12 Ottobre 2024
Tradizione

Il labirinto allagato – Vittorio Varano

Arrivato alla sorgente dopo aver risalito a ritroso nuotando controcorrente il corso del fiume, l’uomo-salmone può ritenere che non gli resti più niente da fare, ma il principio primo è soltanto l’obiettivo del cammino, non ne è lo scopo, che è nascosto proprio da esso, perché è ciò con cui rischia di venir scambiato : tra il raggiungimento dell’obiettivo e l’ottenimento dello scopo c’è l’abisso che separa i misteri minori e i misteri maggiori ; l’uomo-salmone si deve sovrapporre alla sorgente non per identificarcisi, ma per assorbirne tutta l’acqua e prosciugare l’alveo dove fluisce, provocando lo spegnimento del tempo e il relativo passaggio dal piano della successione lineare a quello della simultaneità labirintica. La linearità apparente è l’effetto di un errore percettivo, un’illusione prospettica dovuta alla direzione del tempo, ch’è uno spazio ad una dimensione ; ma questo meccanismo che appiattisce le coordinate del sistema di riferimento funziona soltanto finché scorre l’acqua fatta non di gocce ma di istanti, ed automaticamente finisce quando s’asciuga quel che sembrava il letto di un fiume ed era in realtà un labirinto allagato. A dispetto della sua ricorrenza il tempo è lineare per definizione, perché chi si trova immerso in esso è mosso da una forza posta alle sue spalle che lo spinge in avanti verso qualcosa che dovunque sia gli sta di fronte. Il tempo è fato, mancanza di libertà di scelta, di svolte e scartamenti laterali, perché è la dimensione dell’uno-appresso-all’altro, dell’uno-alla-volta, in cui chi ne è prigioniero, come unica opzione per non lasciarsi trascinare e travolgere, ha a disposizione quella di convertirsi, cioè puntare i piedi, opporre resistenza al movimento discendente, compiere un giro di 180 gradi intorno al suo asse e un cambio di meta : non più la foce ma la fonte, non più la fine ma l’inizio, non più il sotto ma il sopra, non più il dopo ma il prima…

La conversione comporta la salvezza che consiste nello scampare alla sorte a cui vanno incontro quelli che non compiono nessuno sforzo e rimangono a galleggiare a corpo morto per la durata complessiva della loro cosiddetta vita, finché la massa liquida che li sostiene sbocca in mare e s’inoltra al largo lontano dalla costa del continente delle terre emerse, e li fa andare alla deriva verso il centro dell’immensa distesa verdeazzurra, dove si spalanca il grande vortice in cui l’essere si avvolge e si ripiega su stesso, risucchia tutto ciò che esiste, lo inghiotte e lo fa sprofondare, e lo risputa giù precipitandolo nel vuoto. Sapere di aver evitato un simile destino è senza dubbio un valido motivo per emettere un sospiro di sollievo, ma c’è un pericolo in agguato anche all’altra estremità di questo fiume teso come in un gioco di tiro alla fune, in cui essere riuscito a sfuggire alle fauci del Leviathan-Maelstrom non garantisce che non si cadrà tra le grinfie ) strette ad afferrare, attente a non allentare la presa, occupate a reggere gelosamente l’altro capo della corda ) del suo nemico Yahweh, l’altra faccia della medaglia, forse persino peggiore. Il getto d’acqua che esce dalla sorgente è come un fascio di fotoni ; il motore immobile è come un generatore di energia elettrica che alimenta un proiettore di onde di particelle che spazzano il campo antistante illuminandone una singola porzione subito sostituita da quella consecutiva, in una continua alternanza di accensione/apparizione ed estinzione/eclissamento di piccoli pezzi di estensione cronologica posizionati in fila indiana che si avvicendano come in un reiterato-routinario cambio della guardia.

