Il noto egittologo Dimitri Meeks ha fatto un importante studio pubblicato con il titolo: Mythes et légendes du delta d’après le papyrus Brooklyn 47.218.84. In questo lavoro il filologo passa in rassegna questo papiro, che fa parte di una grossa collezione, nel quale ci sono informazioni interessanti sui miti e le leggende del Delta.
Il Delta del Nilo costituisce la foce del Nilo sul mare. Il Nilo nasce nell’Alto Egitto fluisce e sfocia nel Basso Egitto, nel Delta del Nilo.
È una immensa spianata senza montagne, verdissima, ma resta per la maggior parte di noi un mistero e anche un luogo che non desta un grande interesse turistico, anche se è scientificamente molto importante.
All’altezza de Il Cairo il Nilo si divideva in due grandi braccia. Uno che puntava verso ovest per sfociare nella città di Rosetta, l’altro girava a est per sfociare a Damietta. Rosetta e Damietta costituiscono sul litorale dei piccoli promontori, che sono il frutto dell’apporto di materiale che la piena del Nilo dava nell’antichità e dà tutt’oggi.
Oggi la piena del Nilo non si verifica più perché la relativamente recente realizzazione delle due grandi dighe di Assuan la hanno impedita. La piena del Nilo faceva innalzare i livelli del fiume e portava il limo sulla terra circostante che così ne permetteva la fertilizzazione, quindi la piena annuale era la base dell’agricoltura. La piena arrivava dal sud del paese, attraversava tutta la valle e poi si gettava nel Mediterraneo. Non era solo benefico, in quanto fertilizzava, ma era un fenomeno massiccio, che distruggeva tutta una serie di parcelle agricole: bisognava ricostruirle ogni anno, quando la piena finiva.
Nell’antichità i bracci del Nilo dovevano essere sette. All’altezza di Menfi il Nilo si divideva in tutti questi bracci. Erodoto (II.17) ci parla ad un certo punto di: ta tou Neilou stomata, “le bocche del Nilo”.
La più occidentale che oggi è perduta è la branca canopica, chiamata così perché sfociava nella città di Canopo, che non esiste più; dei complessi urbani ormai perduti resta però l’isola di Nelson, di circa 150 metri, quindi quasi un atollo, sulla quale durante la campagna napoleonica in Egitto Nelson riparava le navi; resta anche Sais, che è stata la capitale della XXVI Dinastia, che riunificò l’Egitto dopo un periodo di divisione con la cacciata dei faraoni neri, che venivano dalla Nubia.
La seconda bocca corrisponde grossomodo all’attuale corso che oggi sfocia a Rosetta. La terza è quella sebennitica, che attraversata il Delta al centro: nella città di Sebennito esisteva un grande centro di culto alla dea Iside, ove erano originari i re della XXX Dinastia. La quarta è quella fatnitica, la quinta quella mendesiaca, la sesta quella tanitica, la settima era quella pelusiaca, lungo la quale vi erano zone cuscinetto contro le popolazioni dell’est che volevano penetrare in Egitto, che puntavano nel Delta per andare poi al centro del paese.
Nell’antichità più spinta il territorio del Delta era paludoso e ostile, si iniziò a bonificarlo nei secoli, massicciamente a cominciare dal Medio Regno. A est ci sono tuttora delle paludi, che rendevano la penetrazione nel Delta particolarmente difficile.
Mitologicamente il Nilo comincia dalla prima cataratta, anche se gli egiziani sapevano bene che geograficamente inizia in Africa. La prima cataratta è mitologicamente legata a due divinità assai importanti: il dio creatore Khnum e Osiride.
Nella tomba di Nakht (TT 52) vi è la raffigurazione della caccia nelle paludi del Delta del Nilo: ci sono alcuni personaggi che vanno a pesca con un arpione e a caccia di uccelli con una specie di boomerang a forma di serpente. Questa scena di cacciagione è il simbolo della civiltà egizia, rappresentata dal faraone, che va a caccia, cioè mette ordine sopra il caos.
