Questo, diviso in tre parti, è il testo della conferenza da me tenuta domenica 1 luglio 2018 nell’ambito del festival celtico triestino Triskell. Chiaramente, poiché essa si rivolgeva a un pubblico non politico, le tematiche trattate non sono esplicitamente politiche, però credo sia altrettanto chiaro a tutti voi che il discorso sulle origini della nostra civiltà e della nostra identità europea è politicamente importante, non solo, ma lo è ancora di più capire il perché il ruolo del nostro continente nell’incivilimento umano in età antica sia ingiustamente minimizzato in favore di discutibili suggestioni orientali e mediorientali.
Due anni fa, se qualcuno di voi era presente a questo appuntamento annuale, avevo tenuto una conferenza parlando delle sorprendenti scoperte che ci ha riservato il circolo megalitico di età neolitica di Stonehenge. Allora vi feci una promessa, poiché mi è parso che l’argomento abbia suscitato parecchio interesse in quelli che fra voi erano presenti: estendere l’analisi al megalitismo delle Isole Britanniche nel loro complesso, dal momento che non era concepibile che Stonehenge fosse un’isola di civiltà sperduta in un mare di barbarie. L’anno scorso, come sapranno quelli che fra voi erano presenti, la promessa l’ho mantenuta, e abbiamo visto insieme quanto sia complesso e affascinante il fenomeno megalitico in queste isole. La tomba neolitica irlandese di Newgrange, ad esempio, che è probabilmente il più antico edificio al mondo giunto fino a noi praticamente intatto, e la cui età sorpassa di otto-novecento anni quella delle piramidi egizie, in realtà non è che uno dei grandi tumuli funerari presenti nella valle del Boyne. O ancora, se ci spostiamo nel nord scozzese, nelle Orcadi dove era già da tempo noto quel bellissimo insieme di costruzioni preistoriche note come il “cuore neolitico” dell’arcipelago, sono recentemente riemersi alla luce i resti di quello straordinario edificio oggi noto come la cattedrale neolitica di Ness of Brodgar. Allora feci a quelli che tra voi erano presenti un’altra promessa, di ampliare il discorso sul fenomeno megalitico oltre le Isole Britanniche, all’Europa continentale, e poiché io le promesse ho l’abitudine di mantenerle, eccomi qua.
Vorrei però, se mi permettete, riprendere il discorso proprio da Stonehenge, infatti le scoperte avvenute nelle sepolture situate nei pressi del monumento ci danno informazioni che non riguardano solo quella che è stata chiamata la “cultura del Wiltshire”, ma l’intera idea che avevamo della preistoria europea. Ricordiamo infatti che c’è un metodo per determinare il luogo d’origine di una persona di cui si siano ritrovati i resti: attraverso l’esame degli atomi di stronzio e di isotopi di ossigeno presenti nello smalto dentario: questi ultimi passano nello smalto attraverso il consumo di verdura e di frutta, e ogni località del nostro pianeta ha al riguardo la sua “firma” caratteristica, così si può conoscere il luogo dove una persona è prevalentemente vissuta. Coloro che erano presenti alla mia conferenza di due anni fa, probabilmente ricorderanno che fra gli altri ho menzionato i ritrovamenti di due sepolture su cui ora brevemente è il caso di ritornare: quella del cosiddetto arciere di Amesbury e quella del ragazzo con la collana di ambra. Il primo era un uomo anziano affetto da una vistosa zoppia e che presenta sulla mandibola i segni di un grave ascesso dentario che era giunto a intaccare l’osso. La sepoltura dell’arciere era accompagnata dal corredo funebre più ricco mai trovato finora nella tomba di un uomo preistorico. Il corredo funebre ci attesta che quest’uomo apparteneva alla cultura neolitica denominata cultura del bicchiere campaniforme, estesa dalla Penisola Iberica alle Alpi, e l’analisi dello smalto dentario ci ha attestato la sua provenienza dall’arco alpino.
