“L’operaio è il nostro primo fratello: col suo aiuto salveremo la Patria” (1)
FASCISMO MERIDIONALE
Chi abbia avuto la ventura di leggere anche solo qualcuno degli articoli che vado pubblicando qui su Ereticamente, si sarà facilmente reso conto che loro scopo principale è quello di fornire, con riferimento a fatti (le barricate a Parma, l’eccidio di Sarzana, l’esperienza degli Arditi del popolo, etc) o personaggi (Dumini, Tamburini, Barbiellini Amidei, etc) una verità “altra” – ma debitamente documentata – rispetto a quella corrente.
Questo, nella convinzione che, col tempo, si siano sedimentate intorno a cose e uomini del fascismo, forzature e vere e proprie distorsioni della realtà che, talora, hanno fatto breccia pure tra quelli che all’esperienza mussoliniana vorrebbero guardare senza paraocchi ideologici.
È il caso, anche, del giudizio sul fascismo dell’Italia meridionale, che, probabilmente sotto l’influenza di ciò che “dopo” avverrà (fino, addirittura agli epigoni del postfascismo) si suole ritenere sia nato, cresciuto e riuscito vincitore su posizioni moderato-conservatrici quando non reazionarie tout court.
Così, in effetti, non è; con un accenno assolutamente sommario, non essendo questo il tema dell’articolo, va preliminarmente detto che, nel periodo 1919-22, rispetto all’esperienza delle regioni del Nord, nell’Italia meridionale (con eccezione della Puglia):
• non esiste né una categoria di “agrari” egualmente determinata a difendere il suo privilegio (2), né una controparte contadina ed operaia combattivamente organizzata in Sindacati o Partiti;
• possono essere agevolmente identificati come peggiori nemici del fascismo nascente ed appena affermato gli esponenti di quel ceto notabilare che, sotto l’ala protettrice dei Prefetti, era stato governativo per vocazione e convenienza e aveva fatto la fortuna delle varie formazioni democratico-liberali generalmente a mera dimensione locale.
Con l’approssimarsi della vittoria delle squadre, e subito dopo la marcia su Roma, avviene una loro trasmigrazione nei ranghi del nazionalismo, che così assume qui connotati antifascisti, monarchici ad oltranza, sostenitori dell’ordine precedente, appena velato da un filo di maggiore autoritarismo.
Ne nasceranno contrapposizioni violente, non di rado sfociate nel sangue, che vedranno anche, talora, frange di delinquenza assoldate in blocco tra le camicie azzurre per contrastare nell’azione di piazza gli intemperanti in camicia nera, “spezzatori di cortei” della vigilia. (3)
L’appoggio delle Autorità, che in gran parte rimangono anche dopo la Marcia le stesse del prefascismo, la “credibilità” che censo e rango danno ai “signori” nelle piccole realtà paesane, alcune “incertezze” del vertice del PNF, l’atteggiamento difensivo al quale il fascismo è costretto nel periodo quartarellista, determineranno la sconfitta degli intransigenti che pure sono stati i protagonisti della vittoria.
Facciamo qualche esempio:
• in Sicilia, “vulcanico esponente del fascismo” è Totò Giurato, scappato giovanissimo di casa per andare a Fiume, fondatore del primo fascio isolano, insieme con Totò Battaglia, considerato, come lui “bolscevico sotto la bandiera italiana” e autore, alla fine del ’21, nella sua Ragusa, di un manifesto che è facile trovare riprodotto in tutte le storie iconografiche del periodo:
“Ultimi ammonimenti alla borghesia locale
Domenica 20 corr, riunitasi l’assemblea della nostra sezione in numero imponentissimo, il legionario Totò Giurato, in seguito alle discussioni e di deliberati in merito alla direttiva della politica locale, proponeva il seguente ordine del giorno, che ad unanimità venne approvato: “L’Assemblea generale dei fasci qui riunita decide una politica di diretto avvicinamento alle masse oneste, manifestandosi per una azione aperta contro la borghesia locale che, nel momento attuale, dà prova palese di malafede ed incoscienza”
In base al suddetto ordine del giorno il nostro fascio stabilisce la definitiva direttiva da seguire” (4);
• in Calabria, dove forte è l’influenza di Michele Bianchi, già sindacalista rivoluzionario di spicco, che nel fascismo ha portato le sue idee sociali (5), così esordisce, il 20 giugno del 1920, il giornaletto stampato a Caulonia dal minuscolo e combattivo fascio locale:
“A voi, abbronzati lavoratori dei campi, infaticabili scrutatori della natura, ubriachi di sole e di fatica, a voi smunti operai delle officine, ricercatori instancabili, creatori indefessi di nuovi congegno di progresso, a voi umili minatori pallidi come la luce della lucerna che vi guida alla ricerca delle vitalità misteriose della natura sotterranea, giunga grato il saluto del nuovo sole della libertà.