Chi s’immedesima nell’assoluto impersonale senza qualità indeterminato privo di attributi bla bla bla eccetera eccetera, assume l’ottica autoreferenziale ed accetta l’infondata convinzione del demiurgo che si considera il creatore del cosmo, e resta bloccato in un delirio di onniscienza/onnipotenza/onnipresenza da cui in nessun modo potrà mai venir dissuaso, perché il significato di qualunque percezione sensoriale proveniente dalla realtà esteriore può essere arbitrariamente distorto fino al punto di attribuire ad ogni smentita un valore di conferma alla propria credenza, e dissolto ermeneuticamente il mondo assegnandogli lo status ontologico di un’allucinazione soggettiva, una figura fantasma fabbricata da un’inconscia immaginazione, e rovesciata sullo schermo universale come i colori che il pennello di un pittore trasferisce dalla tavolozza alla bianca tela del quadro. Invece l’uno è soltanto un numero intero, il primo, ma niente di più che un membro di una categoria specifica, anteriormente a cui ( compreso tra l’inizio della serie e lo zero ) c’è l’infinito attuale ( contrapposto a quello potenziale che è la loro somma interminabile ) : la classe delle frazioni, luogo dell’alterità in cui nessuno è tutto, ed ognuno è parte dell’insieme ( il pantheon, il pleroma ), pluralità preesistente e persistente, famiglia formata da elementi in reciproco rapporto di misura-proporzione-somiglianza, vincolo di parentela che collega mantenendoli distinti i molteplici dei che vengono descritti da Esiodo, li colloca ciascuno in una casella, punto di snodo nella ramificazione dell’albero genealogico, secondo un criterio che non riferendosi a un’età anagrafica, indica indiscutibilmente una differenza nell’ordine di grandezza, non risultante da uno svolgimento storiosofico in stile Fenomenologia dello Spirito, come sarebbe se la Teogonia fosse stata una prima stesura di una sezione dell’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche in Compendio, risalente al XXVI secolo avanti Hegel. I principali protagonisti delle religioni monoteiste cominciano la loro carriera ( durante cui daranno la scalata alla montagna in cima alla quale risiede il proprietario della sorgente che da quel momento riconoscono come unico signore ) strappando le radici che affondavano il loro viluppo nell’originaria comunità di appartenenza ( l’uscita di Abramo dalla città di Ur dei Caldei, la fuga di Mosè dall’Egitto alla guida del popolo d’Israele ridotto in schiavitù dal faraone, l’egira di Maometto dalla tribù dei Coreisciti della Mecca ) ma come se avessero esaurito, per sconfiggere l’inerzia che impediva loro di compiere l’innaturale rotazione, tutta la forza di volontà di cui erano dotati, dopo aver fornito alla propria esistenza un nuovo orientamento, a partire da quell’episodio occasionale, si ostinano a tirare dritti innanzi a testa bassa come arieti, in direzione opposta ma con un’ottusità uguale a quella che essi stessi, quando procedevano seguendo la corrente verso valle insieme agli altri pesci-pecora loro fratelli ed amici, precedentemente avevano, ed hanno tuttora quelli che rimasti in mezzo al banco-gregge continuano a farlo ; la loro cecità, cocciutaggine e chiusura mentale, ha cambiato segno ma non sostanza ; questo limite ne è la condanna, la causa della disfatta, l’ostacolo che non consente di cogliere come una palla al balzo l’opportunità di oltrepassare il livello metafisico del divenire, quando giungono al cospetto del suo dominatore.

Ma questa è soltanto una congettura : siccome l’umana natura non è quel messaggio codificato mediante le sessantaquattro combinazioni di quattro basi azotate aggruppate in triplette nella doppia elica dell’acido deossiribonucleico contenente le istruzioni per l’assemblaggio dei venti amminoacidi impiegati come materiale da costruzione nella catena di montaggio dove si effettua la sintesi proteica, l’umana tragedia non ha una conclusione congenita ma contingente, che rimane inconoscibile fino all’ultimo momento ; perciò non può essere esclusa l’eventualità che per i personaggi nominati abbia un esito alternativo a quello ipotizzato, e ci sia chi guardandolo in faccia nel giorno del giudizio capisca di aver dedicato ogni suo sacrificio a servire una divinità inferiore, e per la seconda volta scoprendosi capace di cambiare in modo repentino e radicale, come fece Siddhārtha Gautama Shakyamuni nel cielo di Brahma, lo ringrazi ma rifiuti i beni ( amori, onori, piaceri, poteri, saperi, tesori… ) che gli furono offerti per comprarne il cuore e la mente, lo saluti, e vada ulteriormente avanti. D’altro canto, viceversa, non è affatto detto che chi intraprende un percorso che nelle intenzioni punta molto più in alto, poi, quando al dunque, effettivamente non interrompa il suo itinerario ben prima della tappa intermedia sorvegliata dal grande guardiano della soglia, ragion per cui non esiste nemmeno un individuo che abbia il benché minimo diritto di sentirsi superiore, a nessun titolo, perché colui che è solo a un passo dal traguardo ha ancora il tempo di inciampare, e colui che è rimasto indietro ha ancora il tempo di recuperare tutto il ritardo accumulato e superarlo.

Classificare i sentieri spirituali compilando un catalogo da due colonne in una delle quali si inseriscono quelli magici regali solari e nell’altra quelli mistici sacerdotali lunari è una schematizzazione semplicistica, si basa su un presupposto sbagliato : l’idea che per capire una via dove porta basta sapere da dove parte e che direzione prende nel suo primo tratto ; mentre invece quella che sembra una retta in realtà è una linea spezzata, somma di segmenti diseguali, incommensurabili perché tra di essi non ce n’è nessuno che si possa usare come unità di misura comune, e saltando da AB a BC poi da BC a CD… quello che non percepiamo non è soltanto il passaggio da un tipo di manto stradale ad un altro, ma specialmente lo spostarsi della traiettoria che avviene in conseguenza dell’associata accelerazione angolare che ne altera l’orientamento. Come accadrebbe a chi consultasse una carta geografica in cui la scala di riproduzione non sia omogenea, non è consentito, nella speranza di potersi regolare globalmente, senza tener conto del suo carattere locale, generalizzare la modalità di rappresentazione dell’area circostante, ed estenderne l’applicazione credendo che mantenga la sua validità al di là dei confini attuali della zona in cui siamo situati, e si trova tutto ciò con cui si ha un contatto concreto, all’infuori di cui non c’è che sogno ed illusione, ciascuno se la canta e se la suona, autisticamente, come gli pare e piace, intrappolatosi da sé in un’illimitatezza dalla quale non può uscire perché, con quel carcere, coincide.

Vittorio Varano

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