Sempre l’analisi dello smalto ha permesso di individuare l’origine del ragazzo nell’area mediterranea. Si trattava di un quindicenne che è improbabile sia giunto fino a Stonehenge da solo, ma doveva far parte di un gruppo familiare. La collana di ambra, un materiale ritenuto anche allora prezioso, attesta la sua appartenenza a una famiglia benestante, ed è di provenienza baltica. Queste due sepolture ci aprono uno squarcio su di un neolitico europeo molto diverso da quel che solitamente ci si immagina, non solo riguardo a Stonehenge, non solo riguardo alle Isole Britanniche, ma all’intera Europa, dove le notizie, come quella relativa ai poteri taumaturgici del santuario della piana di Salisbury, le merci, come appunto l’ambra baltica, e le persone, non solo avventurieri isolati, ma anche gruppi familiari o persone anziane e invalide, potevano spostarsi su grandi distanze. Ad avallare l’idea che il neolitico europeo fosse assai diverso da come solitamente ce l’immaginiamo e da come ancora adesso viene raccontato dai libri di storia (quando si degnano di parlarne, il che non accade spesso: solitamente si parla dei primi ominidi africani, della comparsa dell’uomo di neanderthal, di quello di Cro Magnon e poi si salta direttamente alle civiltà mediorientali della Mezzaluna Fertile, egizia e mesopotamica), non è solo qualche ricercatore emarginato e fuori dagli schemi, ma quello che probabilmente è il più insigne esponente dell’archeologia britannica, Colin Renfrew che per i suoi meriti scientifici è stato nominato nel 1991 barone di Kaimsthorm (barone, non baronetto, il solito “sir” che è toccato anche ai Beatles). Nel suo saggio Before civilization, the Radiocarbon Revolution and prehistoric Europe, pubblicato in italiano con il titolo L’Europa della preistoria, Renfrew ha scritto:
“Molti di noi erano convinti che le piramidi d’Egitto fossero i più antichi monumenti del mondo costruiti in pietra, e che i primi templi fossero stati innalzati dall’uomo nel Vicino Oriente, nella fertile regione mesopotamica. Si riteneva anche che là, nella culla delle più antiche civiltà, fosse stata inventata la metallurgia e che, successivamente, le tecnologie per la lavorazione del rame e del bronzo, dell’architettura monumentale e di altre ancora, fossero state acquisite dalle popolazioni più arretrate delle aree circostanti, per poi diffondersi a gran parte dell’Europa e del resto del mondo antico (…). Fu quindi un’enorme sorpresa quando ci si rese conto che tutta questa costruzione era errata. Le tombe a camera megalitiche dell’Europa occidentale sono ora considerate più antiche delle piramidi e sono questi, in effetti, i più antichi monumenti in pietra del mondo, sì che una loro origine nella regione mediterranea orientale è ormai improponibile (…) Sembra, inoltre, che in Inghilterra Stonehenge fosse completata e la ricca età del Bronzo locale fosse ben attestata, prima che in Grecia avesse inizio la civiltà micenea (…) Le nuove datazioni ci rivelano quanto abbiamo sottovalutato questi creativi “barbari” dell’Europa preistorica, i quali in realtà innalzavano monumenti in pietra, fondevano il rame, creavano osservatori solari, e facevano altre cose ingegnose senza alcun aiuto dal Mediterraneo orientale (…) Si verifica tutta una serie di rovesciamenti allarmanti nelle relazioni cronologiche. Le tombe megalitiche dell’Europa occidentale diventano ora più antiche delle piramidi (…) e, in Inghilterra, la struttura definitiva di Stonehenge, che si riteneva fosse stata ispirata da maestranze micenee, fu completata molto prima dell’inizio della civiltà micenea (…) Quell’intero edificio costruito con cura, comincia a crollare, e le linee di base dei principali manuali di storia devono essere cambiate”.
Poiché qui siamo in un ambiente celtico, è anche più che opportuno ricordare che Renfrew ha decisamente contrastato la tesi secondo la quale i costruttori di megaliti sarebbero stati un qualche popolo sconosciuto poi sommerso dall’espansione celtica, ma che, al contrario, essi erano precisamente gli antenati di quei Celti che conosciamo in età storica. Nell’articolo L’origine delle lingue indoeuropee pubblicato su “Le scienze” nel 1991, Renfrew ha scritto:
“La lingua celtica si sarebbe evoluta nell’Europa occidentale a partire da radici indoeuropee. Anziché essere un gruppo autoctono cancellato dagli Indoeuropei, il popolo che costruì Stonehenge e gli altri grandi monumenti megalitici d’Europa era costituito da Indoeuropei che parlavano una lingua da cui derivano le odierne lingue celtiche”.