Voi che soffrite invano il peso brutale dello sfruttamento, alzate con serenità la fronte; sono giunti i tempi della riscossa, sono questi i tempi della rivincita, l’animo pieno di fede nella sicura vittoria e avanti dunque per il sentiero fiorito che segnerà il cammino, il trionfo della nuova fede.
Non più despoti e tiranni, non più sfruttatori delle umane energia; oggi più che mai, compagni lavoratori, si leva alto il nome del diritto e l’uguaglianza e la libertà nelle classi sociali si impone” (6)
• in Puglia, che conoscerà gli scontri più aspri tra le squadre a cavallo fasciste e i braccianti organizzati nelle leghe rosse, la figura dominante è quel Peppino Caradonna che un preoccupato rapporto del Prefetto così descrive il 31 maggio 1919:
“Nemmeno nei dirigenti delle predette sezioni (combattenti ndr) si può avere fiducia, perché alcuni per i loro principi sovversivi poco affidano, ed altri variano le idee da un giorno all’altro, e vanno coltivando delle utopie sovversive, come quella fatta nel comizio pubblico tenuto nel teatro Mercadante, il 24 corrente dall’avvocato Giuseppe Caradonna, Capitano del Regio Esercito, il quale inneggiò all’Internazionale e dichiarò essere tempo di finirla con la vecchia Italia, quella dell’agente delle imposte, del questurino in borghese e dell’Italia che disonorava l’Esercito col farlo correre da una città all’altra e frapporlo nelle lotte fra capitale e lavoro” (7)
E che le idee siano chiare, lo testimonia la lettera dell’organizzatore sindacale fascista Luigi Granata, diretta a Starace, Vice Segretario del Partito, nell’agosto del 1922:
“I peggiori nemici di Andria sono appunto i signori cosiddetti dell’ordine. Essi ostacolano veramente il fiorire delle nostre organizzazioni; essi minano il fascio, pretendono veramente di portare l’operaio alla schiavitù. Oggi, nelle giornate di agosto, minacciano, anzi insistono col voler pagare l’operaio con lire 4,25 al giorno. L’operaio cosa può pensare?… L’operaio, fatto maestro da un’esperienza di un non lontano passato, teme dai proprietari un ritorno all’antico, ed ha perfettamente ragione” (8)
• in Molise, alla fine del ’21, la sperduta sezione di Celenza Valfortore:
“… fa voti perché al Congresso (quello nazionale, di novembre, a Roma ndr) sia costituito il Partito fascista del Lavoro, come in un primo momento propose Mussolini, e si augura che… subito dopo, in un non lontano avvenire, il Partito Fascista del Lavoro affermi definitivamente il suo indirizzo repubblicano, seguendo la dottrina del grande Maestro (Mazzini ndr) falsata da indegni seguaci”. (9)
E, al ritorno da Roma, per chi non abbia capito il concetto, la Sveglia, l’organo del fascismo molisano, ribadirà: “Siamo i ribelli di tutti i gretti ed impotenti conservatorismi, perché desideriamo che la Nazione si a ringiovanita e rigovernata”.
Qualche esempio preso qua e là, a caso, tra i primi capitati sotto mano. Veniamo ora alla Campania ed all’eroe del nostro racconto, il Capitano Aurelio Padovani
REDUCE DI DUE GUERRE, PLURIDECORATO, CON SEI FIGLI A CARICO, DI PROFESSIONE OPERAIO…
“Come nacque l’astro Padovani nel firmamento politico della Campania e di Napoli subito dopo la conclusione della prima guerra mondiale? Donde proveniva, quali origini sociali, quale formazione culturale e civile, prima che politica, aveva avuto prima del 1919 colui che fu il protagonista indiscusso della vittoria del movimento fascista nella sua città e nella sua regione…? Purtroppo la pur ricca storiografia sul periodo fascista ha sempre mancato di cimentarsi con tutti gli interrogativi che ancora suscita, dopo tanto tempo, il caso Padovani, il quale continua pertanto ad essere avvolto dal più fitto mistero” .(10)
In effetti, iniziando una piccola ricerca sul più rappresentativo dei “Capitani del Sud” (11) mi sono imbattuto in questa difficoltà: non esiste una biografia degna di questo nome. Il volume di Gerardo Picardo, edito alcuni anni fa (12) non può essere definito una biografia; esso è piuttosto un excursus sul ruolo di Padovani nel fascismo campano e sull’interpretazione che di questo ruolo hanno dato storici e studiosi negli anni successivi.
