Leggo che un monastero benedettino di Perugia è al centro di una cruciale polemica. Pare infatti che le monache che vi risiedono abbiano rifiutato di passare dall’adorazione del Santissimo Sacramento, cui sono legate da antica consuetudine, a quella del Nuovo Santissimo Sacramento, ossia del Divin Vaccino, come previsto dalle nuove disposizioni ecclesiastiche.
A nessuno possono sfuggire le implicazioni metafisiche di un tale rifiuto, il quale giustifica il sospetto di ateismo, eresia, apostasia, blasfemia e forse possessione diabolica. Accuse per cui, in altri tempi, le monache in questione sarebbero incorse nei giusti rigori dell’Inquisizione.
A tali crimini bisogna aggiungere una colpa di carattere sociale, cioè l’aver esposto col loro atteggiamento irresponsabile l’intera città al rischio di un contagio, alla malattia e alla morte. Anche in un senso strettamente religioso questo contraddice ogni precetto cristiano di amore del prossimo.
Assolutamente irrilevante è il fatto che tali monache vivano in regime di stretta clausura, senza alcun contatto con soggetti esterni. Trascurabile è pure che nessuna di loro abbia mai mostrato il minimo segno di contagio. V’è infatti un principio di cautela che va sempre rispettato e che si può riassumere così: “la prudenza non è mai troppa”.
Inoltre – forse è questo l’aspetto più grave dell’intera vicenda – il loro rifiuto ha un evidente carattere di insubordinazione. E questa inaccettabile disubbidienza alla legge viene proprio da religiose che dovrebbero umilmente chinare il capo e sottomettersi. Quale esempio danno ai credenti e alla nazione? Che modello sono per le anime? Per i bambini?
Dove finirebbero di questo passo la disciplina, l’ordine? Trovo perciò del tutto legittimo, anzi doveroso, che nei confronti di queste monache ribelli sia stata disposta un’ispezione apostolica che, mi auguro, valuterà con la giusta severità il loro fallo e provvederà a un’idonea punizione.
So che già si prevede di smembrare questa pericolosa cellula sovversiva, che si oppone persino alla volontà del Santo Padre, trasferendo le monache colpevoli in altri monasteri. Ma spero che nei confronti della badessa ottuagenaria, evidente cervello di questa sommossa, si prendano misure più radicali. Troverei opportuno anche un esorcismo collettivo, come si fece nel XVII secolo con le religiose di Loudun possedute dal demonio.
Mi lascia perplesso però la dichiarazione della Curia, secondo cui tra il comportamento sacrilego di queste monache e l’ispezione che è stata sollecitata a loro carico non c’è nessuna correlazione. Confesso anzi che questa espressione – nessuna correlazione – è per me fonte di una sempre più viva preoccupazione.
Sono infatti stato abituato fin dall’infanzia a cercare le correlazioni che legano tra loro fatti fisici, logici o morali. A pensare vi debba essere una correlazione tra il mangiare troppo e l’ingrassare, il rispondere male a mio padre e prendere uno scapaccione, tra il porre delle premesse e trarne una conclusione ecc.
Oggi invece, sempre più spesso, sento ripetere che “non c’è correlazione”. Abituato a trarre deduzioni logiche mi stupisce sentir spiegare le cose con una mera negazione. In questi casi, infatti, non si indica la reale correlazione tra un evento e l’altro. Ci si limita a dire che “non c’è correlazione”.
Pare così che le cose nascano dal nulla, come per magia, senza un motivo, oppure per un motivo che non si può o non si deve conoscere. E questo, ammettiamolo, se diventasse una prassi consolidata nel nostro modo di ragionare, potrebbe avere effetti sconcertanti.
Gli avvocati, difendendo assassini colti in flagrante, potranno sostenere che fra il loro assistito e la morte della vittima non c’è correlazione. I medici, dopo aver ammazzato qualcuno a causa della loro imperizia, potranno negare ogni responsabilità dicendo: “non c’è correlazione”.
Allo stesso modo, tra la rovina di un Paese e il degrado della sua classe dirigente non c’è correlazione. Un uomo può mettere incinta una donna e dire che non c’è correlazione. E tra l’aumento dei bacilli e quello degli imbecilli si potrebbe trovare una correlazione, se solo non sapessimo a priori che non c’è.
“Non c’è correlazione” meriterebbe di diventare il nostro motto nazionale. Se noi italiani avessimo un unico grande stemma di famiglia, potremmo scriverci “Non c’è correlazione”. Forse questo proverebbe una correlazione con la nostra stupidità. Ma nessuno la potrebbe dimostrare.
Quindi:
Se alle monache la Curia
Per la loro grave incuria
Fa apostolica ispezione,
Qui non c’è correlazione!
Questo rende ancor più grave e incomprensibile il diniego delle monache di Perugia. Per colpa loro qualcuno potrebbe pensare che vaccinarsi sia pericoloso, mentre è chiaro che:
Per la logica attuale
Se il vaccino fa star male
È fatal combinazione,
Ma non c’è correlazione!
A questo punto, non resta che aspettare un nuovo e opportuno decreto che renda anche il correlazionismo, al pari del negazionismo e del revisionismo, dell’omofobia e dell’antisemitismo, un reato perseguibile. Nell’attesa, si spera che l’essere correlazionista, come l’esser complottista o terrapiattista, diventi almeno un marchio d’infamia.
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