Un corpo dubitabile
Una delle certezze fondamentali dell’essere umano è l’avere un corpo. Questa premessa sottende in realtà un intreccio di idee e di impressioni latenti di cui si può dubitare. Potremmo per esempio chiederci: cos’è un corpo? Un aggregato di particelle, un prodotto del cibo. Ma la materia di cui è fatto appare ordinata secondo un progetto, plasmata da una forma ideale. E chi è a possedere un corpo? Dobbiamo postulare un Io incorporeo che ne è proprietario e fruitore, o il corpo appartiene a sé stesso?
Ogni corpo sembra organizzarsi in facoltà e limiti particolari. Per esempio, a differenza di un asino, un uomo sa parlare, suonare strumenti musicali e costruire cattedrali. Ma, a differenza di un uccello, non può volare. Quindi, quando leggiamo che Santa Teresa d’Avila si sollevava da terra o che San Giuseppe da Copertino volteggiava nell’aria, l’alternativa che ci si pone è di prenderli come racconti di fantasia o di credervi, rinunciando ad alcuni dei nostri più fondamentali pregiudizi.
Questo sotterfugio intellettuale ha il pregio dell’economia, costa poco. Ma il negare a priori la possibilità del ‘sovrannaturale’ ha talvolta esiti grotteschi. So ad esempio che il Cicap, nel tentativo di spiegare ‘razionalmente’ le levitazioni di san Giuseppe da Copertino, suggerì che fossero semplici balzi atletici, di tale maestria da convincere tutti che il frate volasse. Questo ovviamente, oltre a essere ridicolo, offende le numerose persone intelligenti, colte, dotate di spirito critico, che videro tali fenomeni e li descrissero.
Un corpo immaginabile
In alcuni casi l’evento miracoloso avviene nell’interiorità della coscienza e non può avere testimoni. Nel caso della transverberazione di Teresa d’Avila, ad esempio, la santa racconta di una visione in cui un angelo molto bello le trafiggeva ripetutamente il cuore con un dardo dalla punta infuocata, penetrandola fin nelle viscere, provocandole spasmi di dolore e insieme di dolcezza inenarrabile. Immagine che manda in solluchero gli psicanalisti e che Bernini immortalò nelle forme di una inequivocabile estasi erotica.
Tuttavia, questa esperienza intima e soggettiva lasciò nella carne tracce innegabilmente oggettive. Il referto del medico che effettuò l’autopsia sul corpo della santa parla infatti di diverse aperture, piccoli ferimenti visibili con estrema chiarezza sul suo cuore, e di una ferita profonda, lunga cinque centimetri e larga tre, i cui bordi presentano segni di ustioni, come fossero stati cauterizzati. Il cuore, estratto e conservato in una teca di cristallo, si presenta ancor oggi incorrotto ed emana un profumo soave.
Per fornire una spiegazione a quel cuore fisicamente trafitto alcuni immaginano l’effetto di una potente auto-suggestione. Il corpo diverrebbe così materia cui l’immaginazione dà forma, come uno scultore si serve della creta. La condizione di trance estatica, creando rappresentazioni mentali eccezionalmente intense, consentirebbe allo psichico di influenzare plasticamente il somatico (così si formerebbero le stimmate). Anche il ‘profumo di santità’ dipenderebbe dall’auto-suggestione di chi è portato a credere nei fenomeni mistici. Tuttavia, l’incorruttibilità del cuore resterebbe inspiegata. Incomprensibile è anche come potesse la santa vivere nonostante quella ferita mortale.
La fede e il sentimento sono inclini a credere senza bisogno di prove ‘scientifiche’. Per la ragione è invece naturale, quando si trova di fronte a eventi che la eccedono, cercare di ricondurli a modelli noti. In quell’eccedenza avverte infatti una minaccia alla sua pretesa di comprendere e giudicare le cose meglio della fede e del sentimento. Ma un enigma resta un enigma e un mistero un mistero, anche quando rattoppiamo i vuoti del nostro sapere con qualche arbitraria congettura.
