di Gianfranco Vittorio Strazzanti
I settori dominanti delle società occidentali sono ormai da diversi secoli dediti alla colonizzazione. Il termine colonizzazione viene troppo spesso e facilmente associato ad un numero ridotto di elementi, ovvero occupazione militare, depredazione delle risorse primarie di una data regione etc. Meno appariscente, e pertanto meno avvertito, è invece lo spettro dell’azione colonialista collegato alla cronometria e all’immaginario storico. Uno dei meccanismi più efficaci del colonialismo occidentale trova infatti il suo cardine, da più di un secolo, proprio nel predominio sulla sfera cronometrica. Il sistema di misurazione del tempo scandito dal meridiano di Greenwich ha imposto al mondo intero, a partire dal 1920, una cronometria numericamente progressiva e del tutto decentrata rispetto a qualsiasi polarità di carattere metafisico. Esistono ovviamente i Poli nord e sud ma, nel sistema vigente, essi vengono neutralizzati dall’omogenea distribuzione dei fusi orari su una mappatura plani-sferica: ovvero non sferica, ma piana. E se, a rigor di logica, sui Poli il tempo andrebbe arrestato e sospeso, tale sospensione è destinata a rimanere virtuale e comunque del tutto irrilevante rispetto alla percezione che le collettività hanno del trascorrere del tempo.
Questo, come si vedrà più avanti, non vuole dire che la polarità Nord-Sud non abbia una sua precisa funzione nell’ambito della cronometria colonialista. Per il momento, va però constatato che il sistema orario vigente è stato distribuito come un domino su una proiezione plani-sferica al fine di rendere il tempo uniforme sull’intero globo. Tale sistema ha richiesto dei passaggi graduali. Esso si è infatti concretizzato nelle forme di un adattamento e di un’integrazione effettuata sulla carta proiettata, in pieno Cinquecento, da Gerard De Kremer; cartografo passato agli annali con il poco lusinghiero nome accademico di Gerardus Mercator ovvero il Mercante. Coloro che oggi urlano disgustati alle sopravvivenze del terrapiattismo farebbero meglio a ricordare, di tanto in tanto, che le lancette a cui con fiducia rivolgono quotidianamente lo sguardo ruotano attorno ad un sistema cronologico modellato su una rappresentazione piana, e non sferica, della terra. Tanto che, in certi casi, i fusi orari sono stati adattati anche ai confini nazionali o continentali. Questo non è però che uno dei tanti pseudo-misteri, spesso taciuti, scaturiti dalla necessità di ridurre la sfera delle possibilità terrestri ad un piano dominabile con un solo sguardo. Il reticolo isogonico ad usum navigantium et mercatorum, aggiornamento della proiezione di Mercatore, non è di fatto altro che la finestra a sbarre dietro la quale il colonialismo cronologico ha rinchiuso i suoi numerosi possedimenti.
Dimentico di queste basilari constatazioni, l’umano contemporaneo è probabilmente la creatura più succube della cronometria che sia mai esistita. La colonizzazione del tempo, per essere avvertita e compresa, richiede infatti una riflessione e un’attenzione ulteriore che pochi sono disposti a fare o ricercare. Il fenomeno della colonizzazione occidentale è quindi molto vasto e non riguarda certo le sole fibrillazioni militari e migratorie. Esso coinvolge in pieno anche il dominio del tempo: un dominio molto ostinato, dal momento che è legato, come visto, ad un meccanismo inflessibile e che si dà come incontestabile; un dominio che non soffre inoltre delle oscillazioni e delle instabilità che possono invece interessare le egemonie militari e culturali. Regolato dal ticchettio britannico, il colonialismo cronometrico ha investito l’immaginario collettivo in maniera così profonda da provocare un vero e proprio oscuramento delle residue capacità delle menti occidentali di concepire l’eternità come un momentum slegato da qualsiasi vicenda storica. Un momentum, tanto impercettibile quanto redentivo, se è vero che «il Regno dei Cieli non viene in modo da attirare l’attenzione» [Lc, 17, 20]. Proprio sulla scia di tale atrofia dell’immaginazione, del nous legato alla sfera del sovratemporale, la colonizzazione cronometrica ha finito per travolgere buona parte della costituzione psichica delle masse occidentali.
