Da pochi giorni ho completato un altro giro del Sole e, mentre passavo da un’età all’altra, pensavo al senso di quel tutto che sempre scorre e cambia, e pure sembra chiuso in circoli immutabili. La Terra non compie il suo periplo intorno al Sole con matematica regolarità? E così fa ogni altro pianeta. La luce del Sole impiega sempre lo stesso tempo per raggiungere i nostri occhi ecc. Potrei dedurne che l’esistenza dell’intero universo dipende da leggi eterne e rigorose. E che anche la mia vita è governata da regole inderogabili. Quindi, come prevediamo le eclissi, potrei predire il mio destino.
Ma vivere è più dell’essere. La mia vita non è scritta, come l’orbita di un pianeta, in un’equazione. È l’eco cangiante di innumerevoli voci, umane e non umane, della pioggia, del vento, delle stelle. Non disegna un’ellittica sempre uguale. Procede a zig-zag, per arabeschi, moti spiraliformi. Ora avanza, ora ripiega, ondeggia in modo incoerente. Il mio pensiero può danzare nell’aria, come una farfalla tra i fiori, ma se perde le ali cade sulla nuda terra, dove striscia come un verme.
A rendermi imprevedibile è una fondamentale libertà, posta oltre il convergere di determinismi fisici, psichici, sociali. Diceva Spinoza che se una pietra pensasse si crederebbe libera di rotolare. Ignoro cosa pensi una pietra. Ma la libertà è in me il presentimento di qualcosa che trascende il mio essere empirico.
La mia esistenza allude a un fondamento. È questo a rendermi significante. Tutto in me è segno di qualcosa. Purtroppo la società moderna mi riduce a segno di altri segni, ovvero mi rimanda a processi economici o politici, funzioni socio-culturali, ruoli sessuali ecc., e in questi significati provvisori esaurisce la mia raison d’être.
La mia vita resta così orfana di un Senso Ultimo. Questo non si coglie infatti passando da un segno all’altro. Serve una discontinuità del pensiero, una frattura metafisica. Bisogna intuire quello che non si può pensare, accennare quello che non si può dire. Non un Essere Supremo, Segno lontano e inaccessibile, ma una trascendenza che mi implica e che è implicata in ogni mio segno.
Girando intorno al Sole, ho spesso osservato questa misteriosa reciprocità, co-implicazione tra l’anima e Dio. Non un Dio aristotelico, utile solo a mettere in moto l’universo, o un Dio biblico, moralista e giudicante. Semmai un Dio che fluisce senza soluzione di continuità nella pietra, nell’albero, nell’uomo, e in ogni creatura dice: io sono, io vivo, io penso ecc. Non Causa Prima, ma Significato Ultimo.
Per questo, più che l’effetto di un’ancestrale ignoranza – come nel buddhismo – o un dono di Dio, la vita mi sembra rivelare il desiderio di significare. Come l’arte, è ricerca di un piacere inutile che significa qualcosa, emanazione di un “logos che accresce sé stesso”. L’eterno divenire non ha scopo, è un gioco di bimbi, libera arte combinatoria e della memoria. Ma nessuno può dominare il linguaggio di quest’arte se non ha sofferto. E anche l’opera più sublime mi dice: “non essere blasfemo, non fermarti a me. Io significo”.
La nostra follia materialista vorrebbe misurare ogni cosa. Ma il significato si apre sempre su un infinito, l’anima emerge da una profondità che sdegna la misura. Racchiude l’immenso nell’io, come in un punto attraversato da linee infinite. La stessa superficie delle cose non è che il palesarsi della loro profondità, sommità di un abisso.
È un’eternità che si manifesta nell’attimo, un senso che si afferra se non c’è il tempo di pensare. Perché “tutto governa la folgore”, tutto vive in un’inafferrabile immediatezza. I miei giorni, i miei pensieri, sono nebbia che scompare. Eppure, è saggio chi, vedendo il lampo, non pensa: “la vita è caduca”. Perché porto con me quello che ho profondamente amato. Senza questa speranza, vivere non avrebbe alcun senso. Ma per sottrarre l’amore alla fugacità dei segni devo ancorarlo al Significato Ultimo, ‘amare in Dio’.
Potrei dire, con Gustave Thibon: “più invecchio più imparo, e più imparo meno so”. C’è in me un uomo per il quale 2+2 fa sempre 4, e un altro per cui 2+2 è un’espressione senza senso. Quindi, cerco di conciliare l’inconciliabile. Giro intorno al Sole diviso tra la sobrietà della ragione e l’ebbrezza della meraviglia. Una chiude l’essere tra le sbarre della sua inalterabile coerenza, l’altra lo lascia libero di divenire, di contraddirsi. Prendo l’impasto della logica e ci metto il lievito della fede, il sale della poesia. Ricerco una sobria ebbrezza. “Dai discordanti bellissima armonia”!
In fondo, è probabile che anch’io proceda secondo un’orbita prestabilita. Compio continue rivoluzioni intorno a un centro invisibile – forse il mio cuore – scivolando da una stagione all’altra. Questo è il tempo, per me, quando cadono dai rami le illusioni, e si vorrebbe tornar semplici.
Mi ripugna lo spirito dell’utile, e la funesta tecnica, cui importa solo che le cose funzionino. Preferisco riconoscere che la mia vita è preziosamente inutile, perfetta anche se mal funzionante. Ancora “spero l’Insperabile”, ma ho smesso di cercarlo, “perché è chiuso alla ricerca e ad esso non conduce alcuna strada”.
Ancora “interrogo me stesso”. Non mi chiedo se invecchiando son migliorato. Goethe diceva che non importa ciò che l’uomo è, ma ciò che dovrebbe essere. Un tempo anch’io mi ponevo dei modelli. Oggi non penso più a come dovrei essere. Non c’è niente che io debba essere.
Epilogo
Per alcuni l’essere diventa più significante se significa il Nulla o un “essere-per-la-morte”. Tuttavia, quando pensano alla morte o al Nulla si riservano un posto come spettatori. Altri dicono che bisogna ‘imparare a morire’. Forse intendono uscire da questi ripetuti giri del Sole con grazia e dignità, come un bravo attore esce di scena. Non so se ne sarò capace. Ma mi consola sperare che poi non dovrò più recitare.
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