11 Ottobre 2024
Democrazia

I volti della decadenza, undicesima parte – Fabio Calabrese

Vi ho già raccontato la storia pregressa di questa serie di articoli non molto fortunata, nata dall’irritazione provocata dal fatto che la previsione del mio pensionamento, inizialmente collocata al settembre 2018 ha invece dovuto attendere l’anno successivo, mentre in me cresceva una nausea sempre maggiore per quella che è oggi la scuola italiana che, gestita a partire dal 1968 da “compagni” e sinistri di vario tipo che, per non lasciare indietro nemmeno il più brocco secondo la ricetta egualitaria inventata da don Milani, tiene tutti fermi ai blocchi di partenza, ed è in pratica un grande parcheggio per futuri giovani disoccupati a cui non si insegna nulla.

In particolare, quest’anno di ritardo mi ha costretto a rinviare l’esame di una serie di testi che avevo in animo di recensire per “Ereticamente”, e dei quali mi sono accontentato invece di darvi una panoramica sintetica, una volta accortomi che tutto sommato potevano rientrare in un unico filone, quello dell’esame della decadenza della nostra civiltà, come – suppongo – qualsiasi serio studio socio-politico non inficiato in partenza dagli irrealistici dogmi progressisti.

Alla collera è subentrata la disperazione, quando un improvviso crash del computer, poco dopo aver raggiuto l’agognato pensionamento, mi ha cancellato non soltanto alcuni articoli che ho fortunosamente riscritto, ma, cosa che si è rivelata un danno peggiore, una serie di testi su file che avevo accumulato negli anni, rimendandone la lettura al pensionamento a causa della faticosità della lettura a schermo, soprattutto quando i testi superano una certa lunghezza.

Di questa “biblioteca virtuale” andata perduta, ho recentemente ritrovato alcuni frammenti “miracolosamente” salvati su una penna USB, e su di essi ho basato il nono e il decimo articolo di questa serie.

Il punto clou della nona parte, come avrete visto, è basato su di un testo breve ma molto significativo, della scomparsa antropologa Ida Magli che ha analizzato la passione delle sinistre per l’informe, l’indifferenziato, vedendo in ogni differenza un privilegio da cancellare e, a tale riguardo, abbiamo visto che questa tendenza si esprime in due direzioni: da un lato la cancellazione delle differenze etniche, con la volontà di creare ovunque società ibride, meticce, dall’altro quella della differenza sessuale attraverso l’ideologia gender, e abbiamo visto che la cosa porta a una contraddizione totale, perché le culture dalle quali provengono gli immigrati extraeuropei, specie ma non soltanto se islamici, sono perlopiù fortemente omofobe, e non possiamo credere che queste persone cambino mentalità semplicemente per essere sbarcate sul nostro suolo.

A margine si può aggiungere il fatto che queste culture, non solo quella islamica, perché ad esempio quella indiana è ancora peggio, hanno un atteggiamento molto distante dal nostro anche riguardo alla sessualità normale; altro che parità tra i sessi, la donna di solito vi conta meno del cane di casa.

Ma abbiamo visto anche che si tratta di una contraddizione alla quale “i compagni” sembrano essere del tutto ciechi (non è peraltro la loro sola cecità).

Nella decima parte abbiamo visto un aspetto fondamentale, anzi possiamo dire il vero motore della decadenza e disgregazione della civiltà europea: l’aspetto socio-economico, l’affermazione del NWO, la concentrazione della ricchezza nelle mani private dell’oligarchia finanziaria mondiale, il progressivo collasso di due secoli di conquiste sociali, con la complicità di una sinistra che ha tradito le classi lavoratrici e si trova perfettamente allineata con l’oligarchia finanziaria nella cancellazione di quelle identità nazionali e culturali da cui potrebbe venire qualche resistenza alla creazione di un unico mercato planetaria, ciò che viene perlopiù chiamato globalizzazione, ma si tratta di un termine improprio che considera solo il lato economico del fenomeno, e meglio sarebbe chiamare mondialismo.

Abbiamo anche visto che precisamente nella realizzazione di questo piano trovano origine i più spaventosi carnai della storia umana, le due guerre mondiali.

I testi che abbiamo preso in considerazione sono: Il grande inganno, un PDF di una certa ampiezza firmato Prassard (so chi è, ma lo tengo per me), che è il testo di maggiore estensione e ci ha fornito informazioni davvero preziose sull’oligarchia finanziaria e il potere occulto che si cela dietro la sceneggiata della democrazia, poi una raccolta di Citazioni impresentabili di Maurizio Blondet, e un testo proveniente proprio dalla nostra “Ereticamente” pubblicato in anni che furono, Il mito della colpevolezza tedesca di Michael Walsh, che chiarisce bene che, come ha fatto Prassard nei riguardi della prima, anche la responsabilità della seconda guerra mondiale non può essere imputata ai Tedeschi: entrambe le volte la Germania fu provocata e trascinata in un conflitto pianificato a tavolino in vista della sua distruzione.