Tra colonizzazione cronometrica e colonizzazione dell’immaginario storico vi è un rapporto diretto. La seconda è però meno freddamente teorica rispetto alla prima e offre pertanto più agevoli approdi a chiunque voglia comprenderla nella sua concreta manifestazione culturale. La cronometria colonialista si basa, come visto, su un dispositivo cartografico e geometrico ben definito nonché sulla centralità del tutto arbitraria di un sobborgo londinese assurto agli onori di Meridiano 0. L’immaginario della storia colonialista ha invece avuto uno sviluppo meno improvviso e rettilineo se paragonato a quello prodotto dal Royal Observatory di Greenwich. Non deve dunque sembrare strano che, per fissare le sue tappe fondamentali, il colonialismo occidentale abbia dovuto imporre una sua caratteristica mitologia. I numerosi occultamenti e insabbiamenti che sono stati via via necessari per rendere credibile tale mitologia, sono però intuibili dietro la spessa cortina di promesse che l’Occidente progressista ha elargito in forma utopica e mantenuto in forma distopica. Di conseguenza, la mitologia tipica del colonialismo appare come un complesso di mitologemi, naturalmente a sfondo storico, legati all’imperativo del progresso. E date le premesse, non poteva trattarsi che di una mitologia a carattere antispirituale, anti-cristico e, per forme e modalità, non di rado pseudo-spirituale.
Un ottimo esempio di mitologia colonialista ci proviene da un’opera abbastanza nota di Umberto Eco: Il fascismo eterno. Nel pamphlet dell’autore alessandrino, si ritrova infatti ben sostanziata in una manciata di pagine quella particolare ricostruzione della storia degli ultimi secoli sulla quale si regge l’immaginario colonizzatore e progressista occidentale. Secondo Eco, tutto ciò che guarda al sapere mutuato dalla Tradizione, tutto ciò che interroga e scorge nel sapere tradizionale delle verità assolute, è da reputare ipso facto precursore del fascismo. Più precisamente, non esisterebbe a suo dire una vera e propria Tradizione, ma solo un travisamento tradizionalista di conoscenze e saperi che, per fini ora politici ora propagandistici, vengono piegati alle necessità del regime tradizionalista del momento. Partendo da tali assiomi discorsivi, Eco dà per scontato che qualsiasi trasmissione del sapere tradizionale debba necessariamente avere un intento o, quantomeno, una potenziale applicazione politica. Si tratta di un evidente sofisma perché, a questo mondo, qualsiasi elemento culturale può avere una tale potenzialità. Nelle pagine del Fascismo eterno, il sapere tradizionale viene inoltre privato di qualsiasi valore o principio autenticamente interiore e anteriore rispetto alla storia umanamente intesa. Il che fa sì che l’argomento di Eco appaia, in realtà, come un non argomento: la trasmissione delle idee spirituali trova infatti il suo nous proprio nella sfera del sovrumano e del sovrastorico; rimossa tale sfera, non rimane più niente di propriamente tradizionale ovvero che meriti di essere tramandato.
La teoria dipanata lungo le pagine del Fascismo eterno appare dunque come del tutto pretestuosa, se non vaneggiante, e sembra scaturire da quell’esprit moderno che, da qualche secolo, si esprime in maniera a dir poco scriteriata su cose che o non comprende o non vuole comprendere. Il difetto più riconoscibile del pamphlet in questione risiede però nella sua incapacità di offrire un qualsiasi aiuto a chiunque voglia riconoscere il manifestarsi di uno stato totalitario nelle generali condizioni dell’epoca attuale. Dal 1995 in cui Eco espose le teorie contenute nel Fascismo eterno presso la Columbia University, non sembra infatti che le derive dittatoriali occidentali abbiano puntato ad imporre modelli sociali tradizionali o, anche solo, tradizionalisti. Si può invece dire, senza alcun dubbio, che il progressismo novecentesco, con il nuovo secolo, abbia definitivamente raggiunto la sua fase delirante e infra-umana e, nel modello della società della sorveglianza, il suo sbocco più congeniale.