I miracoli non hanno confini geografici, ma quelli del Buddha, di Apollonio di Tiana o di taumaturghi extra-cristiani ci sono in genere poco noti. In compenso, i processi ecclesiastici di beatificazione e canonizzazione ce ne conservano lungo i secoli una messe copiosissima e vagliata con metodica acribia. In essi è riversata una tale cornucopia di mirabilia che, se solo vi si prestasse la dovuta attenzione, il mondo si fermerebbe attonito e smarrito.
Il corpo che emerge dal nulla
Tutti i miracoli sconcertano, ma forse il più mirabolante avvenne nel 1640 a Calanda, città spagnola vicino a Saragozza. Qui, insieme ai genitori, viveva un ragazzo di vent’anni, Miguel Juan Pellicer, cui tre anni prima era stata amputata una gamba, spezzata dalla ruota di un carro e poi andata in gangrena. Questa menomazione gli impediva di lavorare, e in città erano abituati a vederlo girare per le strade mendicando, con la sua gamba di legno e le stampelle.
Una sera, mentre dormiva, la madre notò che da sotto la coperta spuntavano due piedi. Al colmo della meraviglia, svegliò il ragazzo, il quale raccontò di aver sognato la Santa Vergine del Pilar che gli poneva sul moncone un unguento. La sua gamba era ricresciuta, come richiamata all’esistenza dal nulla. Naturalmente il fatto ebbe enorme eco nella città e nella Spagna intera, tanto che lo stesso re Filippo IV invitò a corte il Pellicer e si inchinò a baciare la gamba miracolata.
La veridicità di quella strabiliante ricrescita venne esaminata attraverso un’indagine processuale che durò quasi un anno. Fu raccolta la deposizione giurata di ventiquattro testimoni, considerati i più attendibili tra i tanti che conoscevano da tempo il Pellicer, e dei medici che l’avevano amputato e curato. Il fatto straordinario fu confermato anche da altri chirurghi, dal giudice della città e da un notaio che ufficialmente lo verbalizzò. Infine, eliminato ogni dubbio, non restò che dichiararne l’origine ‘sovrannaturale’.
Chi non creda ai miracoli e pensi che un fatto del genere sia assolutamente impossibile, dovrà scartare come spiegazione l’intervento della Santa Vergine o di altre forze celesti e ripiegare, molto più banalmente, sull’ipotesi di una finzione collettiva, di cui alcuni furono ideatori e artefici, e alla quale altri prestarono fede perché predisposti a ciò dalle loro credenze religiose.
Dovremmo quindi supporre che i Pellicer, in combutta con alcuni chirurghi dell’ospedale di Saragozza, abbiano convenuto di inscenare un finto incidente, una finta gangrena, una finta amputazione, una finta gamba di legno e, dopo tre anni di paziente attesa, una finta ‘resurrezione’ della carne. E costoro, insieme ai numerosi testimoni del processo, tutti ferventi e timorati cattolici, non avrebbero esitato a giurare il falso davanti a Dio pur di ottenere il loro scopo.
O forse, i genitori di Manuel Juan hanno ucciso il figlio storpio, ne hanno fatto scomparire il corpo e l’hanno sostituito con un suo sosia. Ma quale poteva essere il fine che si proponevano di raggiungere? La notorietà, il denaro? Infiammare gli animi dei fedeli fornendo loro materia di devota riflessione, rendere più cattolica la già cattolicissima Spagna? Non nego che, per quanto risibili e inconsistenti, queste ipotesi sono meno incredibili di una gamba che ricresce. Ma il punto è proprio questo: perché crediamo sia incredibile?
