L’attenta conservazione di paesi preindustriali in Transilvania fa parte di quell’Europa migliore a guardia delle vestigie della sua diversità.
Fonte: Guardian.co.uk
Di Simon Jenkins
1 ottobre 2009
Tra il crollo del regime di Ceauşescu nel dicembre 1989 e la primavera del 1990, mezzo milione di nativi cosiddetti “sassoni” se ne andarono dalla Romania verso la Germania Occidentale. Fu la più sorprendente, e meno nota, migrazione etnica nell’Europa moderna.
Nelle sette cittadine e nei 250 paesi della Regione Sassone, nel Sud della Transilvania, non meno del 90% della popolazione di lingua tedesca fece i bagagli lasciando alla memoria otto secoli di storia. Si diressero a Ovest, verso un Paese che pochi di loro conoscevano, allettati dal famoso discorso del “ritorno in patria” del politico tedesco Hans-Dietrich Genscher.
L’esodo lasciò dietro di sé un paesaggio disabitato della dimensione del Galles, centinaia di miglia quadrate di boschi ondulati di faggi, orsi, pascoli lussureggianti e fiori selvatici, antichi luoghi della leggenda di Dracula. Questo paesaggio è punteggiato di villaggi medievali recintati, con chiese luterane, scuole, case decorose, fienili e piccole aziende agricole; le loro tradizioni che richiamano alla mente gli olandesi della Pennsylvania. Per 800 anni, da quando furono invitati dai re magiari per formare un baluardo contro l’infedele, i Sassoni della Transilvania mantennero le loro tradizioni germaniche. Parlavano un tedesco di alto livello che si diceva fosse simile al vecchio lussemburghese. Abbracciarono la Riforma e resistettero al duro comunismo di Ceausescu.
Tutto questo finì bruscamente nel 1990.
Mentre la gente se n’è quasi tutta andata, i villaggi rimangono, per lo più colonizzati dagli zingari romeni in rapida espansione. Si stima che circa un milione occupino questa parte della Transilvania, facendo sì che, un giorno, questa sarà l’unica provincia a maggioranza gitana.
Il risultato è la più emozionante e sconfortante sfida culturale in Europa.
Il villaggio di Archita si trova in una perduta valle dei Carpazi nei pressi della città del XVII secolo Sighisoara, le cui mura medievali e le nove torri si erigono nel cuore della regione di Dracula.
La chiesa fortificata del villaggio si erge nel centro come un castello, circondata non da una, ma da due alte mura con le feritoie dei moschetti e le postazioni degli arcieri ancora intatte. Fu costruita per proteggere gli abitanti dalle scorribande dei Tartari ed ha ancora la soffitta dei prosciutti con i ganci numerati per ogni casa, un’assicurazione contro un improvviso assedio. L’interno mostra le sue gallerie, il pulpito protestante e la volta barocca. Il cimitero della chiesa è ricoperto di alberi di mele e susine incolte.
Dalla sgangherata torre della chiesa, la geometria del villaggio arriva fino ai boschi circostanti.
Ampie strade, case color bianco calce a due piani riflettono i lotti identici assegnati ad ogni famiglia sassone nel Medioevo. Gli archivi indicano un continuo possedimento familiare dal XIII secolo al 1990. Solo tre Sassoni sono rimasti.
Il municipio del XVIII secolo e la scuola di Archita sono caduti nell’incuria. Poiché le famiglie impiegavano pochi servitori non ci sono case povere o sobborghi. Non c’è acqua o rete fognaria e nemmeno strade asfaltate. Il pozzo del villaggio e alcuni sparuti cavalli e calessi sono guardati da giovani zingari.
Per i nuovi abitanti di questi villaggi, gli scomparsi Sassoni rappresentano una cultura aliena. Ma i loro fantasmi volteggiano ancora fra le case che nella maggior parte dei casi sono rimaste inalterate da quando, da legno, furono convertite in pietra nel XVII secolo. Sono come le residenze delle località collinari di villeggiatura nell’India Britannica, che mantengono ancora l’atmosfera del luogo.
I fantasmi si soffermano anche nella campagna intorno, ironicamente preservata dagli ordini di Ceauşescu che proibiva ogni sviluppo oltre i confini degli insediamenti esistenti.
Ciò produsse una delle più efficienti politiche ambientali in Europa tutelando miglia di prati e foreste, ora vulnerabili allo sfruttamento.
Le strade sono già ingombrate di boscaioli che trasportano con carri carichi di legname proveniente da alberi di noce, faggi e querce.
L’UNESCO ha dichiarato alcune delle chiese Sassoni patrimonio mondiale, come fece anche il governo romeno, ma non i villaggi. Senza i soldi per le ristrutturazioni e senza manutenzione la designazione dell’UNESCO vale poco.