Non si deve inoltre ingenuamente pensare che la discussione portata avanti da Eco non abbia essa stessa dei tratti a suo modo totalitari. L’assioma che vede in chiunque sia interessato alla Tradizione, o ad una qualche forma di sincretismo, un discendente diretto di un vago quanto minaccioso fascismo ancestrale è di per sé un assioma totalitario. Tale modo di procedere estende infatti sull’intero complesso degli studi sulle religioni e sulle tradizioni spirituali un’ombra sistematicamente denigratoria. D’altronde, nel caso di Eco, non ci si potrebbe aspettare un atteggiamento teorico diverso, dal momento che egli abbraccia integralmente quella mitologia colonialista della quale si diceva in precedenza. Secondo tale mitologia, il Settecento europeo e l’apparizione dei Lumi rappresentano una vera e propria cosmogonia intellettuale. Per ogni razionalista che si rispetti, infatti, prima dell’avvento dell’Illuminismo gli esseri umani vagavano nel buio della superstizione e nell’allucinazione collettiva delle credenze religiose. Solo con l’Illuminismo l’umanità avrebbe avuto un primo assaggio di quella pura e misurata razionalità che avrebbe poi condotto le masse verso i lidi del libero pensiero e della scienza con la s maiuscola.
Si tratta però di una visione storico-culturale piuttosto bizzarra. L’autore del Fascismo eterno infatti dimentica, o volutamente trascura, alcuni dettagli sull’Illuminismo di cui anche le pietre sono ormai consapevoli. L’apogeo illuminista vide infatti, nella sua prassi, migliaia di teste mozzate di netto nell’arco di pochi anni, mutilazioni fatali compiute dal ritrovato tecnologico più rappresentativo dell’ideologia illuministico-rivoluzionaria: la ghigliottina. Qui non si tratta di schernire o fare facile sarcasmo. Molto più concretamente, va detto che la ghigliottina è uno di quei congegni a cui la mitologia colonialista non ama rivolgere la dovuta attenzione. In essa, s’incontrano però due “dinamiche” caratteristiche dello scientismo settecentesco sopravvissute fino ai giorni nostri: la produzione industriale seriale e lo sterminio di massa. “Dinamiche” che trovarono una significativa sintesi, per quanto rudimentale, proprio nella ghigliottina e che, una volta raggiunta la simbiosi, hanno partorito sintesi sempre più efficaci e letali. Ecco i frutti della pura ragione (la «Bloßen Vernunft» di Adam Weishaupt) emancipata da qualsiasi zavorra religiosa.
Un binomio, quello di produzione-sterminio di massa, che nasconde inoltre un paradosso che la mitologia amata dall’Occidente colonialista ha ormai completamente rimosso; e cioè il fatto che l’epoca della ragione trionfante si sia intestardita così ferocemente proprio sulla mutilazione della sommità pensante degli esseri umani. Il festival di esponenti dell’Illuminismo radicale che stabilirono di decapitare nemici e amici a migliaia è proprio uno di quei dettagli storici che la cultura colonizzatrice tende, quando necessario, a occultare. Sarà anche per tale ragione che l’Eco del Fascismo eterno è così disinteressato agli albori della politica come dinamica sterminatrice. Tale disinteresse appare però anch’esso piuttosto bizzarro, perché in gioventù l’autore del Cimitero di Praga fu un attento studioso delle tecniche messe in atto dai persuasori occulti; persuasori di cui era molto ricca la Parigi dei Lumi rivoluzionari, quando centinaia di manovali della discordia soffiavano a pieni polmoni sulle braci dell’odio ideologico, tramite biliosi pamphlet clandestini e anonimi.
