstein, questo presunto messia della fisica contemporanea, che era in realtà un ciarlatano e un plagiario, esattamente come il suo correligionario Sigmund Freud.
Parlando di psicologia, ho potuto constatare con piacere che, mentre gli era ben noto il carattere ciarlatanesco della psicanalisi freudiana, non gli era altrettanto chiaro il fatto che tutta quella che oggi passa per scienza psicologica, non è altro che ciarlataneria. Soprattutto le scuole di origine americana: il comportamentismo col suo tentativo di far derivare ogni aspetto del comportamento umano dai riflessi condizionati pavloviani e il cognitivismo che vuole spiegare la mente umana unicamente attraverso l’analogia con il computer, sono impegnate in un riduzionismo materialistico-meccanicistico costruito con grosse forzature metodologiche.
Lorenzoni ha anche apprezzato il fatto che io lo abbia portato a conoscenza del bell’articolo La rivincita della scienza di Sergio Gozzoli apparso su “L’uomo libero”. Ricordiamo brevemente il contenuto di questo testo. Secondo Gozzoli, la scienza subisce nelle democrazie una sorte paradossale: se ne apprezzano le ricadute tecniche, ma ci si guarda bene dal porre i suoi risultati alla base della visione del mondo, anzi, più sono confinati a una ristretta cerchia di specialisti e impossibilitati a raggiungere il grosso pubblico, meglio è.
Le cose, tuttavia, starebbero per cambiare, perché la ricerca scientifica ha oggi accumulato conoscenze sufficienti a smentire tutti i dogmi della democrazia, dalla totale costruibilità dell’essere umano a partire dagli stimoli psico-ambientali, all’inesistenza delle razze, alla pretesa che le differenze caratteriali e comportamentali fra i due sessi dipendano interamente da fattori educativi e culturali e non anche dalla biologia (per non parlare di quell’autentica aberrazione che è oggi la cosiddetta ideologia gender). Tutto nella democrazia suona falso, una menzogna da cima a fondo.
Le potenzialità di un essere umano sono interamente contenute nella sua struttura genetica, anche se sarà necessario l’apporto dell’ambiente per svilupparle. Gli esseri umani sono fondamentalmente disuguali. Questa è la verità che la democrazia deve negare a qualsiasi costo. Citando Gozzoli:
“Il cervello umano – ogni singolo cervello umano – non è una tabula rasa che l’esperienza debba riempire attraverso l’accumulo di impressioni e informazioni, ma è un «negativo impressionato in attesa di essere immerso nel liquido di sviluppo» (…) dalla genetica non dipendono soltanto l’intelligenza, le inclinazioni, i ruoli, l’aggressività e l’emotività, ma anche le scelte morali fondamentali, che non sono affatto il prodotto di un libero arbitrio, ma espressione di tendenze iscritte da sempre nel patrimonio genetico del nostro cervello”.
La rivincita della scienza, tuttavia – facevo notare – non può essere realmente tale finché le sue conoscenze rimangono confinate in nicchie ristrette e ininfluenti e la società continua a essere dominata dai dogmi imposti dal potere democratico. Combattere e riuscire a eliminare questo potere dogmatico non è un problema scientifico ma politico.
Forse non sarà fuori luogo inserire qui un accenno alla mia attività di conferenziere che per il mese di maggio 2018 non è stata particolarmente intensa, limitandosi all’introduzione di Fabrizio Fiorini, venuto a presentare anche qui a Trieste il n. 83 della rivista “L’uomo libero”, sempre nei locali della Casa del Combattente, messici a disposizione mercé il fatto che il nostro Gianfranco Drioli è presidente della locale sezione dell’ALTA (Associazione Lagunari e Truppe Anfibie).
A questo riguardo, non sarà probabilmente inutile qualche riflessione. Questo edificio costruito in epoca fascista, cosa resa ben visibile dallo stile architettonico novecento, sulle macerie del vecchio forte austriaco, di cui è stata conservata, e trasformata in sacrario dedicato al martire, la cella dove fu detenuto Guglielmo Oberdan, appare oggi sovradimensionato rispetto alle esigenze delle varie associazioni d’arma, i cui ormai canuti componenti si assottigliano sempre di più per naturale falcidie, soprattutto a partire dal momento in cui la soppressione del servizio militare di leva ha reso questa Italietta ancora più imbelle.
È una cosa che stringe il cuore, considerando che questi uomini sono portatori non solo di uno stile di vita, ma di conoscenze storiche, ad esempio il fatto che i nostri padri e nonni nelle due guerre mondiali non furono dei vigliacchi in balia degli eventi, e che le forze disgraziatamente vincitrici del secondo conflitto furono ben lungi dall’essere “il bene” come le dipinge la falsa e velenosa propaganda democratica che continua a imperversare da settant’anni.
Portare questo stile di vita e queste conoscenze alle generazioni più giovani è il compito in cui ci dovremmo impegnare con tutte le nostre forze, il compito che ci siamo imposti pur nella consapevolezza dei nostri mezzi, saldarle alla generazione più giovane, ai giovani che si vedono negato il futuro perché la democrazia bugiarda e bastarda oggi investe tutti suoi mezzi nella sostituzione etnica, potrebbe permettere di dare uno scrollone a questo sistema marcio dalle fondamenta.
Tuttavia noi sappiamo che in un’epoca di decadenza come quella che abbiamo la ventura di vivere, nessuna vittoria può essere definitiva. Ma questo non cambia le cose. Con o senza speranza, come insegnava Julius Evola, la posizione va mantenuta a qualunque costo. E poi, arrenderci non è nella nostra natura.
NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra e al centro, Kantianità e ghiaccio cosmico e Kant, Brouwer, Lorenzoni, due libri di Silvano Lorenzoni che si occupano di tematiche scientifiche e cosmologiche, a destra il n. 83 della rivista “L’uomo libero”.