Le paludi del Delta del Nilo sono anche il simbolo di un luogo protetto nel quale ci si può nascondere in quanto è di difficile accesso. Quando Iside fugge per proteggere il figlio Horus da Set, sceglie le paludi dell’Egitto. Gli ebrei quando fuggono dagli egiziani vanno verso est in una zona paludosa che rese difficile all’esercito del faraone il raggiungimento del popolo di Mosè.
Statua naofora di Horsiesi, visir di Nectanebo I (Museo di Berlino n° 21596). La statua, mutila della testa, ha un pendente che rappresenta Maat: è riconoscibile iconograficamente dalla piuma di struzzo posizionata sulla sua testa. Maat è un concetto difficile da tradurre, è un ideale che si addice a una condotta di vita, vivere secondo Maat significa vivere secondo le leggi universali e legali al tempo stesso. il pendente era portato da un visir che aveva l’incarico delle questioni giudiziarie. Nella XXX Dinastia i visir non erano solo due (come nelle epoche più antiche) bensì molti e svolgevano vari incarichi.
Questa statua è interessante per varie ragioni. È in una posizione particolare: in piedi e con le mani e le braccia stringe un piccolo naos, cioè una piccola cappelletta, all’interno della quale si trova l’immagine di una divinità, il dio Osiride. Si tratta di un tipo di statua cultuale che non veniva posta nella tomba del committente ma all’interno dei templi, in quelle zone del tempio dove la maggior parte delle persone non poteva entrare (se non in particolari occasioni), cioè il naos, il luogo centrale del tempio. Il committente che voleva essere presente con la sua persona esoterica ai culti della divinità si faceva costruire una statua che veniva posta nel naos.
In questo caso nel dio si fonde Osiride con una divinità legata ai cicli agricoli originaria del Delta: il dio Angety. Sul tetto di questo naos in miniatura raffigurato nella statua c’è una iscrizione su sei colonne. Su di essa è inciso quanto il faraone Nectanebo I fece riguardo alcuni canali di un braccio del Delta del Nilo (quello centrale). Questi canali servivano a indirizzare l’acqua del braccio all’interno per irrigare le coltivazioni, anche con funzione di bonifica delle zone paludose. Ogni volta che il Nilo faceva la piena, molti canali dovevano essere poi riscavati o fatti di nuovi.
Ecco la traduzione delle sei colonne, in P. Gallo in EVO X (1987):
- “Come è bello ciò che ha fatto il re dell’Alto e Basso Egitto Kheper-ka-ra, il figlio di Ra Nekhet-neb-ef (Nectanebo I) – viva egli eternamente – per la sua madre
- potente, Iside, la madre del dio, signora di Hebit (Iseum, a nord di Samannud)! Egli ha riscavato tutto il sistema idrico
- del nomo di Busiri (area a sud di Samannud) fino al tempio di sua madre Iside, come era già stato fatto per suo padre Osiride-Angety,
- che presiede Hebit. Egli ha effettuato un controllo da tratto di fiume a tratto di fiume
- fino al territorio di Busiri, riscavando …? … in maniera uniforme (?). Il compenso
- che (sua madre Iside) gli ha dato è stato di accrescere la sua forza, aumentare il suo prestigio e porre suo figlio sul suo trono per sempre, in eterno”.
Possiamo vedere da questo testo quanto gestire il Delta, con i suoi canali, le sue paludi, i fenomeni della piena e bonificarlo al fine di coltivarvi era uno degli obiettivi principali dell’azione del faraone.