Ma torniamo a Before Civilization, c’è un rovescio della medaglia di cui dobbiamo tenere conto. Questo testo, infatti, è del 1973, da allora è passato quasi mezzo secolo. Di quella rivoluzione nel nostro modo di concepire la preistoria europea che la rivoluzione del radiocarbonio e il ricorso ad altre scienze ausiliarie come la dendrocronologia avrebbero dovuto indurre, possiamo dire che finora non se n’è vista traccia. Ciò è senz’altro dovuto al conservatorismo degli ambienti accademici, dove continua a prevalere quell’atteggiamento che mi pare si possa definire strabismo mediorientale, al fatto che a determinate concezioni sono legate prebende e posizioni di potere. Il cliché dello scienziato pronto ad abbandonare le proprie teorie quando i fatti le dimostrino false, e ad adottarne di nuove in accordo coi fatti stessi, purtroppo è soltanto un cliché. Pensiamo alla lunga e incompresa lotta di Copernico, Keplero e Galileo per affermare l’eliocentrismo, ma ancora nel XIX secolo al dottor Semmelweis, che fu perseguitato fino al punto di compromettere la sua sanità mentale, da parte dei colleghi che non volevano accettare la sua idea che se non vuole trasmettere infezioni mortali ai pazienti, un chirurgo deve lavarsi le mani prima di operare.
I nostri archeologi che si entusiasmano per ogni coccio di vaso trovato in Medio Oriente dove ormai non ci deve essere neppure un sasso che non sia stato rivoltato, sembrano ignorare del tutto i grandi complessi megalitici europei, che pure sono lì a sbugiardarli. Dolmen, menhir, cromlech si trovano in tutta la fascia dell’Europa atlantica, dal nord-ovest della Francia fino al Portogallo, testimoniando una facies culturale non diversa da quella delle Isole Britanniche, e fra tutti, quelli più noti sono probabilmente gli allineamenti megalitici di Carnac. Questo complesso, nella regione bretone del Morbihan, è costituito da circa quattromila monoliti, un grande campo di menhir disposti in file regolari che genera un potente effetto suggestivo, come le navate di un’immensa cattedrale a cielo aperto. Resta naturalmente un mistero capire come sia stato possibile trasportare ed erigere in sito un così vasto numero di monoliti ciascuno dei quali pesa svariate tonnellate. Bene, è un fatto sorprendente, ma in tempi recenti anche un sito notissimo come quello di Carnac ha riservato agli archeologi scoperte inattese, proprio nelle vicinanze di Carnac, a Kerdruelland nella Bretagna meridionale è inaspettatamente emersa nel 2006 la nuova “Stonehenge francese”. Riporto in sintesi il post di Antikitera del 31 luglio di quell’anno, ripreso da “The Independent”:
“ Alcuni mesi or sono, operai impegnati presso un terreno incolto nel sud della Bretagna, furono colpiti da un enorme masso di granito. Il titolare dell’impresa edile, pur non essendo uno storico, comprese immediatamente di cosa dovesse trattarsi: quel che restava di un menhir o pietra eretta neolitica sepolto, e decise di coprire lo scavo, prima che la cosa attirasse la curiosità di qualche impiccione. Non voleva che il lavoro di costruzione di sei bungalow lungo la costa fosse fermato per via di uno scavo archeologico di tempi probabilmente interminabili. Del resto, deve avere pensato, Carnac è il più grande sito neolitico al mondo, con una fila di pietre erette con oltre 3, 000 menhir nello spazio di quattro chilometri e si trova poco lontano. Non potrebbe bastare a soddisfare storici, turisti ed il Ministero della Cultura di Parigi? Ma era già troppo tardi. aveva notato il menhir semisepolto. La costruzione dei bungalow fu fermata per disporre uno scavo archeologico.