Il corpo che si auto-guarisce
Un’obiezione che sento spesso fare a proposito di guarigioni miracolose accadute in epoche lontane è questa: un tempo lo scarso sviluppo della conoscenza medica rendeva possibile interpretare come sovrannaturali fenomeni che oggi, in un contesto più evoluto e razionale, troverebbero una spiegazione scientifica. Come extrema ratio, rifugio di uno scetticismo rimasto senza argomenti, si citano ‘poteri ancora sconosciuti’ del cervello, favoloso organo le cui potenzialità, si dice, usiamo solo al 5% o il 10%, o in altre percentuali più o meno scoraggianti.
Non dubito che il corpo abbia in sé capacità, forse immense e inesplorate, di auto-riparazione. Tuttavia, ignoro quali siano le forze della mente in grado di far ricrescere una gamba in pochi minuti. Non li potrei escludere. Ma anche una volta ammesso che la natura umana sia dotata di tali fantastiche prerogative, dovremmo riformulare in modo radicale la nostra concezione dell’uomo e, dopo aver negato l’esistenza di poteri divini, attribuire quei poteri a noi stessi.
A quelli che fanno del miracolo il cascame di culture irrazionali, ancora prive di illuminazione scientifica, vorrei ricordare che anche in tempi moderni si ha notizia di miracoli. Le guarigioni prese in esame ancor oggi dalla Chiesa vengono passate al vaglio di medici e periti – credenti, atei o agnostici – i quali ne devono confermare la natura scientificamente inspiegabile (ovviamente nei limiti delle attuali conoscenze) secondo dei protocolli rigorosi.
Il corpo fantasma
Tra i fatti recentemente studiati nelle varie postulazioni per la causa dei santi merita una speciale attenzione il caso della signora E. P.. La donna, di 52 anni, fu ricoverata all’ospedale di Ala nel marzo del 1977. La sua gamba sinistra era livida e tumefatta, le sue sofferenze atroci. Tre giorni di cure non poterono fermare l’avanzare di un’evidente gangrena. Le condizioni della donna si fecero disperate e i medici, per tentare di salvarle la vita, decisero di amputare la gamba.
La signora P., devota di padre Leopoldo Mandic, un cappuccino vissuto per molti anni a Padova e lì morto nel 1942, si rivolse al frate chiedendogli aiuto. Il medico di guardia ricorda che la notte prima del previsto intervento fu chiamato più volte al capezzale della malata. La sintomatologia continuava ad aggravarsi, la gamba era fredda e marcescente, i dolori si facevano sempre più lancinanti e refrattari alle infusioni di analgesici. La donna era palesemente in stato preagonico.
Lo stesso medico, recandosi la mattina presto nella stanza della donna, pensò che la paziente fosse deceduta. Rimase esterrefatto quando la trovò invece viva e visibilmente rilassata, serena. La gamba era calda e rosea, aveva recuperato una vascolarizzazione spontanea e completa. I controlli clinici non poterono che constatare quella guarigione assurda, razionalmente inaccettabile. Si era andati oltre il concetto stesso di guarigione. Secondo i medici si trattava di ‘resurrezione’. L’arto era infatti in stato di necrosi (il latino ‘gangraena’ significa ‘putrefazione’). Le cellule morte erano tornate in vita.
Questi sono i dati obiettivamente accertati. Ma per spiegarli il solo appiglio è di carattere soggettivo, ovvero dobbiamo ascoltare il racconto della signora P.. Secondo lei, un frate cappuccino, piccolo, con la barba bianca (descrizione che corrisponde a padre Mandic) entrò nella stanza, guardò la gamba in gangrena, sorrise e le disse che sarebbe guarita. Poi uscì camminando lentamente. La signora non avvertiva più alcun dolore. Sentì che la gamba si riscaldava e che poteva muoverla normalmente.
