10 Ottobre 2024
Gruppo di Ur

Il magico Gruppo di Ur: il mattino dei maghi alla fine degli anni Venti – Giovanni Sessa

Roma, negli anni Venti del secolo scorso, era animata da una vita intellettuale estremamente dinamica, impensabile ai giorni nostri. Dibattiti pubblici, conferenze su tematiche inusitate, polemiche tra artisti, filosofi, letterati e spiritualisti erano all’ordine del giorno. Antroposofi, teosofi, orientalisti e tradizionalisti romani si confrontavano dalle pagine di battagliere riviste, ampliando gli orizzonti esistenziali di una generazione. L’Urbe fu, in quel frangente storico, punto di riferimento e d’incontro dei principali esoteristi italiani. Tale tendenza di pensiero si manifestò, in modo particolare, in un gruppo di intellettuali che si trovarono attorno alla rivista Ur, il cui primo numero fu dato alle stampe nel gennaio del 1927.

Il periodico aveva, al centro della copertina bianca, il monosillabo Ur e, per sottotitolo, «rivista di indirizzi per una scienza dell’Io». Deus ex machina della testata, il filosofo Julius Evola, il quale ricorda ne, Il cammino del cinabro, come la titolazione indicasse: «La radice arcaica del termine ‘fuoco’, ma vi era anche una sfumatura additiva, pel senso di ‘primordiale’, ‘originario’, che essa ha come prefisso in tedesco» (p.157). Una recente pubblicazione consente interessanti approfondimenti in merito al «Gruppo di Ur», che si costituì attorno alla rivista. Ci riferiamo agli Atti del Simposio Internazionale svoltosi a Napoli nel 2017, in occasione del novantesimo anniversario della costituzione di tale Gruppo, La dimensione magica del Gruppo di Ur, pubblicato dalle Edizioni Rebis (per ordini: 373/7436098, pp. 159). Il volume raccoglie le relazioni di molti studiosi ed esoteristi contemporanei. Luca Valentini nell’introduzione precisa che: «Ur nacque e si sviluppò proprio con l’intendimento di superare le particolarità di ogni singola scuola esoterica, di rendere ogni indirizzo atto al confronto ed alla sana ‘contaminazione’ con percorsi differenti» (pp. 9-10), Gianfranco de Turris rileva che il sodalizio magico è stato: «ideato e promosso e valorizzato dal trentenne Julius Evola con la collaborazione di altre personalità significative» (p. 16).

La novità rappresentata da tale consesso magico va individuata nel fatto che le sue pubblicazioni davano indicazioni teoriche e pratico-realizzative, si occupavano di esperienze effettivamente realizzate e si rivolgevano tanto agli «interni», quanto ai lettori esterni. Valentini sostiene che ciò condusse alla: «creazione di una vera e propria catena magica, con diramazioni al di fuori di Roma, in cui precise Istruzioni di catena […] vennero fornite e poste in atto» (p. 10). Obiettivo ultimo: scongiurare la deriva guelfa del fascismo, determinandone «dall’alto» una rettifica tradizionale: «Le vicissitudini personali, le diatribe interne frantumarono la compagine iniziatica nel giro di soli due anni, con la trasformazione nel 1929 di Ur in Krur, in cui, sempre sotto la direzione di Evola, rimasero antroposofi ed ermetisti, ma non più i pitagorici come Reghini e Parise» (p. 11).