Gli archeologi che lavoravano al sito di Kerdruelland negli ultimi nove mesi, hanno scoperto non uno ma 60 menhir perduti. Ritengono che siano stati eretti e quindi distrutti durante il “medio periodo” delle pietre erette nell’Europa occidentale, attorno al 2, 500 a.C. (lo stesso periodo in cui fu costruita Stonehenge probabilmente ad opera di invasori dalla Bretagna). Poiché i menhir di Kerdruelland si sono preservati in fango e detriti per 4, 500 anni, potrebbero offrire nuove informazioni sul modo in cui simili allineamenti furono creati. Ai celebri siti di Carnac e Stonehenge, alcune delle pietre sono state spostate o rubate, o aggiunte nel corso dei secoli. Qui le pietre, alte fino a due metri, giacciono esattamente come quattro millenni e mezzo or sono; ed anche il terreno ed il sottosuolo sono del tutto intatti. Per questo gli studiosi sperano di poter recuperare elementi preziosi, come strumenti di selce e cocci di ceramiche. Il professor Jean-Paul Demoule presidente dell’agenzia francese che sovrintende alla conduzione di scavi archeologici di particolare urgenza, ha dichiarato: “Il sito è, storicamente ed archeologicamente parlando, un miracolo. È anche un paradosso. Precisamente è perché fu distrutto che si è mantenuto in un simile stato. Come un relitto custodito intatto dall’oceano.”
Fino ad ora sono state trovate 60 pietre, alcune complete, alcune rotte, ma riteniamo che ve ne debbano essere molte altre attorno. Una volta che gli studiosi avranno stabilito dove si trovassero originariamente le pietre, si potranno trarre delle conclusioni basate su fatti scientifici, non su semplici congetture. Sarà possibile ad esempio comprendere se le pietre formassero originariamente linee, un circolo, o una forma tipica per la Bretagna, quella di ferro di cavallo”.
Un discorso che oggi si presenta molto difficile da fare, è quello relativo alla presenza di monumenti scandalosamente ignorati dall’archeologia ufficiale e lasciati in stato pressoché totale di abbandono, quali le piramidi europee. Adesso non parlerò delle piramidi bosniache di Visoko, poiché è tuttora incerta la loro vera natura, se queste ultime siano effettivamente opera dell’uomo o non siano invece formazioni naturali, colline di forma casualmente vicina a quella piramidale. Al momento la cosa più saggia è forse ancora lasciare il giudizio in sospeso, e parlare invece di quelle la cui natura di edificio realizzato all’uomo non può essere messa in discussione. Queste strutture si trovano soprattutto in Francia e in Italia. Per quanto riguarda l’Italia si possono citare in particolare la piramide di Monte d’Accoddi in Sardegna, oggi molto rovinata, in stato di abbandono al punto che da essa è stato asportato materiale da costruzione anche in tempi recenti, e la cosiddetta piramide etrusca di Bomarzo che sorge non lontano dalla famosa villa dei mostri. Tuttavia, se me lo permettete, io ora non insisterò su di esse perché sarebbe mia intenzione riprendere l’argomento con ampiezza nell’incontro dell’anno prossimo, che avrei intenzione di dedicare al pochissimo conosciuto megalitismo italiano.
Fuori dai nostri confini, lasciando in sospeso per il momento la questione di Visoko, le ritroviamo soprattutto in Francia, in particolare nella zona della Francia mediterranea, con due eccezioni, la piramide di Barenez in Bretagna, e quella di Gilmar nell’isola di Tenerife nelle Canarie. Queste piramidi si trovano concentrate soprattutto nell’area della Costa Azzurra. Un caso emblematico e scandaloso l’ha raccontato nel 2015 la pubblicazione on line “Shan Newspaper”, quello della piramide di Nizza, una piramide a gradoni di cui ci restano alcune foto, demolita negli anni ’60 per far posto a uno svincolo autostradale! Un’altra ampia piramide a gradoni che si trova nella stessa zona, è quella di Saint André de la Roche, mentre, anch’essa in pessimo stato di conservazione e del tutto trascurata dall’archeologia ufficiale, la piramide di Falicon è del tipo a pareti lisce, come quelle della piana di Giza. “La colpa” di questi antichi monumenti è di trovarsi nel posto “sbagliato”. Possiamo essere sicuri che se invece di trovarsi nella nostra negletta Europa, questi ultimi fossero situati in Egitto o in Medio Oriente, nessuno sforzo sarebbe stato tralasciato per il loro studio e la loro conservazione. Pensiamo ad esempio al complesso templare egizio di Abu Simbel che fu smontato, spostato e ricostruito con un lavoro immane per evitare la sua sommersione dalle acque del Nilo il cui livello si sarebbe innalzato in conseguenza della costruzione della diga di Assuan. Ma è stato deciso a priori, contro ogni evidenza che l’Europa del Neolitico e della prima Età dei Metalli era un luogo primitivo e poco interessante.