L’immagine della piena che attraversa l’Egitto e arriva nel Delta è stata descritta anche da Erodoto, ma esistono dei documenti Egiziani molto interessanti. Nel tempio di Dendera, a sud dell’Egitto, dedicato alla dea Hator, conserva un inno alla dea nel quale Hator viene identificata con la divinità responsabile dell’arrivo della piena e quindi dei benefici per il paese connessi. Presentiamo la traduzione, in S. Sauneron, “Une page de géographie physique: Le cycle agricole égyptien” in BIFAO 60 (1960), pp. 11-17. “Sei tu (o Hathor) che sospingi la piena verso Nord (lett. secondo la corrente) nel suo tempo (ossia nel tempo propizio); una piena che è propizia, (una piena) che è pura da ogni catastrofe, facendo in modo che essa inondi le Due Terre (ossia l’Egitto tutto: Alto e Basso Egitto); tu fai in modo che il cielo produca il vento del Nord dietro di essa per contenerla, per fare in modo che l’onda marina non la ingoi; sei tu che fai in modo che le lagune paludose delle foci (dei bracci del Nilo) formino come delle dighe di fronte alla piena, cosicché il mare non la riceva troppo in fretta; sei tu che fai sì che il mare la riceva nel giorno opportuno senza che il suo corso sia ostacolato”.
In questo inno c’è la trasposizione in chiave religiosa di una serie di osservazioni geografiche e metereologiche che gli antichi egiziani avevano archiviato. Come abbiamo letto nell’inno, non solo osservazioni sul vento, ma anche sul za-ta, “figlio della terra”, che in egiziano è anche una denominazione del serpente (che striscia per terra): il za-ta è un punto del Delta limitrofo al mare in cui ci sono lingue di terra solida (non paludosa) che separano la zona paludosa (hone) retrostante dal mare: questo dispositivo naturale permetteva alla piena di stare sufficientemente a lungo dove doveva irrigare, senza esondare fino al mare così da perdersi del tutto e non irrigare.
I problemi dell’archeologia nel Delta sono molti:
- Mancanza di una facies archeologica e ceramica continua dalla protostoria all’epoca greco-romana. In archeologia le ceramiche e i fossili sono fondamentali per la datazione. Nel Delta ci sono delle fasi archeologiche e ceramiche non continue, quindi la datazione è a volte impossibile;
- Caratteristiche dell’ambiente e del clima nel Delta che rendono difficili le operazioni di scavo;
- Caratteristiche dell’edilizia non sacra: ampio uso della tecnica in crudo, quindi si sono deperite nel tempo (un mattone crudo non può resistere a lungo in una zona paludosa).
Quindi abbiamo difficoltà tecniche, necessità di fondi consistenti e di lunghissimi periodi di lavoro, i risultati non sono sempre esaltanti.
Anche se esistono delle magnifiche eccezioni, come la città di Tanis. È un sito che è riuscito a sfuggire alla distruzione operata dal tempo grazie alla presenza di strutture in pietra e di grandi dimensioni. Divenne la capitale di un grande principato libico, quindi venne preservata, ma i romani saccheggiarono diverse città del Delta, tra cui Tanis, per trasportare i beni locali in Alessandria d’Egitto e in Italia sempre con un intento decorativo ma anche cultuale (esportare i culti verso altre zone).
Tutti i siti archeologici del Delta sono tell, cioè collinette archeologiche prodotte nei secoli con la costruzione progressiva di infrastrutture. Il Delta ha un territorio pianeggiante: quindi quando gli archeologi trovano delle colline c’è buona probabilità che sotto ci siano resti archeologici. Anche Tanis è un tell. Precisamente è un insieme di colline archeologiche formate da resti di cocci: a Tanis è stata ritrovata una gigantesca quantità di vasellame[1].
Il tempio principale di Tanis era dedicato a una versione settentrionale di Ammone, che doveva competere con quella del tempio di Karnak, a sud, nella città di Luxor.
Le tombe di Tanis sono capolavori assoluti, erano tutte sepolte, come l’intero sito di Tanis, sono stati gli archeologi a restituire tutto il sito alla luce, dal 1939.
Un altro sito impressionante per la grandezza e i reperti ritrovati è Tell Basta (Zaqariq). Era un grande centro religioso dedicato in particolar modo al culto della dea Bastet, che si presenta con il simbolo del gatto. Un ulteriore sito che si è salvato è Behbeit el-Hagar, quello che resta del famosissimo e grande tempio della dea Iside nel Delta centrale, nella antica città di Iseum (Hebyt).