La mitologia colonialista non può però rinunciare all’Illuminismo quale punto di svolta e definitivo superamento di tutte le allucinazioni del Vetus Ordo; essa vede pertanto efferatezze e stragi solo lì dove sia stato un qualche tradizionalista a perpetrarle. Né potrà mai ammettere una verità di per sé elementare e incontestabile, ovvero che qualsiasi argomento ideologico può fornire un pretesto per compiere stermini di massa e acquisire potere mondano. In questo senso, il concetto di ur-fascismo di Eco si sviluppa per intero nell’alveo della mitologia dei colonizzatori ed ha pertanto gli stessi identici limiti di tutte le opere che a tale mitologia si conformano: esse evitano sistematicamente le questioni spinose. Emerge così dalle memorie personali di Eco, anch’esse contenute nel Fascismo eterno, che l’esercito anglo-americano una volta sbarcato in Italia a metà Novecento si riscoprì investito di una missione per la libertà e l’indipendenza dei popoli che, allora come ora, dovrebbe risultare difficile riconoscergli. La visione mitologica imposta dal colonialismo tende infatti anche a dimenticare, tra le altre cose, che nella home of the brave and land of the free erano allora in pieno vigore le più disparate norme legate alla segregazione razziale: e non una segregazione qualsiasi, ma una delle più feroci che la storia del Novecento ricordi.
Quanto invece alla bucolica Gran Bretagna monarchica, e al suo esercito di blimp, essa aveva per la prima metà del Novecento già colonizzato un quarto delle terre emerse (protettorati esclusi) e raggiunto un primato troppo spesso negatole: la creazione dei primi campi di concentramento e sterminio nella loro forma moderna, durante la guerra contro i boeri in Sudafrica. Tutti eventi, questi, che il mito colonizzatore non solo dimentica sistematicamente, ma non gradisce neanche che vengano ricordati. Il tratto caratteristico di tale mito è infatti proprio questo: che l’idea di bene non deve mai necessariamente avere un nesso con i fatti storici. I buoni sono tali solo perché hanno i mezzi e le facoltà per presentarsi come tali, e non perché lo siano effettivamente.
Sistema cronologico del Meridiano 0 e mitologia colonialista costituiscono dunque un sistema di riferimento ben collaudato per l’imposizione dei vari mitologemi a sfondo storico che l’Anglosfera ha imposto ai suoi domini e, di riflesso, anche al resto della terra.
La questione cartografica e cronometrica qui inizialmente sollevata trova un nesso ancora più significativo con un’altra opera ben nota dello stesso Umberto Eco: Il pendolo di Foucault. Come molti sanno già, si tratta di un romanzo-saggio che investe una varietà di conoscenze e interessi veramente importante, per non dire sterminata. Esso non è certamente riassumibile in poche righe, soprattutto per via dell’esorbitante mole di teorie di carattere cospirativo in esso evocate. Nello spazio assegnato al presente scritto, s’intende però mettere in rilievo solo uno di tali motivi. Un motivo non circoscrivibile ad alcuna idea consueta di cospirazione e che si ricollega proprio alla questione cartografica delineata in apertura. Va però prima ricordato che Il pendolo di Foucault si apre sull’epifania che colpisce uno dei protagonisti del romanzo – Casaubon – di fronte all’installazione scientifica, risalente al 1851, di Jean-Bernard Léon Foucault. Quest’ultima si propone a sua volta di dare evidenza diretta della rotazione della terra attorno al proprio asse. A differenza dell’omogeneo sistema dei fusi orari, in questo caso si assiste dunque al prodigio di una sorta di esperimento permanente, teso a dimostrare la presenza di un asse, quindi di due poli, i quali permangono immoti rispetto alla rotazione del pianeta.
C’è da chiedersi, e qualcuno lo ha già fatto: com’è possibile che un tale spunto iniziale abbia condotto l’autore allo sviluppo di un’intera e labirintica opera incentrata sui Templari? La risposta a questa domanda è in realtà molto più semplice di quanto non sembri. Nel Pendolo di Foucault vengono costantemente messe in opposizione, se non in contrasto, due polarità geografiche fondamentali: quella del Vetus Ordo e quella del Novus Ordo. Se, infatti, il Medioevo occidentale vedeva in Gerusalemme il suo principale polo attrattivo, polo non solo geografico ma anche ermeneutico e spirituale; la modernità ha invece neutralizzato qualsiasi polarità spirituale per rendere assoluto il solo asse geo-magnetico Nord-Sud: asse rotazionale di cui l’istallazione di Foucault intende dare un’evidenza, per quanto possibile, fisicamente immediata.
