Al termine di un confronto elettorale decisamente serrato, il verdetto uscito dalle urne ha, indiscutibilmente, premiato tutte quelle formazioni che, in qualche modo, si rifanno o sono considerate esse stesse “populiste”. Il riferimento vale sia per la Lega che per il Movimento 5 Stelle, il Presidente Usa Trump, la transalpina Lady Marine Le Pen, che, nel più recente passato per la Forza Italia dei tempi d’oro ed, addirittura, in tempi recentissimi, come da qualcuno azzardato, anche per il Renzi della primigenia versione “rottamatoria”. Un termine nella cui accezione è stato incluso un po’ di tutto ed il suo contrario.
Ma cosa intendiamo esattamente per “populismo”? Quale è l’esatta accezione politica in cui va collocato questo termine, oggidì tanto di moda? A volersi rifare alla lettera della storia dei movimenti politici, per “populismo” si intendono una serie di movimenti che, a fine Ottocento si svilupparono in disparati contesti. In Russia il Populismo fu rappresentato dai “narodnjki”, i cui più autorevoli esponenti furono il colonnello e professore di matematica dell’Accademia militare Pëtr Lavrovič Lavrov, fautore di un populismo in chiave socialista, assieme al suo divulgatore ed idelogo, il sociologo e critico letterario Nikolaj Konstantinovič Michajlovskij, avente per oggetto l’emancipazione delle masse contadine, partendo dalla comunità rurale/“obscina”. La Francia invece, iniziò con la Lega dei Patrioti di Paul Déroulède, che unitasi ad un altro movimento populista di massa, il Boulangismo (dal nome di Georges Boulanger, carismatico generale dell’esercito francese) si fece fautore di un nazionalismo radicale e revanscista, sempre connesso al sempre più diffuso malcontento delle masse, nei riguardi della giovane repubblica parlamentare francese, tanto da conseguire nel 1888-89, dopo aver ottenuto l’appoggio dei monarchici, delle significative vittorie elettorali. Negli Stati Uniti fu il Partito del Popolo (People’s Party), noto anche come Partito Populista (Populist Party), sommariamente chiamati “Populisti”, quale partito istituito nel 1891 negli Stati Uniti d’America che, durante il periodo “populista”, prese piede verso la fine del XIX secolo. Supportato dalle classi meno abbienti, soprattutto da coltivatori ostili verso le élite in generale, ebbe il suo culmine tra il 1892 e il 1896.
Tutti questi movimenti, con le rispettive varianti storiche ed ideologiche, condivisero un comune destino: quello di sparire o, quantomeno, come nel caso del populismo russo, di finire riassorbiti nel “mare magnum” di un’ideologia, nel caso russo per l’appunto, quella bolscevica. Sia nel caso dei populismi che precedettero il secondo conflitto mondiale che, nel caso di quelli ad esso posteriori, il populismo si fa portatore di una carica di forte ostilità nei riguardi delle elites. Una ostilità che, generalmente permane sul generico, in quanto non si fa portatore di alcuna specifica istanza ideologica della quale, però, può costituire il trampolino di lancio, come nel caso del peronismo o del posteriore bolivarismo chavista. Pertanto, del populismo si può tranquillamente dire che esso costituisce il momento politico immediatamente precedente la nascita di una qualsivoglia formazione politica inquadrata in solide basi ideologiche, oppure, ne costituisce la fase finale, dissolutoria, “liquida”, come nel caso dell’odierno populismo europeo, nella fattispecie della Lega, ma anche, di quello dei vari movimenti nord europei anti immigrazione, come il Front National francese, il Partito Democratico Svedese, Alternative fur Deutschland, l’FPO austriaco,la olandese Lista per Pym Fortuyn e tanti altri ancora.
