Per le benemerite Edizioni all’Insegna del Veltro di Parma è recentemente stata pubblicata la ristampa di un saggio a cura del prof. Claudio Mutti, “Il linguaggio segreto dell’Antelami”, con l’assistenza iconografica e davvero meritoria di Cristina Gregolin: una nuova edizione, riveduta, corretta ed ampliata. Il testo è una decifrazione attenta e puntuale del simbolismo utilizzato da Benedetto Antelami, misterioso artista e costruttore del Battistero di Parma, in cui si esplicita tutta la valenza ieratica dell’architettura sacra, che tramite i suoi glifi esprime l’Idea, la Presenza ed il Ritorno dell’Universale, per l’Universale.
Nella sua disamina, Claudio Mutti riesce mirabilmente ad evidenziare come la potenza autarchica della struttura, condizionata non solo dalle figure umane, ma da leggi immanenti che si esplicitano tramite le decorazioni, i fragili meandri, le rappresentazioni animali, vegetali e geometriche non sono ornamenti morti, ma espressioni mediatrici di tutto l’edificio, quasi a rafforzare il “kosmos del tempio”, cioè l’ordine interno e la decorazione esterna[1]. E’ possibile ritrovare nell’ermeneutica delle raffigurazione dell’Ottagono, dell’Arbor Vitae, del Leone Solare et similia la necessità di un’adeguata dignificazione, di un reale mutamento ontologico che deve attuarsi in chi ”costruisce e conquista l’Opera” e in chi la contempla, affinché possa risorgere il Sole spirituale ed il Tempio interiore possa essere nuovamente edificato, acquisendo quella Potestas Clavium che, sola, ha la capacità di aprire la Porta che conduce alla Civitas Dei. Emerge a tal punto la dimensione della Fides – forza interna che sostanzia e realizza la virtù -, come viatico verso la Pax e la Iustitia, un percorso architettonico e simultaneamente palingenetico, come lo stesso Mutti evidenzia magistralmente:”Pace e Giustizia sono attributi fondamentali della regalità sacrale conservatisi fin nel Medio Evo ghibellino; ma l’aspetto politico rivestito da questi attributi non deve oscurare il significato superiore, metapolitico, della Pace e della Giustizia, veri e propri archetipi che i differenti linguaggi tradizionali presentano come <<déi>> o come <<nomi divini>> (p. 61 del testo recensito).
Per tale motivo, il Battistero dell’Antelami si presenta più che come un luogo di presenza, come un luogo di visione, cioè un mezzo per la contemplazione del Divino: si ricordi infatti che l’origine del termine sanscrito Veda proviene da vid, cioè vedere, mirare il Tempio Cosmico, che è l’insieme degli esseri della manifestazione. Il vedere, quindi, come segno di sacralità, come status ontologico primordiale, visione come conoscenza effettiva, come realizzazione effettiva:”Secondo questi insegnamenti, dunque, le impronte lasciate sulla pietra rappresentano la <<traccia>> degli stati superiori nel nostro mondo, una loro durevole epifania terrena” (p. 19 del testo recensito).
L’Arte, pertanto, è intesa in senso spiritualmente unitario e superiore, diversamente da le espressioni d’esistenza che sono state travolte dall’evoluzione modernista, che abbiano subito un processo di desacralizzazione e separazione, essendo essa un processo interiore di sublimazione interiore e non una mera specializzazione di un’erudizione vuota, muta, senza archetipi a cui ispirarsi, dominata dal sentimentalismo, dal perbenismo, dall’irrazionalismo vitalista, come gli ultimi decenni dimostrano, dalla mania per l’originale e financo l’esigenza dell’economico, quindi del commerciale: ”l’uomo ha perduto il suo centro…anche l’arte si allontana quindi dal centro”[2]
Il carattere contemplativo che si è completamente perduto, per lasciare il campo a produzioni che nulla afferiscono alla sfera dell’alta creatività umana, che è immaginazione e rimodulazione divina e spirituale, ma che hanno assunto funzioni puramente decorative ed ornamentali, si ritrova nel Battistero di Parma e nell’analisi di Claudio Mutti. Si ritrova quel riferimento superiore smarrito, la perdita di un archetipo che più non si è in grado di riconoscere, non per una maggiore complessità di comprensione, ma per la progressiva incapacità che l’uomo moderno ha maturato nel rapportarsi con qualsiasi dimensione del Sacro, quindi anche con l’Arte, che del Sacro è la Teosofia, cioè la conoscenza interiore ed effettiva.
L’Autore utilizza nella propria analisi tutti i raffinati strumenti ermeneutici della dottrina tradizionale, rivelando insospettate connessioni tra le diverse manifestazioni di diverse tradizioni sapienziali, rimanendo fedele al mandato di un grande studioso dell’Arte d’Oriente e d’Occidente, un grande tradizionalista come Coomaraswamy:”L’arte è a un tempo denotazione, connotazione e allusione; affermazione, implicazione e contenuto; letterale, allegorica e anagogica“[3].
Un testo, codesto di Mutti, per i cultori raffinati del linguaggio ermetico del Medio Evo, che vogliono riassaporare e riconiugare il senso alto dell’estetica alla sacralità del simbolo e del suo magico ed arcano significato: una raffinatezza che si denota dal contenuto, ma anche da come è stato curato il volume, nella sua iconografia, nella sua pregevole stampa…una piccola e preziosa gemma che abbiamo l’onore di conservare nella nostra biblioteca.
Recensione a cura di Luca Valentini
[1] R.A. Schwaller de Lubicz, Il Tempio dell’Uomo, vol. II, Edizioni Mediterranee p. 148ss, in cui si evidenzia la fondamentale necessità di affrontare tali tematiche sempre e comunque con una precisa predisposizione sintetica, che mai diventi immemore del fine ultimo, che è quello del disvelamento dell’aspetto numenico dell’Uomo, che nel Tempio – in tale caso nel Battistero di Parma – viene simbolicamente rappresentato, affinchè la coscienza divenga autocoscienza.
[2] H. Sedlmayr, Perdita del Centro, Edizioni Borla, Città di Castello, 1983, p. 195.
[3] A. K. Coomaraswamy, La trasfigurazione della Natura nell’Arte, Edizioni Rusconi, Milano 1990, p. 77.
Il linguaggio segreto dell’Antelami, Claudio Mutti,
Edizioni all’Insegna del Veltro, Parma 2014, pp. 76, € 12,00