Gli scettici possono non tener conto di questa visita misteriosa, considerarla una pia invenzione. Ma la guarigione è un fatto, e la testimonianza della donna è l’unico indizio che abbiamo per tentare di comprenderlo. Inoltre, questo incontro notturno solleva un altro problema, sul quale non possiamo sorvolare. La signora P. si dice sicura d’aver visto padre Leopoldo Mandic. Ma il frate era morto da oltre cinquant’anni. Chi dunque le fece visita, un fantasma? Qualcuno o qualcosa che aveva assunto l’aspetto del religioso francescano?
Fede o ragione?
Le reazioni di fronte al ‘miracoloso’ coincidono in genere con due categorie psicologiche: il razionalismo e il fideismo. Nel primo caso occorre negare la realtà del miracolo, pensare vi siano stati clamorosi errori di diagnosi, o che tutte le persone coinvolte siano per qualche sconosciuta ragione furfanti e impostori Anche le varie commissioni di medici che ne hanno attestato la natura straordinaria sarebbero dunque formate da persone incompetenti o ingenue. Queste sono le razionalizzazioni tipiche di una mentalità arroccata su posizioni preconcette e superficiali (‘cicapismo’).
Dalla parte opposta sta chi semplicemente dice che “a Dio tutto è possibile”. In tal modo si rientra nella normalità, non si è tenuti a mettere in discussione la nostra visione convenzionale delle cose. Possiamo continuare a credere che la realtà sia quella che vediamo. Sottoscriviamo un contratto che ci lega alla concezione ‘scientifica’ del mondo, basata su leggi ‘naturali’ e immutabili. Basta aggiungervi la clausola che Dio può a suo piacere trasgredirle.
È una sorta di miracolismo magico, che fa regredire la coscienza a stadi infantili, in cui fantasia e realtà si assimilano e in cui l’onnipotenza divina diventa la proiezione di un delirio umano. Inoltre, con la sua idea di un intervento ‘sovrannaturale’, il fideismo non ci costringe a ripensare il concetto di ‘natura’. L’effetto salvifico ed edificante della guarigione pone in secondo piano o rimuove lo scacco della ragione, quel senso di revoca del nostro sapere che il miracolo implica.
In fondo, quello che accomuna razionalista e fideista è la loro mancanza di dubbi. Da parte mia, non penso che il miracolo abroghi una supposta legge di natura o che sovverta un ordine, ma che renda evidente una legge e un ordine superiori, come un lampo può per un attimo illuminare un paesaggio notturno e mostrare alberi, case, sentieri prima non discernibili. Ci svela un’aldilà che penetra l’aldiqua e lo trasfigura.
Questo non comporta uno spazio di possibilità illimitate, come accade nell’universo magico di una fede poco matura. Ciò che è reale ha sempre un limite. Se noi spostiamo un nostro limite, ne troviamo un altro, e poi un altro ancora. Il miracolo non esclude ‘il limite’ ma ‘questo limite’ in cui sembra circoscritta la realtà terrena. E forse quello che a noi appare miracoloso, in altre dimensioni dell’essere apparirebbe normale. Il miracolo dissolve la nostra rigida visione delle cose, rimuove un confine tra possibile e impossibile che ritenevamo inamovibile.
La mentalità degli antichi era in questo senso più fluida. Non avevano le nostre idee scientifiche di ‘natura’ e di ‘legge naturale’. Quindi era loro estraneo anche il concetto di ‘sovrannaturale’. La gente era abituata a vedere le cose svolgersi in un certo modo e, se accadevano fatti abnormi, non pensava implicassero una momentanea sospensione di regole generali, un vuoto nella giurisdizione dell’universo. Vi vedeva l’opera di spiriti, demoni o divinità capricciose.
Miracoli laici
D’altro canto, guarigioni sorprendenti avvengono anche senza prerequisiti religiosi o fede in qualche trascendenza spirituale. Emblematico è il caso di quell’uomo che negli anni ’50, in seguito alla somministrazione di un placebo, guarì totalmente da un linfosarcoma terminale. I medici gli fecero credere che fosse un farmaco sperimentale dai risultati eccezionali. L’uomo si attaccò a quell’ultima speranza e in tre giorni “tumori grossi come arance disseminati in tutto il corpo si dissolsero come neve al sole”.