Un fenomeno relativamente posteriore ai megaliti del periodo neolitico e dell’Età del Bronzo, sono i forti vetrificati dell’Età del Ferro. Ve ne ho parlato l’anno scorso in riferimento alle Isole Britanniche, e la maggiore concentrazione di essi si ritrova in particolare in Scozia. Questi ultimi, come vi ho raccontato l’anno scorso, rappresentano un vero mistero per l’archeologia, perché sono stati costruiti con pietra silicea che è poi stata vetrificata col calore, trasformando le pietre che li componevano in un blocco unico praticamente indistruttibile. Delle prove di archeologia sperimentale che sono state compiute hanno permesso di escludere che ciò possa essere stato il risultato di incendi accidentali, ma resta un mistero come sia stato possibile produrre ed applicare sistematicamente lungo tutto l’ampio perimetro di queste antiche costruzioni, l’intensissimo calore necessario a ciò.
Bene, i forti vetrificati non si ritrovano solo nelle Isole Britanniche ma anche in Francia. I “forti vetrificati” presenti in Francia (circa una dozzina), si trovano soprattutto nella zona del fiume Creuse, ma anche in Bretagna e nella regione della Vienne. Scrive Robert Charroux, nel suo libro Civiltà perdute e misteriose, che i più significativi forti vetrificati francesi, nella regione della Creuse, si trovano a Chateauvieux e a Ribandelle (sulla sponda opposta del fiume, rispetto a Chateauvieux). Le mura perimetrali di Chateauvieux si snodano lungo un tracciato ovale, il cui asse longitudinale misura 128 metri; il parapetto si trova sulla sommità di uno sterro spesso sette metri alla base e tre metri in cima. Su tali strutture è stato edificato un muro con delle pareti granitiche. Lo spazio fra le due pareti è riempito da una gettata di granito fuso spesso 60 centimetri per una larghezza di 4 metri, su una base di tufo. Non c’è traccia dell’uso di alcun tipo di malta. Risulta così che la parte interna delle mura sia completamente vetrificata, al contrario della parete esterna. Analoga è la natura della fortezza della Ribandelle-du-Puy-de-Gaudy, che venne occupata dai Celti e, successivamente, da Romani e Visigoti: ha un perimetro di 1500 metri ed una superficie di 13 ettari. L’interno delle mura, in granito vetrificato, è separato dalle pareti da strati di terra di brughiera. Alcuni particolari farebbero presupporre che la costruzione fosse terminata nel momento in cui il granito in fusione veniva colato nello spazio fra le mura; oppure che il focolare usato per la fusione fosse collocato all’interno delle pareti. Le mura di Péran (Bretagna – comune di Plédran) sembrano essere state cementate con del vetro fuso…Le pietre non sono tenute insieme dalla malta o dal cemento, bensì dalla stessa fusione. Alcuni ritrovamenti fatti proverebbero che la costruzione risale almeno a tremila anni fa”. Veramente si resta stupefatti a considerare lo scarsissimo interesse che l’enigma dei forti vetrificati solleva negli archeologi, un disinteresse spiegabile solo con quello che ho chiamato lo strabismo mediorientale, che induce gli archeologi a non tenere in considerazione nulla che sia più vecchio di tre millenni e che si trovi più a nord della Penisola anatolica e più a occidente del delta del Nilo.
NOTA: Nell’immagine in testata, una suggestiva vista degli allineamenti megalitici di Carnac.
Fabio Calabrese
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