Né molto aiuta la corposa appendice documentale, nella quale la parte del leone la fanno gli atti relativi alla sua morte, secondo alcuni “misteriosa” avvenuta il 16 giugno 1926.
Seguendo, quindi, tracce sparse qui e là, cercherò, in questo paragrafo di tracciare un profilo cronologico degli avvenimenti salienti della sua umana avventura. La valutazione e il giudizio storico-politico, a seguire…
Aurelio Padovani nasce a Portici il 28 febbraio 1889; conseguito il diploma di perito industriale, spinto dal temperamento “d’azione”, oltre che –presumibilmente – dalla volontà di evitare un grigio futuro da operaio, si arruola volontario nei Bersaglieri allo scoppio della guerra di Libia, raggiungendo il grado di Sottotenente. (13)
È poi al fronte durante il conflitto mondiale, meritandosi 4 medaglie d’argento e raggiungendo il grado di Capitano; la sua iscrizione al fascismo data 4 aprile 1920.
Non è, quindi, presente a quella prima riunione semiclandestina del fascio napoletano il 1° aprile del 1919, in Galleria, nella quale, però, dispetto dello scarso numero dei convenuti, già si delineano le due anime del fascismo dell’intera regione: una nazionalista-monarchica, e l’altra rivoluzionario-combattentistica.
A determinare la vittoria della seconda, partita “in svantaggio”, sarà proprio la presenza e l’azione di Padovani.
La testimonianza di Mussolini a De Begnac autorizza a pensare che, all’epoca, Padovani stesse a Milano, probabilmente in attesa della smobilitazione:
“In via Paolo di Cannobio vennero un giorno a trovarlo alcuni Bersaglieri trasmigrati al Nord. Non facevano parte delle nostre schiere. Ci stimavano per la nostra milizia in quel Corpo. Erano dall’altra parte della barricata, non ricordiamo se legati da disciplina ideologica a Dino Roberto o a Riccardo Bauer. Ma, davanti al loro Capitano erano i ragazzi del ’97, ’98, ’99 che avevano fermato il nemico sul Piave e più di quel ricordo ora non domandavano al destino. Parlavano per rimembranze recuperate da ogni possibilità di oblio. “Perché non siete con me?” chiedeva il Capitano. Rispondevano: “Siamo sempre con voi, Capitano” . (14)
Con il rientro a Napoli, il Capitano si mette subito in luce sulla scena politica locale. Ho detto sopra che la sua iscrizione al fascio data al 4 aprile 1920, ma è certo che, almeno fino alla fine dell’anno egli si impegna soprattutto nella dirigenza dell’ dell’Associazione Nazionale Combattenti che qui più che altrove, grazie principalmente all’opera sua sarà vera levatrice del fascismo.
Chiurco lo dà presente, il 28 dicembre 1920, ad una manifestazione (probabilmente in appoggio a D’Annunzio) cui partecipa: “l’esiguo primo nucleo fascista… condotto dal Capitano Aurelio Padovani, in difesa di una bandiera nazionale che il Cap Padovani a nessun costo intendeva mollare (come non mollò) agli agenti”. (15)
È, però il 20 febbraio del 1921 che dirige la sua prima azione “squadrista”: a capo dei fascisti napoletani, con un piroscafo noleggiato per l’occasione, si reca a Torre Annunziata, dove è in corso lo sciopero dei molini: accolti da campane a stormo e scoppi di petardi da parte di una popolazione stanca delle angherie socialiste, gli uomini sfilano in città dietro uno striscione sul quale è scritto: “L’operaio è il nostro primo fratello: col suo aiuto salveremo la Patria”.
Comandante delle squadre d’azione e Segretario del fascio napoletano, organizza, il 24 aprile, il primo Convegno regionale del movimento, guadagnandosi l’appellativo di “instancabile organizzatore del fascismo napoletano”, e meritandosi la stima degli uomini quando, in prima fila, il 1° maggio guida l’assalto ad un comizio comunista in Piazza Mercato, col precipuo scopo di impedire che parli l’odiato disertore Misiano.
Cominciano, però, i dissensi nel vertice del movimento: i più tradizionalisti e gli irriducibili monarchici monarchici attaccano Padovani, sul piano istituzionale per il suo “fanatismo scontroso” che ne fa un convinto repubblicano, e sul piano pratico per essere stato l’organizzatore delle squadre che, a metà giugno, attraversano la città imponendo il ribasso forzoso dei prezzi in diverse tipologie di negozi, con un’azione che sa di “bolscevismo”.
Nessuno, però, è in grado di contrastare la popolarità del Capitano: i fascisti napoletani, riuniti in assemblea il 21 giugno emarginano i moderati e approvano un Ordine del Giorno nel quale, tra l’altro, plaudono a D’Annunzio e Mussolini e: “…solennemente riconfermano di non sentirsi legati alle sorti delle attuali istituzioni monarchiche”.