C’è quindi una corsa per salvare il paesaggio preindustriale più a rischio in Europa dai nuovi arrivati, colpiti dalla povertà e comprensibilmente ansiosi di modernità. Un giorno questi villaggi saranno valorizzati tanto quanto quelli delle province dell’Umbria, ma fino ad allora dovranno passare attraverso la valle oscura di una possibile morte.
La risposta del mondo esterno alla situazione della regione Sassone è incerta.
Il denaro non arriva. Alcune famiglie che erano partite sono ritornate, alcune non felici in esilio, altre cosiddette di “sassoni estivi” trascorrono le loro vacanze nella loro precedente patria, speranzose di capitalizzare il loro denaro grazie all’aumento dei prezzi immobiliari.
Ho incontrato un giovane tedesco, Sebastian Bethge, nel teatrale villaggio collinare di Apold, impegnato a restaurare da solo l’interno della chiesa con denaro guadagnato a Berlino e altrove.
Un prete di passaggio aveva appena detto una messa luterana per un gruppo di nove persone, quattro romeni, tre ungheresi e due tedeschi.
L’Unione Europea sta portando qualche infrastruttura in alcuni dei villaggi, proprio mentre essa devasta i suoi mercati del latte e del luppolo. L’Unesco ha le sue nomine. Il Transylvania Trust, una fondazione, ha ristrutturato il castello che fu la casa del romanziere Miklos Banffy, la cui trilogia transilvana evoca l’altro passato di questa regione, quello ungherese.
Il Principe di Galles ha comperato e restaurato due case in un villaggio sassone.
Ma l’impegno internazionale si basa maggiormente sulla sensibilizzazione pubblica, redigendo liste, tenendo conferenze e restaurando un edificio occasionale da mettere in mostra.
L’iniziativa imprenditoriale più notevole è la fondazione MET (Mihai Eminescu Trust) con sede a Londra, per lo più sostenuta dalla fondazione American Packard.
Il suo concetto di “villaggio completo” è fatto su misura della Regione Sassone, avendo messo in piedi più di 600 progetti durante l’ultimo decennio. Un importante cittadino è impegnato in ciascun villaggio a sentire dagli abitanti locali, ora per lo più romeni e zingari, che cosa vorrebbero venisse restaurato se fossero disponibili i soldi.
Questo è un lodevole esempio di conservazione. Il lavoro viene eseguito da appaltatori locali che si avvalgono di 130 operai edili esperti nella restaurazione di chiese ortodosse e luterane, scuole, case e fienili. Niente è troppo piccolo, dai tetti dei fienili riparati e le facciate delle case re-intonacate, alle proprietà vuote trasformate in pensioni. Le pensiline delle fermate dell’autobus in plastica e i ponti di cemento sono stati sostituiti da strutture in legno.
Una vera iniziativa minimalista la ebbe uno zingaro nel villaggio di Foresti, che ha chiesto ed ottenuto un tetto in tegole sopra un orrenda baracca che condivideva con sua moglie, due cavalli ed una montagna di letame. Proprio accanto c’è una chiesa evangelica restaurata, il suo interno soleggiato è uno dei più sereni di qualsiasi altra chiesa che io conosca.
Nel villaggio di Viscri del XIII secolo, la fondazione MET ha intrapreso 160 restauri, condotti dal suo responsabile locale Caroline Fernolend, vincendo il premio europeo per il miglior lavoro di conservazione. Sono state installate le fogne ed è stata costruita una nuova fornace per produrre mattoni fatti a mano, gestita da un artigiano del posto. La fondazione sta anche ripristinando alberi di mele e sostituendo una piccola ferrovia a scartamento ridotto.
Questi lavori di conservazione non sarebbero possibili senza in consenso dei locali o in assenza di mano d’opera locale specializzata. Se questa fosse importata da fuori, causerebbe risentimento e ostruzionismo. La causa principale dell’esodo dei Sassoni fu la mancanza di risorse dei moderni benefici della civiltà, ciò che non può essere negato a suoi successori.
Tuttavia la conservazione di culture contadine e di paese attraverso l’Europa dimostra che l’antico e il moderno possono coesistere col vantaggio per entrambi.
L’indifferenza da parte di altri continenti per il passato è tale che questi sopravvissuti, un giorno, verranno rispettati, valorizzati e commemorati.
I Sassoni della Transilvania sono annoverati, assieme agli Amish Mennoniti, ai Gallesi della Patagonia ed ai Tedeschi del Volga, fra le comunità europee dislocate. Sono durate incredibilmente per otto secoli. Lasciando intatte testimonianze di una cultura distinta, nonché integrante della storia europea.
Se la moderna Unione Europea non può salvaguardare tali vestigia della sua diversità, allora non è degna di questo nome.
Traduzione a cura di Gian Franco SPOTTI