Dovevamo vivere questi tempi ultimi per assistere anche allo squallore di un Parlamento ridicolizzato dal sabba carnevalesco e sguaiato inscenato da partigiani e deputati che cantavano insieme “Bella ciao”.
In questo grottesco Paese, infatti, nei palazzi del Potere non si sventola il tricolore né si canta l’inno nazionale, in occasione del centenario della Grande guerra e dell’unificazione dell’Italia, ma si celebrano i 70 anni di una sconfitta, resa più umiliante e devastante dal tradimento che ha dato origine a una guerra civile sanguinosa e vigliacca.
Una guerra civile mai sopita e della quale gli scherani che si sono esibiti alla Camera sono gli epigoni più odiosi e livorosi.
Questi eroi dei giorni nostri, che hanno l’arroganza di negare le violenze e gli orrori commessi da chi li ha preceduti, portandosi l’infamia nella tomba, dovrebbero almeno tacere e, invece, dopo 70 anni di parassitismo assistito con miliardi di sovvenzioni ottenute alle spalle dei contribuenti italiani, non desistono dalla loro predicazione di falsità e dall’opera di divisione e di inquinamento delle coscienze delle giovani generazioni.
Le due guerre mondiali del novecento hanno originato due Italie inconciliabili.
Il fascismo è stato innegabilmente figlio della Grande Guerra e perciò principalmente la spiegazione della dottrina fascista va cercata nei fatti, nell’esaltazione di quella gioventù forgiatasi nelle trincee, in quella primavera di bellezza che divampò nei cuori di chi era stato pronto a immolarsi per la Patria. Tutta quella psicologia, che fu pure una dottrina, è scaturita dalla guerra. E’ stata una fiamma, che allora si accese ed è stata la dottrina fondamentale del fascismo, che s’è trasformata, come accade a ogni cosa che vive, ma che continua ad ardere e continuerà a svolgere il suo programma finché ci saranno italiani che ricorderanno i caduti per un’Idea e per la loro terra, cioè morti credendo che la vita di ciascuno di noi si lega alla vita degli altri, dai padri ai figli e ai nipoti, nella perpetuità della Patria, che sola vive e sopravvive, unita dall’Idea di una comunità di popolo, di un’identità e di una Tradizione spirituale, sociale, culturale e nazionale.
La sconfitta nel secondo conflitto mondiale, invece, ha generato la democrazia antifascista e la sua mitologia rinnegata e codarda, concepita nel tradimento e nel voltafaccia, nutrita dai rancori, dagli odi sociali e dalle pulsioni sovversive.
“…la resa dell’Italia fu uno sporco affare. Tutte le nazioni elencano nella loro storia guerre vinte e guerre perse, ma l’Italia è la sola ad aver perduto questa guerra con disonore, salvato solo in parte dal sacrificio dei combattenti della RSI…”,
ha scritto nel suo “Diario di Guerra” Eisenhower, Comandante supremo delle Forze U.S.A. nello scacchiere europeo, cioè il capo di quegli Alleati dai quali i traditori italiani si vantavano e si illudevano di essere considerati come dei “cobelligeranti”.
In realtà, la resa incondizionata e il successivo trattato di Pace dimostrarono chiaramente che agli occhi dei vincitori i meriti morali e quelli acquisiti sul campo dai “combattenti della libertà” valevano meno di trenta denari.
Da quella canaglia s’è giunti fino ai giorni nostri in un continuo perfetto di ipocrisia e sciacallaggio, oltraggiando il valore ed esaltando l’opportunismo, manipolando la storia, infangando la memoria e l’onore dei vinti, glorificando il tradimento, legittimando il terrorismo come azione di guerra, nascondendo l’orrore della pulizia etnica delle foibe, ignorando le stragi di migliaia di italiani assassinati dalle bande comuniste, rivoltando gli eventi e le situazioni a proprio tornaconto per poter giustificare l’ingiustificabile e definire “invasore” l’alleato.
Le denunce delle “stragi nazifasciste” che costituiscono la vulgata resistenzialista e ispirano i sermoni dei politici “democratici”, non vengono mai valutate in rapporto alla feroce guerriglia, alle imboscate e agli attentati compiuti dalle bande partigiane che poi fuggivano, abbandonando le popolazioni civili coinvolte di fronte alla reazione germanica. Nel pieno di una guerra combattuta sul territorio nazionale e con l’insidia partigiana che colpiva alle spalle, le esecuzioni capitali eseguite fra l’ottobre ’43 e l’aprile ’45 furono 2.200 (di cui 1.400 addebitabili agli Italiani e 800 ai Tedeschi) e, seppure vi furono episodi tragici, la realtà dei numeri racconta una storia diversa da quella ufficiale. e nella sola città di Torino, in soli 8 giorni, fra il 25 aprile e il 2 maggio del ’45, i “giustiziati” furono 2.000.
“PREGATE IDDIO DI TROVARVI DOVE SI VINCE, PERCHE’ VI SARA’ DATA LODE DI COSE DI CUI NON AVETE PARTE ALCUNA; MENTRE AL CONTRARIO CHI SI TROVA DOVE SI PERDE E’ ACCUSATO DI INFINITE COSE DELLE QUALI NON HA COLPA”
sono le considerazioni che ebbe a scrivere il Guicciardini in un’epoca in cui la storia dell’Italia era caratterizzata da lotte fratricide e la Nazione non esisteva, ma che possono attagliarsi alla perfezione anche a questi tempi miserabili e patetici.
Molto più prosaicamente e cinicamente, secoli dopo, Winston Churchill affermò che uno sciacallo vivo sta meglio di un leone morto. Verissimo, aggiungiamo noi, ma uno sciacallo rimane pur sempre uno sciacallo e un leone rimane un leone.
25 Aprile 2015
Enrico Marino
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