Anche qui si potrebbe dire: «la tua fede ti ha guarito». Pare indifferente che sia fede in Dio o nella scienza, nella medicina. Purtroppo la storia ebbe un triste epilogo, in quanto l’uomo, dimesso, tornò a casa pienamente ristabilito e condusse una vita normale finché non scoprì che i medici gli avevano mentito. Tutti i suoi sintomi si ripresentarono rapidamente e in breve tempo morì. Vicenda che dovrebbe farci riflettere non solo sui processi sconosciuti che determinano una guarigione ma ancor più su quelli che provocano una malattia. Che ruolo vi hanno la mente o l’anima? Il fatto è che abbiamo un’idea molto vaga di cosa significhino queste parole.
Secondo un certo materialismo ‘scientifico’, le varie manifestazioni della vita interiore si esauriscono nelle funzioni del sistema nervoso. Questo ricorda un po’ il selvaggio, convinto che sia la radio a parlare. Le antiche e sottili distinzioni tra carne, psiche e spirito si perdono, fuse nel gran crogiuolo di una matrice organica, in un fango originario privo di ogni soffio divino.
Ricondurre il pensiero a epifenomeno della materia sarebbe parso abominevole a un uomo del Medioevo o del Rinascimento, ma è conforme a quel razionalismo illuminista che dopo d’Holbach, La Mettrie e l’uomo-macchina ha avuto tanto seguito nel pensiero occidentale. Così, un Corale di Bach non ha niente a che vedere con l’anima ma solo con il cervello di Bach. L’amore, la bellezza, non sono che eccitazioni della corteccia cerebrale. E se ancora parliamo di una mente o di un’anima, lo concediamo come metafora, routine linguistica.
Sembriamo ignorare la delimitazione di campo in cui agiscono la nostra percezione sensoriale e la nostra struttura cognitiva. Così ci crediamo capaci di trarre, da facoltà limitate, conclusioni universalmente valide, e non vediamo l’altro universo che il miracolo ci addita. Ci è difficile credere che il nostro mondo sia una rappresentazione angusta, elaborata da un sistema imperfetto, o che la nostra conoscenza sia un’illusione. In tal senso, il miracolo agisce come confutazione dei nostri consueti codici intellettuali, secondo i quali una gamba amputata non può ricrescere e un corpo morto non può resuscitare.
Una morte reversibile
La mattina del 5 agosto 1678, in un paese nella provincia di Potenza, Castronuovo di Sant’Andrea, (dal nome del santo Andrea Avellino, nato lì nel 1520), un bambino di due anni e mezzo cadde da una rupe, precipitando per oltre sedici metri. Una donna corse per soccorrerlo, ma lo trovò morto, che non respirava, con il collo deformato («la noce rotta») e la testa rotta («havia franta e livida la fronte»). Andarono a cercare la madre del piccolo, la quale, disperata e incapace di rassegnarsi, lo raccolse e lo portò da un medico. Questi testimoniò poi sotto giuramento che il bimbo era freddo e bluastro, non aveva pulsazione, non respirava, non mostrava alcun segno di sensibilità o di attività vitale. Dichiarò anche di aver constatato un grosso schiacciamento della fronte e una “dislocatione” della settima vertebra cervicale, lesioni mortali che avevano distrutto irreversibilmente l’attività del cervello. Perciò disse alla madre di seppellirlo.
La donna riportò il figlio a casa. Il bimbo rimase lì fino all’ora del Vespro, quando venne l’arciprete, osservò il corpicino rigido e disse alla madre di portarlo in chiesa per la sepoltura. La madre, seguita da un nutrito corteo, si avviò reggendo tra le braccia il figlio morto. Tuttavia, quando furono davanti alla cappella del beato Andrea Avellino, la donna entrò e depose il corpo morto sull’altare. Poi tornò alla porta e cominciò a strisciare verso l’altare leccando il suolo con la lingua, supplicando il beato di ridar la vita a suo figlio.