Questo è tutto? Quasi, ma ora proveremo a raschiare un po’ il fondo della pentola.

Come ricorderete, nel novembre 2019 in occasione del trentennale della caduta del muro di Berlino, vi ho dedicato un articolo, L’ora della verità (e di nuove menzogne). Vi facevo notare che allora per un breve periodo si è potuto parlare in tutta franchezza della natura tirannica dei regimi comunisti dell’est europeo e, in genere, di qualsiasi parte del mondo dove, per disgrazia dei popoli caduti sotto le sue grinfie, si sia affermata la tirannide con la falce e martello.

Vi ho citato a memoria un testo, Cronache della storia, che voleva essere una sorta di appendice ai testi storici scolastici, da rivedere alla luce di quegli avvenimenti. Citavo una bellissima frase a proposito della repressione cinese dei moti di piazza Tien-an-men: “Hanno vissuto tutto la vita in ginocchio, ma alzandosi in piedi per morire, sono morti da uomini liberi”. Ora, dopo aver rintracciato il testo, vi posso dire gli l’autori sono Salvatore Pace, Giovanni Olivetta e Marco De Matteis, l’editore Marco Derva J, e che il libro è stato pubblicato nel 1992.

Questa precisazione ci dà l’occasione per riprendere il discorso: forse solo in quel periodo, e tranne ovviamente che negli ambienti “nostri”, si è potuto parlare del comunismo con la dovuta franchezza. Prima di esso, vi era una sorta di rimozione psicanalitica o, se vogliamo, un atteggiamento da struzzi, un nascondere la testa nella sabbia di fronte alla permanente minaccia sovietica. Dopo di esso, il discorso è stato affrettatamente chiuso, e chi cercava di tenerlo aperto, accusato di “voler sparare sull’ambulanza”.

Alle vittime del moloc comunista non è stato riconosciuto nemmeno il tributo della memoria, per non parlare ovviamente delle mostruosità comuniste sopravviventi oggi, come la Cina, dove continuano a esistere i laogai, i campi di concentramento, e tiene in schiavitù i popoli tibetano e uighur, ma che la si tratta come un governo normale, con cui si scambiano affari e strette di mano.

Il vantaggio di avere la mia età è quello di conservare memoria di eventi e situazioni di cui i più giovani non sanno nulla. Se vi dicono, come talvolta si sente affermare, che fino al 1989, fino alla caduta del muro di Berlino non era possibile rendersi conto della natura tirannica dei regimi comunisti, sappiate che ciò è falso, lo si sapeva benissimo, ma, come al solito non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.

Un concetto che ho altre volte spiegato ma sul quale sarà ora il caso di tornare, è che se la rapidità con cui ai comunisti è stato offerto un mantello per coprire le loro vergogne e la loro conversione alla democrazia liberale è stata data buona nel giro di una notte, mentre nei nostri confronti l’ostracismo perdura ormai da tre generazioni, questo sulla natura del comunismo ci dice poco, ma ci dice molto su quella della democrazia cosiddetta liberale.

Per paradossale che sia, sembra proprio che la nostra colpa sia proprio quella di aver sempre avuto ragione nei riguardi del moloc comunista.

Alla base di ciò, c’è la mentalità da film hollywoodiano che ha ormai impregnato il mondo cosiddetto occidentale. Essendo stati tra i vincitori del secondo conflitto mondiale, i sovietici ipso facto vanno collocati tra “i buoni”, l’anticomunismo “viscerale” fa sospettare “il fascista” e l’amore per la libertà ci colloca fra “i nemici della democrazia”.

Proprio la caduta dell’Unione Sovietica e la fine della guerra fredda hanno imposto di sostituire come giustificazione del predominio politico e militare americano sull’Europa, alla minaccia sovietica ormai scomparsa, la gratitudine per essere stati “liberati” da un fascismo traslocato dalla dimensione politica a quella metafisica di “male assoluto”.

Proprio a questo punto si colloca bene un altro frammento superstite della mia “biblioteca virtuale” che non vi ho citato in precedenza. Si tratta di un frammento in verità non molto ampio de Il male americano di Giorgio Locchi e Alain De Benoist:

Protestante, l’America è fondamentalmente calvinista. (…), il calvinismo si articola interamente intorno ad una morale. Afferma che la politica non è che una applicazione della morale. I puritani si propongono come compito di moralizzare la vita sociale, di cristianizzare lo Stato; malgrado gli ostacoli accumulati sul loro cammino. (Molto influenzato da Sant’Agostino, il puritanesimo è caratterizzato da una ipersensibilità al male, denunciato intorno a sé in tutte le circostanze). È moralizzando la società, sforzandosi di creare in terra la Città di Dio, che il Cristiano, rigenerato dalla Grazia, obbedisce alla volontà del Creatore”.