Continua, frattanto, l’opera di proselitismo e penetrazione nelle roccaforti rosse di una volta: il 10 luglio tocca a Giugliano, dove scoppiano incidenti con svariati feriti e a fine settembre tocca a Torre del Greco:
“A Napoli scoppiano violenti incidenti tollerati dal prefetto Pesce e dal questore Peruzzy, uomini nittiani. Due fascisti vengono assaliti a Torre del Greco da una sessantina di sovversivi. La Pubblica Sicurezza accorre e procede all’arresto dei due fascisti. Il Cap Padovani, con altri fascisti, viene assalito e ferito da una turba di sbirri mentre si recava a chiedere il rilascio dei fascisti arrestati ingiustamente nella mattinata” . (16)
Ma non è più tempo di zuffe di strada: è arrivato il momento di dare il colpo definitivo al vecchio sistema.
(fine prima parte – segue)
Giacinto Reale
NOTE
(1) testo del cartellone che precede il corteo fascista alla prima vera azione squadrista guidata da Padovani, a Torre Annunziata il 20 febbraio del 1921; per l’episodio, vds: Raffaele Colapietra, “Napoli tra dopoguerra e fascismo”, Milano 1962
(2) in: Marco Bernabei, “Fascismo e nazionalismo in Campania”, Roma 1973, si accenna, p es, al fatto che, in diverse zone della regione, proprietari “parassitari”, di fronte ai primi scioperi ed occupazioni, preferiscono vendere i terreni a singoli o cooperative e restarsene a vivere tranquilli in città
(3) in: Franco Gaeta, “Il nazionalismo italiano”, Bari 1981, vi è notizia di scontri armati (anche con morti) tra fascisti e neo-nazionalisti a Ginosa, Andria, Qualiano, Sarconi Regalbuto e altri luoghi
(4) sarà il caso di aggiungere che avverso al primo fascismo è anche il tradizionale alleato del latifondo, la mafia; a Misilmeri, il 7 aprile del 1921 viene ucciso, in un agguato di chiara marca mafiosa, Mariano de Caro, della locale sezione fascista
(5) non si può parlare della Calabria senza accennare a Luigi Filosa , fascista rivoluzionario (trovo impropria l’espressione “di sinistra”, ho già avuto modo di dirlo) antemarcia, nemico giurato del latifondo, poi dissidente, processato e confinato, reiscritto al PNF quasi in coincidenza con lo sbarco degli Alleati in Sicilia, poi nella “Guardia al labaro” del fascismo clandestino, riarrestato mentre cerca di raggiungere la RSI; parlamentare “critico” del MSI nel dopoguerra
(6) in: Domenico Romeo, “L’avvento del fascismo in Calabria”, Ardore Marina 2009, pag 27
(7) in: Simona Colarizi, “Dopoguerra e fascismo in Puglia”, Bari 1971, pag 16
(8) in: Simona Colarizi, cit, pag 288; nella risposta Starace si dirà perfettamente d’accordo, perché: “i profittatori devono essere in modo assoluto eliminati”
(9) in: Giuseppe Saluppo, “Molise, interventismo dopoguerra fascismo”, Milano 1994 pag 92
(10) Antonio Landolfi, citato in: “Gerardo Picardo, “Aurelio Padovani”, Napoli 2003 pag 45
(11) è il titolo del quarto capitolo di: Yvon De Begnac, “Taccuini mussoliniani”, Bologna 1990, pagg 141-168, che riprende una definizione mussoliniana riferita, oltre che a Padovani, al al siciliano Gennaro Villelli e al pugliese Giuseppe Attilio Fanelli, che ci ha lasciato una importante testimonianza del “clima” nel suo: “Perché seguimmo e disobbedimmo a Mussolini”, Roma 1984
(12) Gerardo Picardo, op cit
(13) la carriera militare di Padovani è di assoluto rispetto: in Libia è uno degli 11 superstiti della battaglia di Sciara-Sciat; si guadagna la prima medaglia d’argento il 20 luglio del 1915 a San Michele sul Carso, restando anche ferito; mutilato ad un piede sull’Hermada, nel 1916, riceve la seconda , sempre d’argento, e la terza nell’agosto del ’16, per l’eroico comportamento tenuto a “quota 86”, non mi è riuscito di trovare località e motivazione della quarta, attribuitagli da tutti gli storici che si sono di lui occupati e dal Dizionario Biografico della Treccani
(14) Yvon De Begnac, op cit, pag 145
(15) Giorgio Alberto Chiurco, “Storia della rivoluzione fascista”, Firenze 1928, vol IV pag 431
(16) Giorgio Alberto Chiurco, op cit, pag 323
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