Tutti questi movimenti sorgono o, quantomeno, assumono, una connotazione populista, con il graduale dissolvimento delle grandi narrazioni ideologiche totalitarie e rivoluzionarie novecentesche, rappresentate dalle due grandi famiglie ideologiche del Marxismo e del Fascismo, in tutte le loro varianti. Questo perché, di fronte all’impetuosa avanzata della Tecno Economia, ambedue le ideologie totalitarie hanno dimostrato una inadeguatezza ed una incapacità ontologiche nell’adeguarsi al processo Tecno Economico e, pertanto, a dare delle risposte, proprio a causa di quella tendenza che ne accomuna le sorti alla controparte Globalista, atta ad omologare, operando una “totalitaria” “reductio ad unum”, volta a precludere, in tal modo, qualunque tipo di apertura al molteplice che, invece, ne avrebbe consentito una comprensione più completa della realtà, permettendone la sopravvivenza politica.
Di fronte alla tendenza all’omologazione planetaria, va sempre più manifestandosi una spiccata controtendenza alla diversità, al molteplice, alla differenziazione si et si, alla fuga da qualsiasi istanza di rigidità intellettuale precostituita e questo sia in positivo che in negativo, con le ricadute in quella “liquidità”, in quella fluida instabilità, in quello stato di precarietà che tutto rende vano ed incerto, eccezion fatta per un solo fattore: quello di un compulsivo desiderio di profitto, espanso oltre ogni umano limite. Il Populismo, facendosi portavoce di istanze che incarnano un generico “buon senso” delle masse, inizialmente prive di una definita connotazione ideologica, (e pertanto di quella rigidità intellettuale che, abbiamo già visto, ne determinano il superamento ed il sopravanzamento da parte della Globalizzazione, sic!), può divenire lo strumento, la piattaforma di lancio da cui partire per portare l’attacco al cuore del sistema globale.
Questo però, a patto che quella medesima piattaforma sappia, nel tempo, trasformare quelle istanze medesime di cui sopra, in contenuti ideali e proposte, tali da poter assumere un ruolo di contraltare al Globalismo. Altrimenti, il rischio è quello di rimanere fermi all’ enfasi di una iniziale protesta che, in quanto tale e proprio a causa di una sua connaturata genericità, finirebbe con l’esaurirsi in sé stessa. Due esempi sopra tutti: in Italia la fine dell’Uomo Qualunque di Giannini che, nel dopoguerra riuscì ad ottenere degli eccezionali risultati elettorali, proprio facendo leva sul malcontento che, anche allora serpeggiava nella nostrana opinione pubblica ma che, proprio a causa della propria vuota genericità, scomparve dalle’agone politico con la medesima velocità con cui era apparso. Il secondo esempio è quello, anch’esso post-bellico, del francese Pierre Poujade, che durò pochi anni ed avrebbe invece costituito il battistrada per un Populismo di marca più ideologizzata e duratura, rappresentato dal Front National di Jean Marie Le Pen.
Il Populismo, come abbiamo già avuto modo di dire, costituisce pertanto, una fase di passaggio metodologica fondamentale, un momento di transizione, di raccolta di istanze generiche, dal quale bisognerà poi passare ad una fase di risposte più specifiche , in grado di unire attorno ad un comune motivo tutta la multiforme varietà delle componenti umane, politiche e sociali, tipica delle società più sviluppate. Nel più recente passato, il Populismo ha costituito quella piattaforma attorno a cui si sono coagulate tutte quelle forze che, in determinate realtà del Terzo Mondo, hanno poi dato luogo delle vere e proprie rivoluzioni nazionali, come nel caso del Nasserismo in Egitto, del Peronismo in Argentina o delle varie rivoluzioni bolivariste in Nicaragua, Venezuela e nello stesso Ecuador. Nel riportare qui quanto già precedentemente accennato, bisogna vedere se l’attuale pullulare di formazioni populiste in Europa, darà luogo a degli sbocchi concreti nella lotta al Globalismo, o finirà per sfociare nel nulla della genericità e dell’inconcludenza che hanno caratterizzato e caratterizzano tante, troppe, esperienze politiche europee.