Quando fu arrivata all’altare, il bimbo, secondo la deposizione giurata di tutti i presenti – fra essi v’era anche il notaio del paese – si rizzò, si mise a sedere sull’altare, prese una candela accesa dal vicino candeliere, si rivolse verso l’immagine del beato Avellino e cominciò a ridere e a scherzare con essa. Il suo corpo era tornato normale, caldo e roseo, lo schiacciamento della fronte era scomparso e la vertebra del collo fuoruscita era tornata in posizione normale. Ritornò a casa camminando sulle sue gambe, come se niente fosse successo.
Possiamo credere che tutto ciò sia avvenuto realmente? O è un inganno? Questo è un problema di ordine generale. Potremmo in linea teorica dubitare di tutto ciò che sappiamo attraverso i libri di storia. Dobbiamo decidere in che misura dar credito ai resoconti coerenti forniti da più persone, disinteressate, pronte a giurare su ciò che hanno visto. Si sono tutti illusi, il medico si è sbagliato? Il bambino non era veramente morto? Ma come è possibile che gravissime fratture scompaiano improvvisamente, come cancellate da una mano invisibile?
Non sono domande accademiche, evocano il senso della nostra esistenza, e non possiamo nasconderle come la polvere sotto il tappeto. Dalle risposte che diamo dipende la nostra visione del mondo, della vita e della morte. Persone che volano, una gamba che ricresce, tessuti necrotici che rinascono, un frate venuto dall’aldilà, un cadavere che torna in vita ecc. Se questo è reale, possiamo guardare ai nostri trattati di medicina, fisica, biologia ecc. come a testi per l’infanzia.
Un corpo perturbante
Perciò è più rassicurante liquidare quei fatti come prodotti dell’immaginazione o truffe, oppure vedervi eccezioni divine che confermano una regola naturale. In entrambi i casi il corpo resta quello che è. Chiuso nella sua bolla storica, preso tra i lacci dello spazio, del tempo e della materia, sottoposto ai vincoli della nascita, della malattia, dell’invecchiamento e della morte. La terza via è percepire il miracolo come l’assoluto perturbante. Il corpo guarito o resuscitato è l’irruzione di un mistero che sgretola la nostra idea di realtà.
Che un uomo voli o che un morto ritorni può accadere nei sogni, non nel mondo reale. Ma forse noi abbiamo scambiato di posto le cose, e ci appare reale quel che è solo un sogno e viceversa. Il corpo potrebbe dire, come Rumi: «non farti ingannare dalla mia forma umana». Perché nella sua trama di atomi lo spirito ricama i suoi disegni. In lui si adunano parole divine. È la valle dove risuonano gli echi dell’anima. Ogni sua cellula raccoglie universi. È figura di ciò che amiamo. Corpo umile e sacro. Disprezzato, tormentato, corrotto, perché siamo ciechi e ancora attendiamo il tocco risanante della luce, di un bagliore che ce ne mostri la trascendenza dimenticata.
Alla prosa di una corporeità ‘scientifica’ il miracolo contrappone un corpo poetico, intriso di simboli sacri. Pensiamo che il corpo abbia bisogno di un’anima che lo animi e non vediamo che l’anima ha altrettanto bisogno di un corpo che la corporizzi. E che, attraverso le metamorfosi della carne, il legame tra loro è irrevocabile e immortale. Il corpo è l’eterno sconosciuto che ci accompagna nelle nostre eterne peregrinazioni. Le tracce lasciate dai miracoli ci guidano verso l’Oltrespazio, l’Oltretempo, oltre il corpo che crediamo di possedere. Rivelano un Corpo magico, crocevia di prodigi. Ma se aprissimo gli occhi vedremmo che la sua esistenza è di per sé un perpetuo, ordinario miracolo.
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