11 Ottobre 2024
Esteri Front National J.M. Le Pen

Il menhir e l’olifante: epica e politica in casa Le Pen

Di Mario Cecere

Chi ha avuto modo di seguire  le polemiche prodottesi di recente nel principale partito di opposizione in Francia, i cui strascichi vedono da ultimo anche la pupilla del FN, Marion-Maréchal Le Pen, prendere le distanze dal deputato identitario e lepenista di ferro Bruno Gollnisch, fedelissimo sodale di Jean-Marie, comprenderà quanto dall’esito di tale scontro interno possano dipendere gli orientamenti di molte forze politiche che in Europa guardano con simpatia e speranza alla forza patriottica d’Oltralpe.

Lungi dal costituire mere “esternazioni” di un vegliardo con tendenze al suicidio politico e con l’occhio rivolto al passato, come malignamente asserito da molti provenienti dai ranghi del suo stesso partito, le dichiarazioni del presidente d’onore del Front National,  che rivendica  con  la franchezza di sempre posizioni   già note sulla Seconda guerra mondiale ed espresse  già in una famosa tribuna televisiva del 1987, colgono a mio avviso un aspetto fondamentale, se non proprio essenziale, del ‘politico’, vale a dire la libertà che si trova a fondamento di ogni autentica sovranità politica. I fatti sono abbastanza noti e mi limiterò ad un breve riepilogo. Una crisi gravissima si è aperta nel Front National in seguito a due interviste concesse da JMLP rispettivamente ad un’emittente televisiva e ad un periodico nazionalista. Nel corso della prima, il solito giornalista ossessionato tirava in ballo l’antica dichiarazione di Le Pen sulle camere a gas definite “dettaglio della storia”, da comprendere, come precisato dallo stesso intervistato, non come appoggio alle tesi “negazioniste” sulle camere a gas, ma in relazione all’immane bilancio complessivo delle vittime del secondo conflittomondiale. In quella occasione, per quanto scrutato con il tipico cipiglio ammonitore, il menhir, come viene soprannominato Le Pen, si rifiutava di nuovo e gagliardamente di compiere l’atto di penitenza catodico sperato dall’imbonitore di turno, dicendosi tuttora  persuaso della sostanziale pertinenza di quella veduta.

Una settimana dopo, nel vespaio di polemiche che già iniziava a sollevarsi minaccioso, JMLP, in un’intervista-fiume concessa al periodico rivoluzionario-conservatore Rivarol, ritornava sulla frase incriminata non per abiurarla ma, di soprammercato, per confessare di non considerare affatto il Maresciallo Petain come un  “traditore” e  facendo rimarcare  piuttosto quanto sia opportuno – richiamandosi addirittura ad una  linea di riconciliazione nazionale che fu perfino di Georges Pompidou –  operare tutti gli sforzi necessari alla rimarginazione delle ferite sempre sanguinanti prodotte dalla seconda,  tragica guerra civile  europea – causa, oggi ancora, di dolorose  lacerazioni  oramai totalmente ingiustificate.

Il senso delle parole di Le Pen era, in sostanza, che occorre poter tornare su quelle dolorose vicende non certo per épater les bourgeois, vale a dire a  fini di scandalo, o per  piegarle  a interessi ideologici unilaterali, come avviene in maniera sempre più ossessiva ai nostri giorni, ma con sguardo il più possibile equanime e pacificato, rendendo innanzi tutto giustizia a quelle figure ingiustamente ricoperte dal fango dei vincitori e dal rancore irrazionale delle plebi.

E questo non tanto per una forma di nobiltà d’animo verso il vinto – attitudine quanto mai incomprensibile e rara  presso una civilizzazione fondata sulla forza del numero, sul  calcolo utilitario e sulla isteria moralistica di matrice giacobina – quanto perché, parafrasando Heidegger, appare sempre più evidente che dal rapporto istituito con la propria storia, liberato dai tabù che rendono difficoltosa  la ricerca e pericolosa la messa in discussione dei dogmi ideologici ufficiali sulla seconda guerra mondiale e gli aberranti complessi di colpa instillati dai vincitori, ne va dell’essere stesso dell’Europa. Gli spazi di discussione e libertà però, e questo caso lo dimostra ampiamente, si restringono ogni giorno di più, accoppiandosi, alla minaccia ideologica da sempre esercitata dal potere, il più sottile e devastante atto di autocensura e ‘sottomissione’ houellebecquiano che va pervadendo gli spiriti di troppi.

Nessun nostalgismo, quindi,  nulla  di “sulfureo” o scandaloso nelle parole di Le Pen, il quale aggiungeva, nel medesimo spirito, che oggi un raggruppamento di ispirazione nazionale e patriottica come il Fn dovrebbe essere considerato la casa comune di quanti, gollisti, comunisti o simpatizzanti di Petain, avessero come minimo comune denominatore la natura di “patrioti”– e cosa potrebbe esservi di più consustanziale allo spirito di  un partito ‘nazionale’ come il Front,  la cui forza ha finora poggiato solo sull’aura di  irriducibilità al sistema criminale della Collaborazione al suicidio della civiltà europea?

