Il grattacielo è la perfetta metafora ed espressione architettonica degli errori del capitalismo e, più in generale, della Modernità.
Credere che la moltiplicazione endemica di questa tipologia di edifici prima inedita, cominciata alla fine dell’ ‘800, sia dovuta solo ad esigenze commerciali e alla disponibilità di nuove tecnologie costruttive, è oltremodo riduttivo. Vediamo perché.
Nella storia umana, il grattacielo non è il primo esempio di costruzione a raggiungere altezze elevate. Il campanile del duomo di Cremona supera i 112 metri. Diverse cattedrali gotiche del nord Europa toccano i 150. Tuttavia, sia le cattedrali in se stesse che il connubio chiesa-campanile presentavano nell’insieme proporzioni armoniche, dettate da considerazioni artistiche, non commerciali. Tra i significati simbolici di chiesa e campanile, come il dualismo donna/uomo, mondo interiore/esteriore, lo slancio verso l’alto rappresentava la ricerca di Dio. Al contrario, l’unica preoccupazione del grattacielo è quella di raggiungere la maggiore altezza possibile, sia per scopi commerciali (affinché contenga quanti più uffici o appartamenti per massimizzare la resa del lotto) che simbolici (mostrare il potere della corporation che l’ha commissionato). Qualora esista la pretesa di darvi anche un contenuto “estetico”, ciò avviene sperimentando le forme più strampalate, secondo l’idea tipica della modernità per cui la bellezza sta nel nuovo, nell’inusitato, nel trasgressivo.
Sia a livello pratico che simbolico, quindi, il grattacielo è l’espressione dell’ideologia capitalistica e moderna in genere, che prevede il primato dell’economia su tutto il resto e la disumanizzazione del mondo. Esso è la rappresentazione della forma mentis del capitalismo: crescere sempre di più, sviluppare, innovare, accumulare denaro, sfruttare risorse e persone, competere, dominare, mostrare il proprio potere, staccarsi dalla natura, ignorare i bisogni più fondamentali dell’essere umano.
Il grattacielo, come e più di altre costruzioni moderne, ignora le esigenze estetiche e vitali per perseguire il desiderio di massimizzare i profitti; porta l’uomo a separarsi fisicamente dal suolo, a guardare la Terra dall’alto, quasi fosse cosa a parte e distaccata dalla natura (come infatti l’uomo moderno ritiene di essere) negando agli abitanti delle torri residenziali la possibilità di un giardino o di un orto, di una vita orizzontale come sarebbe loro congenita, di fatto alienandoli dal mondo naturale e ammassandoli in scatole di cemento e acciaio.
Esso è presenza costante e opprimente nelle città non solo statunitensi (suo luogo natale) ma di tutto il mondo cosiddetto “sviluppato”. Dubai conta 277 edifici più alti di 100 metri. New York ne ha 564. Tokyo 633. Hong Kong, che per ora sembra detenerne il primato, addirittura 856. La loro ombra riduce la luce nelle strade cittadine; la loro presenza mastodontica ricorda all’uomo della strada che egli non è nessuno.
Costruire un grattacielo più alto degli altri ha il significato di entrare a pieno titolo nel novero dei grandi e dei potenti. Quale evidente simbolo fallico, altro non rappresenta che la puerile gara all’attributo maschile più macho. Tanta è la levatura intellettuale del mondo moderno.
Se è vero che l’ambizione a costruire qualcosa di grandioso è connaturata all’uomo, in passato e in tutte le culture questa prendeva forma in opere che esprimevano al massimo grado la sua sensibilità artistica e la sua essenza. I meravigliosi templi di ogni religione sono lì a ricordarcelo. Se anche l’ostentazione della ricchezza e del potere è antica come il mondo, nelle società pre-moderne anch’essa prendeva la forma di manifestazione artistica di massima bellezza. Non era il numero di stanze o l’estensione del giardino, ma l’arte che vi era espressa, a rendere gloriose le regge e le dimore reali e aristocratiche di un tempo.
Oggi invece, morta l’arte per decomposizione in mille preferenze e presunzioni individuali, l’unico modo per costruire qualcosa di grande e per dimostrare di essere ricchi e potenti è sfoggiare la quantità: i metri quadrati, le tonnellate di acciaio, l’elevazione dal suolo – antenna compresa, si capisce.
Il grattacielo, quindi, come concentrato di errori teorici e pratici della Modernità:
– il mito della crescita quantitativa infinita, con la predazione di risorse e persone;
– l’uomo al servizio dell’economia anziché il contrario, il che si traduce nella prevalenza delle esigenze commerciali su quelle vitali ed estetiche;
– la competizione sfrenata all’accumulo di ricchezza, sfoggiata tramite la gara all’attributo più macho;
– la concentrazione di persone e lavoro nelle aree urbane, dovuta all’industrializzazione moderna che aliena l’uomo dal suo ambiente;
– la gara alla forma più strana, secondo l’idea moderna che bisogna continuamente cambiare, inventare, trasgredire.
Gli Stati Uniti d’America sono stati il primo paese a venire fondato sui principii della Modernità. Non è un caso che lì sia nato il grattacielo, diventato presto non solo l’icona di città come New York e Chicago, ma il simbolo dell’intera civiltà americana. Né è un caso che, per colpire al cuore l’americano medio, si sia scelto di abbattere le torri del World Trade Center.
Dagli USA il grattacielo è stato esportato in tutto il pianeta per divenire il simbolo, più che appropriato, del modello di sviluppo del mondo globalizzato. E’ difficile immaginare il mondo moderno, finanziarizzato, imbruttito, mercificato, disumanizzato, senza il grattacielo. Ed è impossibile immaginare un mondo a misura d’uomo, ragionevole, rinaturato, con il grattacielo. Credo proprio che, se l’umanità prima o poi tornerà al buon senso e riscoprirà se stessa, per quei monumenti alla follia non ci sarà più spazio. Lo spero davvero.
L’anacronista
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