Nel processo di riscoperta dei siti non solo del Delta ma di tutta la valle del Nilo esistono due modalità. Innanzitutto attraverso una via induttiva, che parte dal terreno, quindi si fa una prospezione archeologica, si identifica un tell nel quale si ipotizza che ci possa essere qualcosa di sepolto, si notano delle evidenze come dei cocci di ceramica in superficie, ma non solo, si delimitano delle aree, si scava e si trovano testimonianze archeologiche. Sulla base di queste si fanno delle ricerche in biblioteca e, incrociando dei dati, si giunge alla identificazione e alla datazione del sito. Esiste poi un metodo deduttivo: lo studioso si interessa di una particolare area, fa delle ricerche in biblioteca documentandosi su tutto ciò che esiste su questa area, quindi sulla base di queste informazioni si cerca qualcosa sul terreno sperando che gli indizi documentali possano produrre qualche dato archeologico negli scavi. Certe volte questi due sistemi si accavallano: in una determinata area alcuni studiosi trovano con il metodo induttivo, altri trovano ulteriori dati mediante il metodo deduttivo.
La città di Ra-Nefer era un piccolo centro urbano del Delta centrale di cui abbiamo molte notizie, ma del quale si erano perdute le tracce. La riscoperta archeologica di Ra-Nefer, relativamente recente, è il prodotto di questi due metodi, ma certamente un elemento importante è stato quello del metodo deduttivo.
Facendo una ricerca in biblioteca i dati, che possono emergere per identificare un’area sul terreno, si trovano in questi ambiti:
- Processioni geografiche;
- Informazioni da iscrizioni su statue, stele, blocchi;
- Papiri e monete (monete dei nomoi, le suddivisioni del territorio egiziano). La monetazione egiziana comincia intorno alla XXX Dinastia e all’inizio non è legata al commercio ma alla necessità di pagare lo stipendio ai soldati greci che venivano in Egitto a combattere (in Grecia si era superato già da tempo il baratto, i greci quindi volevano essere pagati in moneta). Poi il sistema monetario si è esteso ad altri ambiti. I papiri e le monete aiutano soprattutto nell’epoca più o meno tarda;
- Fonti scritte greche e arabe (dall’epoca tolemaica fino alla dominazione araba dell’Egitto);
- Dati archeologici catalogati (ove possibile).
Le processioni geografiche sono in testi conosciuti sin dall’Antico Regno i quali testimoniano determinate cerimonie legate all’inizio ai templi funerari legati a una piramide (grandi sepolture dei sovrani dell’Antico Regno). Grossomodo dal VIII Dinastia queste processioni acquisiscono un autentico valore geografico: i luoghi di cui si parla sono legati a luoghi geografici ben precisi. Alto e Basso Egitto erano suddivisi in nomoi (detti anche sepat), cioè distretti amministrativi. Questi distretti facevano delle cerimonie caratteristiche. Con il tempo le processioni geografiche acquisiscono un valore simbolico perché si legano strettamente ai templi, che erano centri non solo religiosi ma anche amministrativi in quanto acquisivano la ricchezza agricola e la ridistribuivano agli abitanti del territorio, una parte era destinata invece a nutrire le divinità.
L’idea di rappresentare questi territori con prodotti specifici da offrire alla divinità principale del tempio si associa a figure ermafrodite che, durante la processione nel tempio, portano vassoi ricolmi di offerte.
Una delle prime testimonianze di queste processioni geografiche è la Cappella bianca di Sesostri I, poi in epoca tarda e tolemaica sono testimoniate maestose processioni soprattutto nei templi di Edfu e Dendera.
Nella Cappella rossa di Hatshepsut nel tempio di Karnak vi è la prima attestazione di Ra-Nefer all’interno delle iscrizioni delle processioni geografiche. Ra-Nefer in questa sede non è considerata un distretto amministrativo indipendente, ma viene ancora indicata come un pehu, ossia una zona umida e acquitrinosa situata nel punto in cui i bracci del Nilo terminano nelle hone (paludi), la quale non è adatta alle coltivazioni agricole, ma fornisce prodotti della caccia e della pesca che completano l’economia agricola dell’area.