In ogni caso, la collaborazione di antroposofi, pitagorici, ermetisti, kremmerziani, tradizionalisti cattolici sia pure eterodossi (De Giorgio), si esplicitò nel tentativo di una costruzione teurgica dell’Io: «al servizio del ritrovamento dell’eroica pietra di Ermete, del risveglio della primordiale spiritualità d’Occidente» (p. 11). Del contributo evoliano si occupa, nello specifico, in un saggio ricco di informazioni, Andrea Scarabelli. Il magismo del filosofo romano è da questi interpretato in continuità con l’idealismo magico, inteso quale esplicito invito alla trasformazione dell’Io, nell’assunzione di una responsabilità cosmica. Poiché Evola si era lasciato alle spalle ogni possibile dualismo, aveva contezza che gli opposti sono tali solo per il senso comune: «Non vi è una realtà finita ed una realtà assoluta, sibbene un modo finito ed un modo assoluto di sperimentare la realtà» (p. 22). Assoluto è: «ciò che è reale per uno […] stato dell’Io» (p. 22).

Evola, quindi, negli scritti e nelle esperienze di Ur, converte in azione magica le acquisizioni maturate nella sua radicale versione dell’idealismo. L’azione a cui fa riferimento: «deve sfociare in una dimensione ulteriore, “monda dalla febbre mentale, detersa dalla brama”» (p. 22). A tale conclusione, chiosa Scarabelli, Evola giunse anche in forza delle esperienze estreme vissute a partire dal Primo conflitto mondiale. Segnaliamo, tra gli altri, il contributo di Manlio Triggiani mirato a mostrare, con persuasività argomentativa, come il «Gruppo di Ur» fosse intriso della visione del mondo pre-cristiana. Interessante è il contributo di Luca Siniscalco, che si sofferma sulla figura di Guido De Giorgio, senz’altro il meno noto tra i tradizionalisti. Dopo aver presentato i tratti biografici di: «questa “specie di iniziato allo stato selvaggio”» (p. 83), lo studioso ricorda come De Giorgio in Ur abbia rappresentato un unicum, avendo espresso riserve: «sulle possibilità per l’uomo moderno di abbeverarsi a quelle fonti elementari e ormai obliate» (p. 88) della tradizione magico-ermetica. La posizione di De Giorgio, sintonica a quella di Guénon, mirava ad integrare le tesi di Evola. Questi confidava sulle possibilità rettificatrici del magismo, in quanto la modernità in Occidente si era sviluppata sul tronco dell’azione. De Giorgio, in Ur, si occupò del tema della Realizzazione: lo fece in termini plotiniani disegnando un percorso di ritorno all’Uno attraverso le Forme, i Ritmi ed il Silenzio. Tali gradi non sono che manifestazioni transeunti dell’Origine. Ciò gli permise: «di fissare immediatamente la verità perennialista, ossia l’unità trascendente delle religioni» (p. 91). Il suo antivolontarismo lo spinse verso l’opzione per un ur-cattolicesimo, declinato in modalità eterodossa.

 Infine, è necessario menzionare lo scritto di Stefano Arcella, che coglie sintonie, in termini di prassi magica, tra le posizioni di Steiner e quelle di Evola. In particolare, lo studioso si sofferma sulla pratica spirituale del Sole di Mezzanotte, durante la quale: «il praticante può prendere coscienza della risonanza interiore del Sole, della sua risonanza animica» (p. 136). Si tratta di una pratica immaginativa, nella quale all’oscurità fisica corrisponde la massima luce interiore, il risveglio dell’Io cosciente. Una via di trascendenza-immanente come quella proposta da Evola. Questi, inoltre, fa notare Arcella, riprese da Steiner, nel III volume di Introduzione alla magia, la pratica delle liberazione delle facoltà. Nonostante tale prossimità, la divergenza teorica tra i due autori ci pare innegabile.

Il volume presenta molti altri contributi. In essi, gli autori si occupano di Kremmerz, delle infiltrazioni italo-francesi in Ur, delle influenze teosofiche in Reghini, del valore dei contributi di Colazza, Colonna di Cesarò, Arturo Onofri, Ercole Quadrelli. Un’intervista, curata da Valentini, a Corallo Reginelli (Taurulus), che ebbe dalle mani di De Giorgio il manoscritto de, La Tradizione romana, chiude questa ricchissima silloge.

Giovanni Sessa

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