Ed anche qui l’Europa mostra, una volta in più, se mai ce ne fosse stato il bisogno, la propria peculiare e centripeta multiformità che ne fa un vero e proprio “unicum” geopolitico e geo-spirituale. Populismi e nazionalismi vanno per la maggiore in quell’Europa dell’Est, in paesi come la Polonia, l’Ungheria (e perché no?Anche nella Russia di Putin…), indelebilmente marchiati da decenni di Bolscevismo sovietico, mentre nell’Europa dell’Ovest traccheggiano, restando troppo spesso confinati allo stato di semplici ed irrisolte aspirazioni protestatarie. La famosa Cortina di Ferro, in verità, non è mai caduta. Smontata materialmente, essa è però rimasta nello spirito di quei popoli d’ “oltrecortina” che, rimasti orfani del Socialismo Reale, oggi trovano del tutto naturale ricercare in istanze identitarie e nazionali di tipo populista, un contraltare all’inanità ed alla mancanza di senso che caratterizzano oggidì le democrazie liberali. Ed allora, l’interrogativo che ci dovremmo tutti porre, è verso “cosa” dirigere il Populismo…
La risposta ci indirizza verso una categoria politologica, oggidì apparentemente caduta in disgrazia. Si tratta del Socialismo, tanto decantato negli anni passati ed ora, a seguito di un’incontrollata euforia all’insegna del liberismo globalista, messo frettolosamente in disparte. Le scuole di pensiero comunitariste di area anglosassone, con i vari Sandel, Mac Intyre, Walzer, Taylor, ma anche quelle di tipo anarco-comunitario, come quella di un Nozick, o quelle più “pauperiste” di un Piketty, le stesse riflessioni portate avanti da decenni, da svariati esponenti e riviste del nostrano pensiero “non conforme”, ci indirizzano decisamente verso l’irresoluto contrasto tra Individuo e Comunità ed, ancor più, tra Economia e Comunità, per i quali la risposta non può che essere il Socialismo. Se da tutte queste riflessioni si evince che, mai come ora, il Liberismo e le stesse democrazie liberali sono entrate in una crisi che va, vieppiù, facendosi sempre più profonda ed irresolubile, attraverso un sempre più frenetico alternarsi di crisi e momenti di euforia dei mercati, d’altro lato però, un Socialismo del 21° secolo, non potrebbe mai più avere le caratteristiche di burocratico agglutinamento, tipico di certi modelli del 20° secolo, né tantomeno, finire con l’identificarsi ed immedesimarsi con il progressismo piagnucoloso e buonista dei vari Bernie Sanders o del labour-buonista d’Oltremanica Jeremy Corbin.
Si tratta di ritornare a dare senso alla vita dell’Individuo e della Comunità, a riconfigurare il rapporto tra questi ultimi e l’Economia quale rapporto tra un fine ed un mezzo e non viceversa, come ora accade. Non senza dimenticare che, cemento e collante di questo progetto, non può che essere quell’Identità, quell’anima profonda di un popolo che, ad oggi, il Globalismo sta cercando di eliminare, per lasciare il posto ad un anodino e mercificato modello di società, omologata al comun denominatore Tecno Economico.
E, al di là di qualunque dettagliata e puntigliosa riflessione o analisi intellettuale che dir si voglia, di fronte a quella che pare essere una questione riconducibile ad una mera dimensione politologica, l’unica via d’uscita, apparentemente legata ad una logica dell’assurdo, sembra esser quella derivante da quell’ “Epochè/Sospensione” delle nostre prefissate coordinate di pensiero. E da qui immedesimarsi in quell’heideggeriana “Ereignis”, in quella “parmenidea” coincidenza tra Essere ed Azione, che si traduce in quella “poiesis”, di cui quel “poietein/creare”, dell’Uomo è attitudine primaria. E creare dal Nulla, la stessa possibilità di far fuoruscire l’Essere dal Non-Essere, la possibilità, anche solo a livello teorico, di poter scardinare le razionali coordinate del pensiero occidentocentrico, fa dell’Individuo un Mago. E “magico” non potrà che essere quel pensiero che, d’ora in avanti, avrà il compito di contrapporsi al mostro globale, per restituire senso, bellezza ed armonia ad un mondo, ad oggi, ottenebrato dal grigiore e dall’uniformità globali.