Un’altra testimonianza di Ra-Nefer la troviamo in un’oasi, quella di Kharga, nel tempio dedicato a una forma locale di Ammone a Hibis. Si tratta sempre di una processione geografica, nella quale, questa volta, Ra-Nefer viene indicata come un distretto indipendente. Ancora il toponimo non compare come città bensì come distretto.
Abbiamo poi la menzione di Ra-Nefer nelle processioni geografiche del tempio di Edfu e anche di quello di Dendera.
Abbiamo altre testimonianze provenienti da varie stele. La stele di Piankhy – Museo del Cairo (JE 48862) alla riga 114. Inoltre la statua del Louvre – E 7689 – provenienza ignota, che recita: “Un’offerta che il sovrano fa ad Osiride-mummia-venerabile, dio grande, signore di Ra-Nefer: 1000 di pane, birra, buoi, volatili, alabastro, tessuti pregiati, incenso, unguento, libagioni, vino, latte, offerte, sostanze, e ogni cosa buona pura e dolce …”. E così via.
Le divinità venerate a Ra-Nefer erano nove (Enneade): Osiride-mummia-venerabile, Horus, Iside, Sobek, Amsety, Hapy, Duamutef, Qebessenuef, Anubi. Però le divinità principali erano due:
- Sobek: dio con aspetto di coccodrillo, caratteristico delle aree umide e acquitrinose (es. Fayum). A Ra-Nefer legato ai titoli sacerdotali mHy e sm; in epoca romana diviene il simbolo del distretto sulle monete;
- Osiride nelle due versioni: Osiride-mummia-venerabile e Osiride Khes (tradotto: il Debole).
Ci sono state varie ipotesi sulla collocazione di Ra-Nefer, tutte nel Delta centrale. Oggi si pensa che stia a Tell Tabilla. Riguardo quest’ultima collocazione, abbiamo alcune conferme: quando si scoprì del materiale che parla di Ra-Nefer proveniente da Tell Tabilla. Un blocco da Tell Tabilla (ASAE XIII) scoperto da Edgar, ispettore in capo del Basso Egitto, agli inizi del ‘900: presenta parte di una scena che vedeva affrontati l’Osiride Khes di Ra-Nefer ed un sovrano, molto probabilmente Sheshonq I o Takelot II. Inoltre abbiamo una statua da Tell Tabilla al Museo del Cairo JE 40041 – Epoca Tarda. Scoperta nel 1908 da Hussein Abdallah durante una survey a Tell Tabilla. Identificata in una tomba in mattoni crudi assieme a uno scarabeo, alcuni amuleti a forma di Osiride, una ascia e un elmo di tipo greco. Questa statua ci dice che in loco si venerava Osiride signore di Ra-Nefer.
Nel 1988 c’è stato lo scavo di salvataggio dello SCA (Supreme Council of Antiquities) nell’area sud-ovest per contrastare scavi clandestini e sottrazione di oggetti da parte dei contadini; ritrovamento di numerosi oggetti provenienti da contesti funerari.
Tra il 1999-2003 c’è stato lo scavo dell’università di Toronto (Canada) in collaborazione con lo SCA; durante le varie campagne sono state indagate l’area della necropoli a sudovest, l’area del moderno depuratore e porzioni del Tell principale.
Marco Calzoli
[1] Nell’archeologia greca per vedere un tempio o un’altra struttura di solito si sale, invece nel Vicino Oriente, anche in Mesopotamia, di solito si scende: i livelli della civiltà si sono accresciuti nel tempo per azione delle sabbie orientali che tutto coprono nel giro di poco, pertanto i resti archeologici, venuti di nuovo alla luce grazie agli scavi, stanno sotto il livello del terreno della civiltà attuale.
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