“Noi desideriamo la vista massime per questo fine di sapere; e non quell’altra;Noi desideriamo tra gli altri sensi massime la vista per sapere”(Giordano Bruno, Spaccio de la Bestia Trionfante, Dialogo Secondo)
Nella ricorrenza dell’eccidio inquisitorio di Giordano Bruno non staremo qui, in queste sintetiche riflessioni, a perder tempo nell’inutile disputa tra credenti, laicisti e difensori del libero pensiero, bensì vorremo richiamare l’attenzione sul fulcro della Sapienza che il Nolano volle rappresentare con la sua vita e le sue opere, null’altro essendo realmente di nostro interesse.
Rileggendo Bruno spesso ci sovviene alla mente Il Discorso Segreto sulla Montagna tra Ermete e il figlio Tat, piccola ma preziosa sintesi di quelle che sono le componenti essenziali e indispensabili della rigenerazione ermetica, in un cui verso reperiamo utili indicazioni (legate indissolubilmente ai Versi d’Oro di Pitagora), seminate in una espressione lasciata lì, sotto la cenere, accesa sotto la cenere, che può risplendere magicamente. “Questo genere di cose non si insegna, figlio mio, ma quando vuole, Dio stesso ne suscita il ricordo”. Il ricordo pertanto, la riscoperta di una dimensione ontologica già potenzialmente presente, ma non avvertita coi sensi e la ragione. Una funzione che determina la centralità dell’Uomo – come ben evidenzia Giordano Bruno –, ma soprattutto una presenza che va oltre l’attuale e personale esistenza. E nei versi pitagorici, nelle opere del Nolano, al di là dell’organicità gerarchica del Cosmo, dell’etica purificatoria dell’operatore, una pratica viene indicata, quella dell’anamnesi platonica, del recupero prenatale e ancestrale di quella consapevolezza che il Mercurio ridesto e alato conserva, la nostra origine e la nostra rigenerazione ciclica. La pratica del ricordo che non casualmente si affida al confine tra veglia e sonno, perché è
“Uomo di rude e di crassa Minerva,Mente offuscata, ignoranza proterva,Di nulla lezion, di nulla fruge,In cui Pallad’ed ogni Musa lugge…”(Giordano Bruno, Candelaio, Atto Terzo, Scena Sesta)