Non importa qui precisare che i Poli geografici e i Poli geo-magnetici oggi noti non coincidano con esattezza. Sarà sufficiente rilevare come il disorientamento spirituale causato dal sistema cartografico dei colonizzatori abbia innescato quell’oscuramento e oblio di qualsiasi polarità trascendente che è alla base dello sbando generale di cui l’umanità occidentale è ormai da tempo preda. Né è per un puro caso che nel Pendolo di Foucault leggiamo a più riprese che «solo i matti s’interessano ai Templari». Rivolgendo la propria attenzione alla storia dei Milites Templi si rischia in effetti di lasciarsi coinvolgere in un orizzonte geografico e simbolico molto diverso da quello vigente. Eppure, mettere in discussione la cronometria colonialista è un passo indispensabile per comprendere la dinamica che ha portato al diffuso frainteso storico-culturale sull’Ordine del Tempio. Un frainteso al quale Il pendolo di Foucault, insieme ad altri numerosi fattori, ha sensibilmente contribuito e che non potrà che confondere le idee di tutti coloro che si avvicinano ad una ricerca metodica sulla simbologia e sulle vicende riguardanti i Templari.
Come noto, il romanzo di Eco è basato sul sospetto dell’esistenza di un Piano per il dominio del mondo. Piano nel quale anche i Templari avrebbero avuto la loro parte e che sarebbe misteriosamente legato all’esperimento scientifico di Foucault relativo all’asse rotazionale terrestre. Ciò dovrebbe indurci a pensare che la questione dell’asse nord-sud abbia una sua intima connessione con la storia dell’Ordo Templi, dipanatasi tra il XII e il XIV secolo, e naufragata nella violenta esecuzione o dispersione inflitta agli ultimi Milites Christi dalla corona francese e da altri potentati europei, agevolati in quel frangente dalla timida politica di papa Clemente V. Rimane difficile dire se Il pendolo di Foucault riesca effettivamente a fornire qualche verità su un simile Piano. Ciò che invece vi emerge chiaramente è che i personaggi del romanzo, nel corso delle loro indagini, finiscono sempre per eludere un dato preciso, tanto storico quanto tradizionale. Un dato che riguarda da vicino la missione templare. Una missione che il testo di Eco ammanta con molteplici teorie, spesso mutuate dall’occultismo neotemplare ottocentesco, ma che finisce anche per sminuire, mettendo in disparte il centro sicuro e indubitabile delle mire e delle aspirazioni dell’Ordine del Tempio, ovvero la città di Gerusalemme.
La Città Santa riveste un ruolo centrale nella simbologia templare: dal punto di vista meramente geografico, quale umbilicus delle terre emerse; ma anche perché dalla sua centralità irradia la complessa simbologia testamentaria e apocalittica che, proprio nei secoli dei Templari, venne profondamente meditata e vissuta. Si può dunque anche sorvolare sulla continua enfasi dei personaggi di Eco rispetto alla «fissità dell’asse terrestre», la quale «metterebbe in crisi persino il panta rei eracliteo», come sulle varie e curiose caratteristiche dell’istallazione di Foucault che il romanzo non manca di eviscerare. Ciò che conta, dal punto di vista del presente scritto, è la grandiosa confusione, dominante nel Pendolo di Foucault, circa la geografia sacra del Medioevo. Confusione della quale si ha prova in uno dei pochi capitoli dell’opera in cui si parla delle Mappae Mundi a “T” e certamente il più rappresentativo in relazione alla questione geografico-simbolica riguardante i Templari: Tiferet. In esso, i personaggi di Eco si divertono a cambiare compulsivamente sistema di riferimento. Non si sa più bene su quale mappa il pendolo debba o possa oscillare. Ritroviamo lì, con plastica evidenza, la cronometria colonialista che cerca di confondere e portare scompiglio sulla geografia sacra: una geografia che vedeva al proprio centro Gerusalemme, e non solo per i Templari, ma anche per la visione di mondo che l’Occidente aveva in quell’epoca. Epoca dai connotati non soltanto storici, ma riconoscibile anche attraverso una dimensione dell’essere e dell’intelletto che, nonostante tutto, è ancora avvertibile e in parte comprensibile.
La centralità di Gerusalemme non va letta, infatti, solo sul tormentato sfondo della Hierusalem miserabilis, oggi più che mai dilaniata e dilaniante, ma anche nel complesso della simbologia messianica e apocalittica legata alla Città Santa. Non sappiamo se ciò abbia a che vedere con un Piano di dominio del mondo, come emerge dall’opera di Eco, ma ha sicuramente molto a che vedere con la simbologia e con la storia degli stessi Templari. Altrimenti, Bernardo di Chiaravalle, fondatore dell’Ordine del Tempio nel 1119 insieme a Hugues de Payens, non avrebbe avuto motivo di chiamarla «Sion, Città della nostra fortezza» [Liber ad Milites Templi, III, 5].
Si noti dunque tutta la distanza tra un sistema, quale quello della mitologia colonialista, che ha relegato l’extra-temporalità dei Poli nord e sud al mero dato teorico; e una rappresentazione del mondo, tanto templare quanto medievale, nella quale si trovano polarità di tutt’altro segno: la Gerusalemme centro del mondo, ai cui antipodi sorge l’altro centro, ovvero l’isola-montagna dell’Eden. Geografia sacra il cui esempio più noto è certamente quello posto alla base dell’universo-mondo della Divina Commedia, poema non a caso interamente modellato su una manifestazione ascendente e spiritualmente orientata e realizzativa. Il motivo per cui nel Pendolo di Foucault i ricercatori interessati ai Templari vengano dileggiati e ritenuti «quasi tutti matti» può dunque dipendere dalla distanza tra due rappresentazioni di mondo inconciliabili. In ogni caso, il romanzo più che parlare dell’Ordine del Tempio, si concentra sulle varie leggende metropolitane che si sono diffuse sullo stesso. In tal modo, Eco ha gioco facile nel dare espressione al suo consueto sarcasmo – un po’ stantio e prevedibile, a dire il vero – quindi ad occultare, non sappiamo quanto volutamente o consapevolmente, i reali connotati della simbologia geografica medievale e templare.
Su tale scia, i personaggi di Eco non possono trovare niente di meglio da fare se non indugiare sulle contorsioni più perverse e pruriginose della vita del crociato ergo del templare. Dietro lo schermo ributtante delle brutture e delle rognose sporcizie attribuite ai cavalieri del Tempio, il mistero dei Pauperes Milites Christi viene così immerso e soffocato nelle nebbie del neotemplarismo occultista romantico. Nel Pendolo di Foucault, non manca infatti la schietta intenzione di irridere allegramente il fantasma del Fascismo eterno, sul quale Eco sarebbe tornato più esplicitamente dopo anni. D’altronde, chi meglio del templare può rappresentare l’ur-fascista inviso alla mitologia colonialista? Elitario, coraggioso, spiritualmente orientato e forse persino incapace di indicare Greenwich su un planisfero qualsiasi. A questo riguardo, bisogna però precisare che elitario, nell’ottica templare originaria, non era l’individuo in sé, bensì tutto ciò che riusciva a superare i limiti imposti all’individualità. Dunque, se di ur-fascista si tratta, nel caso dei Templari non è certo del tipo individualista – impostosi molto più tardi – che bisogna parlare.