Si può essere afflitti da un pesante moralismo e nello stesso tempo mancare completamente di senso etico, e questo è certamente il caso degli yankee che non hanno mai avuto il minimo scrupolo nel ricorrere ai mezzi più brutali pur di imporre al mondo la loro visione “morale” che perciò finisce per svolgere una funzione affatto analoga a quella dell’ideologia marxista nel totalitarismo sovietico. A ciò si aggiunge una costituzionale incapacità a capire gli altri popoli che deriva probabilmente proprio dalla convinzione della loro superiorità “morale”.

In particolare, costoro non sembrano minimamente in grado di comprendere l’importanza dell’appartenenza etnica per i popoli europei: figli di una “cultura” ibrida fin dagli inizi, per loro “la nazionalità” è data esclusivamente dalla cittadinanza cartacea, e neppure hanno capito che con la scomparsa dei regimi comunisti dell’est europeo, quelli che un tempo erano confini amministrativi, diventando confini politici, hanno mutato profondamente di significato, e questo li ha portati più di una volta a compiere scelte nello stesso tempo criminali e inutili.

Pensiamo alla crisi della ex Jugoslavia, alle guerre scatenate per impedire ai Serbi della Bosnia di riunirsi ai loro connazionali a sud della Drina, o alla situazione russo-ucraina, dove si vuole impedire a tutti i costi ai russi del Donbass di riunirsi alla loro madrepatria. Per chi danneggia gli altri senza ricavarne alcun frutto, esiste una definizione “tecnica”, STUPIDITA’: dire che gli yankee sono stupidi è come dire che il fuoco brucia e il ghiaccio è freddo.

La morale calvinista è una morale mercantile: il successo negli affari come dimostrazione della grazia divina: non lo scopro io, non l’hanno scoperto Locchi e De Benoist, ci si può tranquillamente rifare al classico L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber. Questa circostanza rende gli USA adatti a essere la base ideale per l’oligarchia finanziaria per costruire il NWO, il Nuovo Ordine Mondiale da essa perseguito.

Torniamo alle Citazioni impresentabili di Blondet. Questa è una che non vi ho riportato nella decima parte, anche se credo di averla menzionata in passato:

Poiché ogni individuo prova il bisogno di situarsi in un ambiente ristretto, si identificherà ad una provincia, sia il Wurtemberg o la Savoia, la Bretagna, l’Alsazia-Lorena o il Paese dei Valloni. In queste condizioni la struttura che scomparirà, il lucchetto da far saltare, è la nazione, perché inadatta al mondo moderno; a volte è troppo piccola, a volte troppo grande”.

Di chi sono queste parole? Di Edmond de Rotschild, contenute in un’intervista rilasciata nel 1970 alla rivista “Enterprise”. In sostanza, è la voce stessa dell’oligarchia finanziaria, del NWO.

E’ forse un caso che da allora abbiamo assistito a un pullulare di separatismi, localismi, campanilismi di ogni genere? Questo non è avvenuto solo in Italia, pensiamo ai problemi causati alla Spagna dal separatismo catalano.

Noi oggi vediamo che le nazioni europee, le uniche entità che potrebbero opporre una qualche resistenza ai disegni del NWO, sono oggi sotto un doppio attacco: dall’alto attraverso la creazione di organismi sovranazionali, la UE in primo luogo, che è l’Europa tanto quanto un tumore è l’uomo che ne è affetto, e dal basso attraverso il pullulare dei separatismi.

Ma facciamo attenzione: i sostenitori di questi separatismi, delle “piccole patrie” non sono alieni rispetto a noi come i militanti di sinistra, parlano un linguaggio che è anche il nostro, di identità culturale e storica, di radicamento nella stirpe e nel suolo cui ciascuno appartiene, anche se commettono l’errore di non riferirlo alla nazione, ma a una parte piccola, e talvolta microscopica, di essa, di sostituire lo scoglio-nazione con della ghiaia che il montare della marea non farà nessuna fatica a travolgere.

Un linguaggio molto simile al nostro, gente che potenzialmente potrebbe essere “nostra”. Dobbiamo essere attenti, perché noi ci confrontiamo con un nemico non solo estremamente potente, ma molto furbo, perfettamente capace di rivoltare le nostre armi contro di noi. Sta a noi dimostrare, quanto meno, di non essere degli sprovveduti.

NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra Cronache della storia di Pace, Olivetta e De Matteis, al centro, un’immagine divenuta iconica della repressione di piazza Tien-an-men, il ragazzo con le borse della spesa davanti al carro armato, a destra Il male americano di Locchi e De Benoist.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *