Tra le ricorrenze del 2021, una è particolarmente significativa per gli appassionati di cinema: il cinquantesimo anniversario dell’uscita di Arancia Meccanica, il film culto di Stanley Kubrick tratto dal romanzo di Anthony Burgess. La domanda che ci poniamo, a mezzo secolo di distanza, è, con termini diversi, la stessa di allora: è accettabile costringere gli uomini a comportamenti politicamente corretti, a diventare buoni (o buonisti…) a viva forza? La riflessione è sul libero arbitrio e sulla censura al tempo di un totalitarismo di nuovo conio, in cui regna la cultura della cancellazione dei sedicenti “risvegliati”, woke nella lingua franca del globalismo.
E’ tornata la censura – nella dimensione tecnologica e privatizzata dei giganti di Silicon Valley; è nuovamente in auge il divieto; il potere, attraverso la gestione della pandemia, domina con e attraverso la paura. I “risvegliati”, sacerdoti e fedeli della pseudo religione woke, distruggono ogni segno della civiltà che improntò trenta secoli. Tutta negativa, da abolire in quanto costruita sul razzismo, lo schiavismo, la società eteropatriarcale, la violenza, la religione, la diseguaglianza, la prevalenza del maschio eterosessuale. Si fa tabula rasa di tutto quanto non coincide con la visione millenarista di una setta di allucinati – i risvegliati – impegnati a imporre il Bene e il Giusto cancellando ogni pensiero dissidente attraverso il controllo dittatoriale dell’istruzione, della comunicazione, dell’intrattenimento.
Non siamo molto lontani da ciò che Arancia Meccanica aveva anticipato cinquant’anni fa. Sostituiamo la violenza insensata del protagonista Alex De Large con uno qualsiasi dei nuovi significati del Male e potremo intuire fino a che punto il romanzo di Burgess e il film di Kubrick siano stati profetici. Un nuovo fondamentalismo si è risvegliato. E’ così diverso dal Programma Ludovico con il quale il governo cercava di estirpare il male? Non vogliono entrambi, con mezzi diversi, di imporre il bene – un’idea di bene – a prescindere dalla libertà di scelta? Per di più, il fondamento woke è centrato su mali assai discutibili – le credenze e le verità da distruggere in nome dell’Uguaglianza, dell’Equivalenza, dell’Antirazzismo e della Bontà Universale secondo l’interesse di un “nuovo” capitalismo– mentre la cura Ludovico tentava di sradicare mali che tutti riconosciamo tali, come lo stupro o l’omicidio.
Due riflessioni: la prima è che il potere non aspira più tanto alla repressione esterna quanto ad agire affinché ogni coscienza abbia il suo poliziotto, l’Ombra che controlla la Persona. La seconda è l’irresistibile forza coattiva del gregge. Se uniamo i due concetti, abbiamo una descrizione precisa della sinistra woke (sintesi velenosa di liberismo economico, radicalismo societario e neo-comunismo culturale) con il suo straordinario potere di intimidazione e coercizione. E’ il nuovo Metodo Ludovico – senza chimica e senza l’ascolto ossessivo della musica di Beethoven (Ludwig, ovvero Ludovico) – per mezzo del quale gli autoproclamati rappresentanti del bene impongono il Bene con tutte le lettere maiuscole, anche contro la volontà e la libertà dei singoli e dei popoli.
Per i pochi che non conoscono Arancia Meccanica, ne riassumiamo brevemente la trama. Il giovane Alex, teppista violento e senza principi, guida una banda di delinquenti – i Drughi – priva di qualsiasi limite morale: derubano, picchiano mendicanti, violentano donne e costringono i mariti ad assistere allo stupro, arrivando sino all’omicidio. Arrestato, Alex subisce in carcere violenze e umiliazioni che lo inducono, per ottenere la libertà, ad accettare di essere sottoposto a un trattamento sperimentale, una terapia d’ urto che induce ripugnanza verso le tendenze negative che si vogliono allontanare. Nel suo caso, la violenza e l’aggressività sessuale. L’esperimento non è positivo come previsto, poiché compaiono effetti collaterali, come una nausea insopportabile che lo blocca lasciandolo indifeso dinanzi alla prevaricazione altrui.
Non intendiamo affrontare qui l’argomento della violenza e neppure definire il bene e il male, ma riflettere su un altro tema di Arancia Meccanica (e del fondamentalismo “risvegliato”), quello della libertà concreta, ossia la possibilità di scegliere. Il cappellano del carcere – voce della coscienza morale e spirituale – più volte si oppone alla cura Ludovico, in quanto il bene che persegue con la violenza di trattamenti estremi non scaturisce da una libera decisione, quindi non ha valore etico. Se l’uomo non sceglie, cessa di essere uomo. Alex risponde: “padre, non capisco niente del come, né del perché. Voglio solo essere buono”, ovvero rinuncio a una parte di me se questo mi fa uscire dalla prigione. Non è ciò che accade all’uomo di oggi, indotto a sacrificare porzioni sempre più ampie di libertà in nome della salvezza dalla malattia, della comodità di certi comportamenti, del quieto vivere di chi si pone dalla parte dei potenti e di quella che appare la visione dominante? Facile transitur ad plures, è facile passare alla maggioranza, scrive Seneca al tempo di Nerone.
La cura Ludovico induce al bene costringendo il paziente ad assistere a scene raccapriccianti di violenza e di sesso, proiettate su uno schermo, unite a un trattamento chimico-psichico. Alex non può sottrarsi alla vista: gli è applicato un dispositivo che impedisce la chiusura delle palpebre, l’immagine più famosa, iconica e drammatica del film, simbolo di una costrizione insopportabile. Oggi si persegue qualcosa di simile attraverso la coercizione socioculturale, le campagne e gli attacchi mediatici. L’obiettivo da estirpare è l’opinione “offensiva”, l’adesione a principi, valori, il divieto a guardare con i propri occhi, chiamare pane il pane e vino il vino, tutto ciò che costituisce la libertà di pensiero, espressione e opinione. La minaccia di ritorsioni, lo shock delle intimidazioni, gli insulti, la paura dell’esclusione sociale dalla comunità diventata community induce la reazione preventiva e difensiva: si tace per non mettersi nei guai. Come nel film, a chi vuol indurre un Bene obbligatorio non importa che il Male rimanga dentro, finché non osa manifestarsi fuori. La posta in gioco è il potere, il dominio delle coscienze: in nessun caso la verità.
Questo emerge soprattutto nel libro di Burgess, soppiantato nell’immaginario collettivo dal successo del film di Kubrick. Burgess dovette sopprimere un capitolo su richiesta dell’editore americano, in quanto suggeriva la via d’uscita di Alex nel ritorno alla stabilità familiare. Primi vagiti della cultura della cancellazione? La famiglia cominciava ad essere il male assoluto, e non si può, per i risvegliati di ieri e di oggi, indulgere alla possibilità del male. Sarebbe derogare il senso di superiorità morale che li anima.
Un esempio è lo scrittore Nathaniel Rich, autore del best seller ambientalista Perdere la terra. Rich spiega senza arrossire che una persona di buona coscienza per salvare il pianeta deve accusare e attaccare senza pietà chi dubita, non collabora o non è d’accordo con la sua visione, ideologica, indimostrata, dogmatica, affamata di scomunica. Le voci che impediscono al Bene di irrompere sulla scena del mondo devono essere messe a tacere. Non interessa convincere: essenziale è indurre al silenzio.
Torna l’Arancia meccanica: la violenza serve per attaccare, ma anche per difendersi. Alex, privato di quella risorsa naturale, istintiva, per impedirgli di commettere crimini, è indifeso contro la violenza degli altri. Dov’ è il bene, se viene screditata e abolita la libertà di pensiero e di espressione, uno dei cui effetti peggiori è il progressivo deterioramento, la corrosione del dialogo e della convivenza sociale?
Oggi il dibattito sul libero arbitrio si è arricchito di apporti sconosciuti all’epoca del film. Negli anni Ottanta gli esperimenti del neuropsicologo Benjamin Libet sostenevano l’idea che il processo decisionale cosciente fosse un’illusione, che tutto ciò che l’uomo decide sia il risultato di una combinazione di cause nascoste, inconsce, di stimolazioni chimiche. Gli studi psicosociali della corrente situazionista hanno attribuito l’origine delle scelte al contesto esterno, specie le condizioni socioeconomiche. Le due linee di argomentazione sono state respinte, tra gli altri, dal filosofo Alfred R. Mele nel saggio Free: Why Science Hasn’t Disproved Free Will (Libero: perché la scienza non ha confutato l’esistenza del libero arbitrio). ““Se c’è qualche illusione da queste parti, è l’illusione che esistano dati scientifici solidi che dimostrino l’inesistenza del libero arbitrio”.
La questione non è banale, perché in gioco non è solo il controllo personale sulla vita, ma la possibilità di esigere responsabilità. La filosofia del risveglio è coerente con la negazione del libero arbitrio in quanto enfatizza le condizioni esterne e interne che inducono a “scegliere bene”. Non possiamo fidarci della coscienza dell’individuo, così ingannevole e ingannata, pensano. La sfiducia nella possibilità di un’autentica libera scelta emerge altresì dalla tendenza ad esonerare da ogni responsabilità chi si proclama vittima. Il pensiero Woke non può rinunciare ai colpevoli – i suoi bersagli – quindi deve dividere il mondo tra i privilegiati (colpevoli, responsabili, malvagi) e gli altri (buoni, innocenti). Ma se le teorie di Libet e dei situazionisti fossero corrette, se ne dovrebbe inferire che neppure i cattivi da schiacciare possono essere biasimati. Il che porta al vicolo cieco che i risvegliati tendono a risolvere con un “a priori”: alcuni soggetti, i maschi bianchi eterosessuali, sono il Male diffuso attraverso le generazioni, che va non solo estirpato, ma cancellato dalla storia, disciplina alla quale viene attribuita un’intenzione morale atemporale.
E’ una visione fondata su una radicale sfiducia nell’uomo, simile all’idea kantiana del “legno storto”, da raddrizzare con ogni mezzo. L’uomo non ha capacità di decidere per il bene, anzi non è proprio in grado di scegliere, dunque quella possibilità gli va negata. Da questo punto di vista, il bombardamento socioculturale e l’intensa coercizione sociale diventano procedure legittime. Se la libertà è un’illusione, non c’è motivo per cui debba essere rispettata, al di là delle apparenze della procedura democratica.
Noi pensiamo invece che l’uomo possieda la capacità di decidere. Uno studio psicologico del 2008 concluse “se una persona si considera responsabile delle azioni che compirà nel futuro, concepirà se stesso come qualcuno che possiede delle abilità e delle capacità da cui dipende la responsabilità. “Diventerà cioè un essere capace di controllo su ciò che fa. Questo punto di vista è molto più coerente e umano rispetto a quello che ci considera esseri alla mercé di forze che sfuggono al nostro controllo, da tenere al guinzaglio e alla frusta. Credere nel libero arbitrio e praticarlo, ovvero esercitare la libertà, fa bene all’autostima e diventa benessere sociale.
L’ altro aspetto della riflessione su Arancia meccanica è l’evoluzione delle forme di censura. Quella di ieri era più brutale ma meno subdola di quella vigente, che fa accettare l’abolizione dei costumi, dei principi, delle abitudini in nome della cultura della cancellazione, del politicamente e razzialmente corretto. Inquietante è l’esito di un forum con giovani universitari a cui è stato proiettato il film: quasi tutti hanno affermato che Arancia Meccanica oggi non potrebbe essere girato. Hanno cioè interiorizzato l’idea che un film del genere non sarebbe tollerato. E quella constatazione non è accompagnata da alcun lamento o protesta.
Oggi, indubbiamente, Kubrick non avrebbe potuto dare a Malcolm Mc Dowell, l’attore protagonista, l’indicazione di mezzo secolo fa: “devi interpretare un essere immorale, uno stupratore e un assassino, e convincere il pubblico a simpatizzare con lui.” Sono in molti a pensarla allo stesso modo sull’impossibilità odierna di una pellicola del genere. Per lo scrittore Vicente Molina Foix i produttori lo considererebbero politicamente scorretto. È il tempo che proibisce capolavori del passato (Via col vento, ma è nel mirino anche Crash di David Cronenberg) e rivela come oggi la censura non abbia bisogno di occhiuti uffici statali. Che cosa è peggio, il gendarme pubblico che interviene a posteriori, o la polizia del pensiero che si fa censura per esclusione preventiva? E il poliziotto del pensiero (produttore, editore, direttore di giornale o di televisione, intellettuale di servizio) è tale per scelta, tornaconto o paura?
Quella di oggi è una censura senza volto, che rimette in discussione la libertà e la coscienza morale. Una censura profonda, interiorizzata, insidiosa, un’intera società sottoposta, per ordine del capitalismo “risvegliato”, al programma Ludovico teso a provocare il crollo delle difese spirituali e delle convinzioni etiche dei singoli e dei popoli in nome di un Bene falsificato che è l’interesse del capitalismo con maschera woke. Il potere ci costringe a rimanere ad occhi aperti davanti allo schermo durante il trattamento, mentre mette in scena lo spettacolo del Bene, affinché – come nel Gattopardo – tutto cambi affinché nulla cambi.
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