di Mario M. Merlino
L’articolo a firma di Fabrizio Caccia sul Corriere della Sera del 22 luglio 2013, titolo Priebke compie 100 anni Proteste contro la festa, ha sollevato un gran polverone ed io, forse imprevidente, mi ci trovo dentro. Non me ne rallegro; non me ne dolgo. Di fronte a certe tematiche uomini ambienti e circostanze le parole appaiono armi spuntate, già destinate alla sconfitta, al fraintendimento, alla malafede oppure a tentativi maldestri di riparare a chissà quale torto sventatezza scellerato sentire. Di fatto è stata una banale conversazione davanti a un bicchiere d’acqua fresca e sciroppo di menta. In comune la medesima passione per Max Stirner e degli articoli durante la contestazione della mia presenza al liceo Augusto, diversi anni fa. Poi, da giornalista, ha accomodato le mie considerazioni e le ha inserite in un articolo…
Mi torna a mente l’immagine del Tempio Malatestiano di Rimini, cappella di Ixotta, ‘tempus dicendi tempus tacendi’, motto tanto caro al poeta Ezra Pound… e, vi aggiungo, come il filosofo Martin Heidegger rilevi ‘l’uomo abita nella casa del linguaggio’…
Fabrizio Caccia conclude il suo articolo con una domanda retorica: ‘Ma come si può festeggiare?’. Il riferimento, va da sé, è al prossimo 29 luglio, data in cui il capitano Erich Priebke compie un secolo di vita. C’è chi lo ritiene indegno di soffiare sulle candeline tagliare una fetta di torta mentre le vittime delle Fosse Ardeatine non ne hanno avuto più occasione da quel maledetto giorno di marzo del ’44. E tanto più è scandalosa la sola idea di stappare una bottiglia e brindare perché, ulteriore reprimenda, non ha mai espresso pentimento alcuno pubblicamente, cioè nell’aula del tribunale militare ove si svolgeva il processo.
(Altro ancora mi viene a mente: la lettura di una vecchia intervista ad un regista giapponese, forse Akiro Kurasawa, a cui gli si chiedeva come mai non provasse alcun senso del ‘pudore’ nel mostrare il corpo nudo di uomini e donne. Per noi giapponesi, fu la risposta, non vi è nulla di ‘indecente’ nel denudare il corpo mentre è impensabile, esteticamente brutto, svelare l’anima, come avviene nella cultura dell’Occidente. Mi spiegava Priebke che egli era processato sulla liceità o meno della rappresaglia, sul suo ruolo di soldato, sul rapporto esistente tra reato e giurisprudenza. Ciò, che aveva provato o meno, quanto e cosa si portava dietro nei decenni successivi, apparteneva alla sfera insondabile della coscienza e non era di competenza di un’aula di tribunale. Appunto non denudare l’anima).
Il proprio compleanno deve essere obbligatoriamente la sede ove rivisitare la propria esistenza, farne il consuntivo, elogiare se stesso o disprezzarsi? E chi ne condivide quel giorno è anch’egli partecipe del trionfo o della dannazione? Si rende egli stesso un appestato?
Per quanto mi riguarda – non si valuti ciò come espediente tardivo o prendere le distanze nella situazione specifica – ho scritto più volte e ripetuto che io non posso condividere il gesto di chi prema il grilletto alla nuca di un uomo con le mani legate dietro la schiena sia esso nelle fosse della foresta di Katin al bordo delle foibe in Istria e Venezia Giulia nelle cave di tufo della via Ardeatina… Non ho svolto il servizio di leva, non ho indossato mai una divisa, amo del fascismo le sue componenti eretiche e libertarie…
E, allora, cosa mi lega alla figura del capitano Erich Priebke, nonostante siano ormai diversi anni che non mi è concesso più fargli visita?
L’8 settembre del ’43 i nostri soldati, abbandonati dai generali in fuga e privi d’ogni direttiva, gettarono le armi e si spogliarono della divisa. Non fu un bello spettacolo, comunque si voglia interpretare quell’avvenimento.
Un soldato, lo si immagina, in primo luogo ligio al dovere, la disciplina l’ossatura portante di un esercito. Compiere il proprio dovere, eseguire gli ordini ricevuti è altro dalla propria coscienza, va da sé, anzi i due termini possono entrare in conflitto. Da un soldato, però, si richiede attenersi alle direttive impartite dai superiori, se poi ci si rifiuta per un personale nobile intimo sentire ciò non è richiesto dal regolamento, ma si entra nella sfera dell’etica…
(Dunque si propone come un paradosso aver processato il capitano Priebke in un’aula del tribunale militare di Roma e aver preteso, quale atto di difesa, il rendere partecipe la Corte dei suoi stati d’animo. In un tribunale civile, forse, pur sapendo che all’imputato è lecito dire tutto, anche il mentire…).
Così l’Italia dell’8 settembre – e sovente ci viene ricordato, rimproverati e derisi (ad esempio la proposta USA di inserire la Germania e il Giappone nel Consiglio permanente di Sicurezza dell’ONU, ma non l’Italia in quanto inaffidabile proprio per come ha gestito la resa nel 1943) – detiene l’ultimo prigioniero di guerra, a circa settant’anni dalla fine del conflitto, mentre, anche qui a mero esempio, è incapace di affrontare la detenzione in India di due marò del btg. San Marco o, in questi giorni, si affretta ad espellere la moglie di un dissidente e la sua bambina di sei anni…
Vi sarebbe altro da aggiungere, forse, ma ricordava Oriana Fallaci come, alle spalle della scrivania del capo della polizia a Saigon, vi fosse scritto: ‘Cresci placidamente nel rumore degli altri…’. E, allora…
Io non partecipo del dio della vendetta, da nichilista ho poca dimestichezza con il monoteismo, non conosco rimpianti o rancori a tutto beneficio della mia salute, ho solo dei versi per l’occasione, versi non miei:
‘Oh lasciate che un vecchio abbia quiete’.
44 Comments