Nel 222° anniversario della nascita del poeta e scrittore russo Aleksandr Puskin (Mosca, 6 giugno 1799 – San Pietroburgo, 10 febbraio 1837), si sono susseguite una serie di iniziative, più o meno ufficiali, volte sì, a ricordare il grande letterato, ma anche ad offrire un ulteriore e stimolante motivo di riflessione, che l’attuale e quanto mai difficile scenario epocale, non potrebbe non offrire. Il problema dell’identità, anzitutto. Puskin, non a torto, viene dalla critica, universalmente ritenuto il fondatore della lingua letteraria russa, nel senso della sua più moderna accezione. Una letteratura, quella russa, che affonda le sue radici nella annalistica scritta in paleoslavo, riprendente i testi bizantini, sino all’elaborazione dei racconti epici del ciclo kieviano e novgorodiano, sino ad arrivare nel 17° secolo, sotto la spinta occidentalizzante di Pietro il Grande, ad una vera e prima letteratura scritta nel linguaggio popolare russo. Autori come Antioch Dmitrievič Kantemir, (Costantinopoli 1708 – Parigi 1744), Vasilij Kirillovič Tredjakovskij (Astrachan’ 1703 – San Pietroburgo 1768) e Michail Vasil’evič Lomonosov (1711 – 1765), (poeta e scienziato, fondatore nel 1755 a Mosca della più grande e antica università russa…), daranno la stura per la successiva generazione di letteratii. Autori quali Gavriil Romanovič Deržavin (1743-1816) per la poesia, Michail Dmitrievič Čulkov ( 1743 – 1793) per le fiabe, Aleksandr Petrovič Sumarokov ( 1717 – 1777) e Denis Ivanovič Fonvizin (1746-1792), per il teatro, Nikolaj Michajlovič Karamzin (1766-1826) e Aleksandr Nikolaevič Radiščev (1749-1802) per il sentimentalismo russo, Ivan Andreevič Krylov (favole), Aleksandr Sergeevič Griboedov (teatro), e da Vasilij Trofimovič Narežnyj (prosa),per quanto attiene il Classicismo dell’inizio del XIX secolo, daranno tutti vita ad una varietà di generi letterari, sino ad allora, praticamente assenti dallo scenario russo. All’inizio del XIX secolo, la Russia viene profondamente toccata dall’onda del Romanticismo che in autori come Vasilij Andreevič Žukovskij, Konstantin Nikolaevič Batjuškov, Kondratij Fëdorovič Ryleev ed altri poeti cosiddetti “decabristi”, troverà i primi illustri rappresentanti. Ma, a dare un’ulteriore e più pregante spinta qualitativa, all’intero genere letterario russo, sarà proprio la figura di Aleksandr Sergeevič Puškin, assieme alla sua “pleiade”, rappresentata da poeti ed autori come Evgenij Abramovič Baratynskij, Michail Jur’evič Lermontov.
Nell’ambito letterario russo, quello di Puskin, è un contributo fondamentale. Nella sua prolificità di poeta e escrittore di prosa, il nostro passò da una iniziale fase romantica ad un’altra, caratterizzata, invece, da un più marcato realismo. E qui sorge un primo e fondamentale problema interpretativo. Quello che noi, in autori quali Puskin ed altri ancora, identifichiamo quale “realismo” , è in realtà, un genere letterario peculiarmente russo, difficilmente categorizzabile, proprio perché profondamente impregnato di quel sentimento romantico, la cui particolarità è quella di saper connettere qualunque motivo di tipo realista, con la più profonda anima popolare. In tutto il variegato percorso della letteratura russa, a ritornare costantemente a galla, è quel senso di appartenenza ad una comunità di destino, che qui, trova le proprie radici sia nella letteratura religiosa ortodossa, di origine bizantina che, nella narrazione mitopoietica pagana e cristiana a cui abbiamo precedentemente accennato, sino ad arrivare al “narodničestvo/populismo” russo del 19° secolo, espresso da autori quali il filosofo Ivan Vasil’evič Kireevskij, lo scrittore Aleksandr Ivanovič Košelëv, i fratelli giornalisti Ivan e Konstantin Aksakov , lo storico Jurij Fëdorovič Samarin, volti alla rivalutazione dell’idea di “obscina”/comunità agricola, quale nucleo base per la costituzione di un nuovo modello sociale, questo sì in grado di rivalutare al massimo grado, lo spirito di appartenenza ad una grande “koinè” slava.
Le successive e più radicali espressioni del populismo russo, tratte dagli scritti di un Bakunin o di un Lavrov, non cesseranno mai di far riferimento all’idea di un’identificazione dell’anima slava, con le pù pressanti istanze politiche. A ricorrere sempre più, sarà l’idea di una grande comunità eurasiatica che, troverà in personaggi come Nicolaj Sergeevič Trubeckoj (1890-1938) e Lev Gumilëv (1912-1992) i più accesi sostenitori, trovando sulla “sponda” occidentale dei corrispettivi nel pensiero dei tedeschi Ernst Niekisch, Werner Lass e Karl-Otto Paetel, propugnatori, durante gli anni 20 e 30, del 20° secolo di un modello di bolscevismo nazionale, fondato sull’idea di un asse politico russo-germanico, quale perno centrale di una realtà politica euro-asiatica. Al termine di questo rapido “excursus”, pertanto, non si può non riconoscere la peculiarità della natura ibrida della Russia che, quale sintesi fra l’eredità bizantina e la signoria mongola, tra le radici slave e variaghe, passando attraverso l’edificazione delle prime “Rus/comunità”, fa della Russia e della sua letteratura un “unicum”, vivente espressione di quello che, senza tema, possiamo definire un vero e proprio “Continente dell’anima”, con buona pace dei suoi detrattori, impregnati di un grigio e squallido globalismo, condito di un’acida salsa yankee.
Umberto Bianchi