Al momento della sua elezione a Primo Ministro, Mussolini di mafia sapeva ben poco, ma gli fu sufficiente un viaggio in Sicilia per capire che a controllare la vita politica ed economica dell’isola era “l’onorata società”.
Il prefetto di Palermo gli parve rassegnato “In Sicilia il vero fascismo non è attecchito e non attecchirà proprio perchè l’opera di repressione del socialismo, che nella penisola viene svolta dagli squadristi, qui viene fatta dalla mafia”.
A queste parole, Mussolini andò su tutte le furie, non poteva rassegnarsi allo status quo e non gli piacquero assolutamente i notabili locali col loro atteggiamento distaccato e superiore che non sapeva né di patriottismo, né tanto meno di fascismo ma che trovò “gattopardesco”, una società radicata e unita non da veri valori, ma solo dalla casta di provenienza. Animato da tale sensazione, il 9 maggio 1924 durante il suo soggiorno, in un pubblico discorso di fronte a una folla attenta e silenziosa fece una promessa ai siciliani:
“L’Italia fascista debellerà la mafia. Io non sarò il primo ministro della malavita (…)ebbene vi dichiaro che prenderò tutte le misure necessarie per tutelare i galantuomini dai delitti. Non deve essere più tollerato che poche centinaia di malviventi soverchino, immiseriscano, danneggino una popolazione magnifica come la vostra.”
Così appena tornato a Roma convocò a palazzo Chigi i vertici della Polizia: cercava un uomo nuovo, coraggioso, capace, inflessibile, esperto di cose siciliane senza essere siciliano e lo individuò in Cesare Mori, ultimo prefetto di Bologna prima dell’avvento dei fascisti.
La sua persona non lasciava adito a dubbi si era dimostrato un funzionario integerrimo, con una carriera ricca di meritate promozioni due delle quali ottenute proprio in Sicilia. Aveva avuto la capacità e il coraggio di opporsi agli squadristi di Balbo e per questo era stato messo a riposo dopo la marcia su Roma.
“Voglio un soldato non un politicante; spero sia altrettanto duro con i mafiosi come lo è stato con i miei squadristi bolognesi” sentenziò Mussolini nel ratificare la sua nomina contro chi non caldeggiava questa scelta.
Pochi giorni più tardi, era l’inizio di giugno del 1924, Mori partiva per la Sicilia con in tasca un telegramma col quale il Duce gli riconosceva tutti i poteri per sconfiggere la mafia.
“Vostra Eccellenza ha carta bianca. L’autorità dello Stato deve essere assolutamente,ripeto assolutamente, ristabilita in Sicilia. Se le leggi attualmente in vigore la ostacoleranno non costituirà un problema, noi faremo nuove leggi”
Cesare Mori divenuto prefetto di Palermo, con poteri straordinari su tutta l’isola, fece applicare leggi speciali, sequestrare armi, riaprì processi sospesi, e fece condannare i mafiosi a pene durissime, nessuno fu risparmiato per far capire a tutti che si faceva sul serio e ridare fiducia alla popolazione.
Mussolini gli fu sempre accanto, approvando e propagandando i successi del “Prefetto di Ferro”.
Circa tre anni dopo il 27 maggio 1927 pronunciò un lungo discorso a Montecitorio per celebrare le sue vittorie:
“…ecco il bollettino del prefetto Mori al quale mando un saluto cordiale. È il bollettino complessivo per tutta la Sicilia. Nel 1923 696 abigeati; nel 1926, 126. Le rapine da 1216 sono scese a 298 . Le estorsioni da 238 a 121. I ricatti da 16 a 2. Gli omicidi da 675 a 299. I danneggiamenti da 1327 a 815. Gli incendi dolosi da 739 a 469. Qualcuno mi domanderà quando finirà la lotta contro la mafia? Finirà non solo quando non ci saranno più mafiosi, ma soltanto quando il ricordo della mafia sarà scomparso definitivamente dalla memoria dei siciliani.”
Cosa Nostra aveva subito un duro colpo, molti esponenti mafiosi erano stati arrestati e condannati, altri erano stati mandati al confino e molti altri ancora si erano rifugiati negli Stati Uniti, rafforzando i legami con la mafia italo-americana e gettando le basi per quel rapporto con gli alleati che si conclamò quando oramai le sorti della guerra per l’Italia si erano messe al peggio.
La Sicilia fu scelta come testa di ponte per lo sbarco in Italia sfruttando proprio i rapporti con la mafia italo-americana. Gli americani fecero leva sul dente avvelenato che i mafiosi avevano ancora contro il Fascismo proprio per le sconfitte inflitte dal prefetto Mori e la CIA contattò alcuni importanti boss mafiosi in carcere negli Stati Uniti, offrendo loro la libertà in cambio di un appoggio al momento dello sbarco. Furono i “carusi “con la lupara a raccogliere informazioni su postazioni e difese: lavoro essenziale visto che a Washington si erano accorti che mancavano mappe civili e militari dell’isola, studi sul profilo delle coste e sulla profondità dei fondali. Coppole autorevoli come Vito Genovese, Lucky Luciano, Vincent Mangano e Frank Costello si dettero da fare. La mafia utilizzò anche i pescherecci in spola col Nord Africa.
La mafia, sconfitta dal fascismo, covava sotto la cenere in attesa di tempi più favorevoli e che purtroppo mantenesse un suo controllo sulla società siciliana sembra confermato dalle vicende dell’estate del 1943, in occasione dello sbarco.
I mafiosi rimasti in Italia rintanatisi nei paesini in attesa di tempi migliori, accolsero “i liberatori” a braccia aperte, organizzando sistemazione logistica, fornendo utili informazioni e per contropartita gli Alleati affidarono molte cariche, nel governo provvisorio della Sicilia dopo lo sbarco, a noti mafiosi: Calogero Vizzini fu nominato sindaco di Villalba, Giuseppe Genco Russo divenne sindaco di Mussomeli, Vincenzo Di Carlo fu nominato responsabile dell’Ufficio per la requisizione del grano, ecc. tutto questo diede nuova e sicura autorità ai mafiosi, oltre a concrete possibilità di arricchimento e ristabilì in breve tempo la loro autorità e supremazia,il potere…
Il resto è storia recente, quello che ha fatto la democrazia per sconfiggere la mafia e i risultati che ha ottenuto sono sotto gli occhi di tutti
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