Esiste un piano demografico mondiale che da decenni viene tenacemente perseguito a livello internazionale dai potentati finanziari e burocratici che promuovono le immigrazioni incontrollate. Se vi obiettano che questo è solo un “complottismo” da strapazzo, ricordate che esistono uno studio e un programma dell’Onu – con la sua malsana appendice denominata UNHCR – che appositamente pianificano e propongono la redistribuzione della popolazione mondiale, con particolare riferimento all’Italia e all’Europa.
L’idea di fondo è quella di riequilibrare la popolazione fra i vari continenti, considerati alla stregua di vasi comunicanti, allo scopo di risolvere le varie crisi che affliggono intere aree quali Africa e Sud America o Asia, per favorire ovunque la crescita e un incremento dei consumi di massa e, di conseguenza, riversare la popolazione in eccesso rispetto alle condizioni generali di sviluppo di quelle aree in uno spazio europeo, utilizzando il pretesto della necessità di invertirne la decrescente curva demografica.
Per questo, il problema della natalità (peraltro combattuta con le politiche abortiste) e il mantra assillante e ipocrita dell’universalità dei diritti umani vengono sbandierati e agitati come una clava contro chiunque si opponga alle narrazioni dei no-borders.
Ovunque, in centinaia di convegni, talk show, dibattiti televisivi e, in generale, attraverso la comunicazione mediatica, vengono rilanciati gli slogan propagandistici del dogmatismo sinistroide e del cosmopolitismo buonista che ribattono ossessivamente sulla retorica dei diritti umani e sulla condanna di ogni atto o espressione che possano apparire xenofobi, razzisti, discriminatori, intolleranti o incitanti alla violenza contro gli immigrati. E’ un incessante lavaggio del cervello, insopportabile e intollerante, che ricorre a uno stucchevole concentrato di ipocrisia, di politicamente corretto, di gesuitica carità e di terzomondismo antioccidentale, per demonizzare l’uomo bianco e qualsiasi posizione che si contrapponga alla deriva immigrazionista.
Per costoro la necessità dell’accoglienza e l’abbattimento dei muri, che si imporrebbero per ragioni umanitarie, si traducono nella visione, strategica e ideologica, di un continente senza frontiere che, consentendo una circolazione globale delle persone, si aprirebbe al nomadismo mondialista, allo sradicamento totale e alla sostituzione dei popoli, ammantando di buoni sentimenti il futuro distopico di un’umanità indifferenziata, promiscua e imbastardita.
Si tratta di una visione condivisa e sostenuta da quanti, in Italia, si battono per “rimanere umani”, ma per fare questo vorrebbero ridurci tutti ad automi meticci. L’elenco dei soggetti è sterminato e vi fanno parte istituzioni, politici, attori, giornalisti, cantanti, comici, preti, nani e ballerine e tutto l’associazionismo cattocomunista e immigrazionista che ha trovato un filone d’oro nell’immigrazione senza freni e che si identifica con Arci, Cgil, Cisl, Ui, Caritas, Migrantes, Cna, Legacoop, ecc. A questi, ultimamente, s’è aggiunto un redivivo Romano Prodi che, a Modena, ha presieduto una kermesse di tre giorni, con tavole rotonde e conferenze, per dibattere di tematiche sull’immigrazione e per teorizzare un presunto “diritto al viaggio” presentato nella coniugazione, pretestuosa e capziosa, di tre verbi “partire, arrivare, restare”.
Accettare il dialogo con questi soggetti è quanto mai sbagliato e nocivo.
Se si osserva con attenzione, ogni confronto è già viziato in origine e parte dal presupposto di dover eliminare ogni ostacolo all’immigrazione, di doversi battere contro ogni presunta xenofobia o razzismo e di dover agevolare l’integrazione dei nuovi arrivati. Il piano sul quale ci si incontra è già ampiamente sbilanciato dalla parte dei pretesi diritti dei “migranti”, liberi appunto di partire, arrivare e restare, come se tutto fosse loro dovuto e come se, in realtà, al diritto al viaggio non corrispondesse il dovere di chiedere il permesso di essere accolti, secondo le regole del diritto internazionale e secondo le leggi e le tradizioni della Nazione in cui si approda.
Un discorso e una impostazione basati esclusivamente sui diritti di chi arriva, tralasciando subdolamente i diritti di chi su quella terra vive da secoli e detiene per questo un diritto atavico e naturale ad accogliere o meno chiunque si presenti ai suoi confini, è un discorso ingannevole e inaccettabile.
Il discorso di chi antepone sempre il diritto di chi arriva è un discorso arrogante che disconosce implicitamente il diritto dei residenti.
Invece, è esattamente da questo diritto che bisogna partire, rovesciando completamente l’impostazione di base di ogni confronto, azzerando ogni obiezione e contrapponendo alla logica della promiscuità quella della identità, della tradizione e della differenza.
Ancora prima di qualsiasi giustificazione economica, va affermato che non esiste alcun dovere, giuridico o morale, ad accogliere tutti e non esiste alcuna motivazione che possa imporsi alla volontà di un popolo di continuare a vivere e a crescere nella propria terra, vantando una predilezione nella supremazia e nella continuità del proprio sangue e della propria stirpe.
Neppure è più accettabile l’astuzia concettuale di chi finge di non distinguere fra singoli soggetti e masse, fra chi fa propaganda sfruttando immagini tragiche o drammatiche storie individuali per imporre regole che, potenzialmente applicate a milioni di persone, travolgerebbero ogni assetto sociale e distruggerebbero un’intera comunità.
Al diritto di chi cerca condizioni migliori si contrappone, come rovescio, il diritto di chi non può (o non vuole) fornire opportunità che, per la loro scarsità, rappresentano un patrimonio limitato e prezioso, da conservare e non distribuire, per preservare il futuro delle proprie generazioni.
L’autoconservazione di una etnia, quantunque fosse frutto solo di puro egoismo, non può essere sanzionata da alcuna legge. Tanto più quando si traduce nel diritto all’autoconservazione di un popolo sulla propria terra.
Al prodiano e prepotente “diritto al viaggio” opponiamo il naturale e sacrosanto “diritto al rifiuto e al respingimento” di coloro che hanno costruito la loro storia col sangue e pretendono di determinare e di scegliere il loro futuro senza intrusi.
Enrico Marino
Foto copertina Web
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