Qui non s’intende moralizzare la narrativa di Eco. I suoi ammiratori sono perfettamente liberi di continuare ad apprezzare la sua opera e disinteressarsi degli eventuali oscuramenti e insabbiamenti alla quale essa ha contribuito. Questi sono tempi in cui la lode al “libero pensatore” di turno viene concessa con molta facilità e, di preferenza, a coloro che si permettono di trascurare aspetti fondamentali su una data questione pur di poter imporre la loro particolare e “originale” visione. Ebbene, la centralità di Gerusalemme rispetto alla questione templare è proprio uno di tali fondamentali aspetti. La geografia colonialista e la geografia sulla quale si muovevano i Templari hanno caratteristiche completamente diverse e del tutto inconciliabili, l’una rispetto all’altra. Si tratta di polarità, simbologie e, se si vuole, anche di mitologie completamente diverse. La geografia colonizzatrice dell’Anglosfera esclude infatti, per sua stessa natura, una geografia sacra che si ponga a supporto di uno sviluppo di carattere spirituale, legato ad una dimensione extratemporale ed extra-spaziale, relegando l’atemporalità dei Poli alla sola indeterminatezza cronometrica dei punti geometrici sui quali s’incontrano tutti i meridiani. Di contro, la geografia medievale ruotava tutta e costantemente attorno all’idea di Poli spirituali orientati e legati a precisi motivi di ordine spirituale e interiore. Ciò è particolarmente vero nel caso dei motivi ispiratori nonché della simbologia dell’Ordine del Tempio. Cos’altro sarebbe infatti il pellegrinaggio in Terrasanta se non un percorso compiuto verso un centro spaziale che simboleggia, al contempo, anche un centro interiore e spirituale, ovvero la Hierusalem interior?
Rispetto ai Templari e, in particolare, rispetto alla fine del loro Ordine, non mancano certamente le questioni critiche e controverse. Sotto questo riguardo, Il pendolo di Foucault riesce quantomeno a porre interrogativi ben più proficui di quelli sollevati dal Fascismo eterno. Vi sarebbe infatti da chiedersi se, nella parabola e nel tragico epilogo dei Templari, non risieda uno dei vari germi che hanno portato al passaggio dalla geografia sacra medievale alla geografia e alla mitologia colonialista dell’Anglosfera. Sono interrogativi ai quali all’occorrenza si cercherà di fornire qualche risposta, pur non limitandosi al dato puramente geografico. Il presente scritto inaugura infatti una serie complessiva di cinque interventi sulla spiritualità e sulla storia dell’Ordine del Tempio. Nel caso di questo primo articolo, si è deciso di focalizzare la discussione sulla questione geografica e relativa al colonialismo, apparentemente disgiunta dalla storia dei Templari, al fine di riportare quest’ultima sulla rappresentazione spaziale e simbolica che le è più connaturata. In tal senso, i numerosi rimandi all’opera di Umberto Eco sono certamente serviti a riconoscere i possibili equivoci provenienti dalla confusione tra rappresentazioni dello spazio e del tempo ben poco affini, se non del tutto inconciliabili. Nei prossimi interventi si cercherà invece di definire meglio il ruolo dell’Ordo Templi, nella prospettiva e nelle aspettative delle guide spirituali che all’Ordine rivolsero il loro magistero. Ci sarà inoltre modo di seguire alcune delle vicende che videro i vertici templari ora in dissidio ora posti di fronte alla necessità di fondersi in un’unica milizia con gli altri Ordini cavallereschi loro coevi. Il fine non sarà in ogni caso quello di offrire al lettore sconvolgenti rivelazioni su chissà quale oscura trama legata ai Templari. Ciò è già stato fatto con milioni di tonnellate di carta stampata. Molto più sinteticamente, si tratterà di rievocare alcune delle vicende più significative sul loro conto, riscoprendo personalità e voci capaci di offrire preziose testimonianze sui passaggi chiave della storia del Tempio. Via via, non mancheranno poi le aperture a motivi e a spazi di riflessione su diverse opere, sia scritte che architettoniche, che proprio all’ispirazione templare devono la loro realizzazione.
Di Gianfranco Vittorio Strazzanti
Kirkop (Malta), 3 giugno 2024
per ereticamente.net
In copertina: fonte battesimale, Temple Church, Londra, copia ottocentesca di un originale medievale
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