Apriti cielo… da SOS Racisme  al Crif alla Licra, da sinistra a destra e tra le fila del proprio stesso schieramento − con in testa la figlia  e gli altri registi della cosiddetta “dédiabolisation”, che tutto debbono della loro esistenza politica a JMLP − l’intero sistema politico mediatico ha tuonato all’unisono contro il vecchio patriarca, chiedendone la  testa, ottenendone l’esclusione dalle prossime elezioni regionali, isolandolo quasi completamente all’interno del suo stesso partito che peraltro  gli ha fatto mancare ogni solidarietà e lasciando da ultimo presagire quale sarà la soluzione finale da applicare affinché il Front possa finalmente ritenersi “presentabile”:   l’espunzione  di idee e uomini legati ad una certa idea di onore, identità, sovranità e libertà non negoziabile e incompatibile, evidentemente, con il Totem del cosmopolitismo demo-liberale laicardo e gender,  perennemente inumidito con lacrime e altri umori dalle vestali della memoria unica.

Nel drammatico scenario contemporaneo, che vede la nostra civiltà trascinarsi sull’orlo del baratro occorre in primo luogo − penso alle forze della dissidenza e della resistenza al nuovo ordine mondiale − riconoscere  l’importanza del Fn, che ha saputo leggere e denunciare con fermezza e decenni di anticipo (imponendoli all’attenzione di grandi masse) alcuni importanti fenomeni distruttivi in corso che ci minacciano ormai  fin troppo da vicino, riuscendo a non farsi liquidare nel perfido clima di intimidazione, demonizzazione e violenza di cui sono raffinati amministratori i “demoni del bene” sedicenti democratici, gli officianti  del culto dei “diritti umani” e della libertà di espressione a corrente alternata. Al Fn è riuscito, contro tutto e tutti, di costruire nel tempo una radicata e solida forza di resistenza nazionale, patriottica e popolare non allineata al liberalismo, altamente rappresentativa, tra l’altro, dei ceti traditi e abbandonati a misera sorte dalla gauche-caviar comunista e immigrazionista.

In molti hanno quindi parlato di ignobile “pugnalata alla schiena” da parte di Marine Le Pen e della sua cerchia di consiglieri filosionisti e gay-friendly quanto mai vogliosi di poter finalmente entrare nel gotha della politica che conta: senza poter parlare, almeno finora, di svendita dell’anima del Fn in senso ‘finiano’, non ci si può nascondere che molte nubi si sono addensate, a causa di questo poco nobile parricidio, sul futuro di questo partito, un movimento che per  anni ha denunciato  le politiche mondialiste imposte al Paese, dall’immigrazione alle guerre Nato alle politiche UE e pronto a smascherare, contro i propri presunti interessi,  perfino la  cinica strumentalizzazione  dei fatti di Charlie Hebdo ad opera del potere .

Una forza che, sempre animata dagli eroici furori del menhir, ha guadagnato consensi ed è divenuta primo partito di Francia, oltre che grazie alla lotta all’immigrazione, proprio perché  ha ostinatamente inteso far risaltare una propria irriducibile differenza e specificità culturale e politica, alternativa alla deriva orwelliana del partito unico UMPS: smarcandosi  dalla dittatura del pensiero unico e della repressione del dissenso, del lavaggio del cervello e della perversione etno-masochista impartita, in luogo dell’istruzione, dalla cosiddetta Education National e da analoghe strutture orwelliane della Répubblique massonica; pronunciandosi in difesa della libertà di espressione minacciata dalle oligarchie (anche nel caso patologico della crociata di stato contro il comico Dieudonné) denunciando le previste limitazioni liberticide su internet e invocando una politica estera di  intesa con la Russia, di uscita dalla Nato e  di non ingerenza nella politica degli stati sovrani di Medio-Oriente e Nord-Africa. Per tali ragioni, che hanno anche premiato in termini elettorali facendone probabilmente il primo partito di Francia,  il Fn resta un simbolo importante, un elemento politico di primo piano nell’oscuro panorama contemporaneo.

Nell’infierire maggiormente contro Le Pen padre, dicevamo, si sono distinti  soprattutto i quadri dirigenti di recente acquisto del Fn, ceto impiegatizio del tutto privo della fisionomia politica e umana di un partito  come il Front. Costoro in massima parte, rassicurati dal nuovo clima, aspirano a cariche di rilievo senza avere in comune con il vecchio Front nessun elemento culturale; soggetti facilmente manipolabili dalle sirene del potere perché privi di orientamenti forti e di quelle affinità elettive che crescono soltanto attraverso le gioie e i dolori di un cammino aspro e per pochi, nella consapevolezza di una lotta che trascende gli interessi individuali per iscriversi in quelli più essenziali della comunità e della storia della patria, nel destino ancora più vasto dell’Europa e della sua civiltà minacciata.

Anche per costoro − paradossalmente e malgrado tutto, per questi ambigui fautori di un partito liquido, rosa e presentabile −  risuona, quanto mai solitario e nobile, quasi come il corno di Rolando nelle ultime tragiche battute dell’epica Chanson de geste, il monito disperato ma carico di significati simbolici del menhir, l’ultimo guanto di sfida lanciato contro il sistema da  Jean-Marie Le Pen.

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