Per quelli della mia generazione l’uscita nel 1972 del volume Medioevo fantastico – Antichità ed esotismi nell’arte gotica di Jurgis Baltrusaitis (1903-1988) ha notevolmente contribuito ad una nuova comprensione dell’Età di mezzo. È stata una rivelazione scoprire che i cosiddetti “secoli bui” non erano affatto quel periodo chiuso nelle ristrettezze di un gretto sentimentalismo religioso, come aveva fatto credere e insegnato sui banchi di scuola certa critica letteraria “illuminata”. Gli apporti segreti ed esotici, provenienti dall’iconografia orientale, sono stati puntualmente analizzati e interpretati dallo storico d’arte lituano. È così apparsa chiara la straordinaria capacità di assimilazione che gli uomini di quel tempo avevano saputo fare proprie. L’impiego di elementi architettonici, figurativi e simbolici derivati da culture tradizionali tanto lontane e apparentemente ostiche ha denotato la loro disponibilità al confronto. Questa propensione rappresenta l’indice di una grande apertura mentale e di una particolare sensibilità nell’aver accettato, fatto proprie e proposte le conoscenze acquisite in chiave innovativa. Nella realtà la vera chiusura mentale appare quella dei critici ufficiali del passato che non hanno saputo recepire tali incidenze di derivazione buddista, islamica e indù di cui sono portatrici le opere prodotte dagli inventori delle “nuove architetture” (Gotico e Romanico). Anche il volume successivo Risvegli e prodigi – Le metamorfosi del gotico (1999) era stato accolto come una gradita riconferma.
Nel successivo studio Formazioni e deformazioni – La stilistica ornamentale nella scultura romanica (2005) dedicato alle meraviglie del Romanico, Jurgis Baltrusaitis ha saputo trovare la chiave per decifrare la lettura stilistica ornamentale presente nelle sculture e nelle raffigurazioni, riuscendo ad intuire da messaggi tanto lontani nel tempo, la strada ancor oggi utile per raggiungere la corretta comprensione. Al fine di facilitare l’analisi delle simbologie, apparentemente poco comprensibili, ha fornito al lettore l’aiuto ricorrendo ad una infinita gamma di singolari esempi, con l’annuncio delle complesse “leggi canoniche” che stanno alla base di tali dinamiche: l’orrore del vuoto, la sintonia e l’attrazione per le cornici, l’adeguatezza alla struttura del monumento.
Dall’horror vacui presente nella monumentalistica romanica deriva la legge della cornice, prima norma osservata dai plasticatori e dagli scultori del X°- XI°-XII° sec. Le campionature antropologiche e zoologiche rappresentate nelle vetuste cattedrali sono state attentamente esaminate. Gli artigiani medioevali operano sovente ricorrendo a trasformazioni comportanti deformazioni fantastiche. I soggetti assumono posizioni improponibili e artificiali, compaiono uomini circolari, triangolari rettangolari, che si adattano ad occupare tutti gli spazi, non lasciando possibilità agli interstizi (foto 1,2,3)
Per coprire adeguatamente i campi privi di ornamentazione gli animali rappresentati assumono fisionomie filiformi. Si assottigliano e allungano a dismisura nei grandi portali delle chiese e assecondano le linee degli architravi; all’inverosimile arrotondano, restringono e piegano i corpi per sottostare agli archivolti; compaiono, in cima alle colonne, rannicchiati, protesi per ridurre le sagome alla limitata superficie dei capitelli. Tali condizionamenti pregiudicano le originarie fattezze, influiscono sulle posture, deformano le anatomie dei personaggi. Queste espressioni riflettono convinzioni non solamente architettoniche, decorative o estetiche perché incarnano potenzialità di carattere anagogico. Sono indici di una visione spaziale che non è antropocentrica bensì universale e che considera le regole dettate dal cosmo preminenti rispetto alla temporaneità degli esseri che lo popolano.
Dalle manipolazioni deformanti non si sottraggono i rappresentanti del simbolismo ieratico. Madonne, evangelisti, santi e profeti osservano anche loro il tracciato delle mandorle, si piegano all’estensione delle nicchie, seguono il perimetro dei timpani (foto 4). Le grandi proporzioni li distinguono dagli altri personaggi secondari che, in qualità di comparse, vestono più ridotte dimensioni.
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Anche l’ornamento vegetale nell’iconografia del Romanico segue un ordine prestabilito. Le combinazioni fitomorfe sono rappresentate da innumerevoli combinazioni che vedono intrecciate foglie, palmette e steli. L’innumerevole gamma di figure tramandate derivano da tre precisi motivi. Il primo motivo è generato da un’unica figura che riprodotta all’infinito e posizionata in modo diverso genera altrettante varianti (foto 5). Il secondo motivo è sostanzialmente derivato dallo sdoppiamento del primo motivo che moltiplica in sempre nuove combinazioni (foto 6). Nuove mutazioni subentrano nel terzo motivo, a cui si perviene quando tra le due figure preesistenti se ne inserisce una terza che assume autonomo sviluppo (foto 7).
Gli innumerevoli intrecci portati all’arricchimento degli ornamenti sono il prodotto di questa tecnica. Le combinazioni intervengono a valorizzare la struttura architettonica del monumento, determinano la funzionalità dei capitelli, mostrano nella loro complessità echini e abachi, sottolineano la maestosità degli archivolti e la preziosità delle colonne. L’inesauribile campionatura dei motivi prodotti determina i molteplici raggruppamenti delle figure. Si perpetua la logica che presiede alla regolarità delle scelte, frutto di oculati calcoli programmati e non di improvvisata sperimentazione. I capitelli del secondo e terzo motivo si arricchiscono di personaggi crochet. Il bulbo, il frutto la bacca prendono il posto delle palmette centrali e laterali (foto 8) per poi assumere lineamenti antropomorfi. Sbucano dal fogliame teste con nasi, bocche, orecchie e occhi che fiutano, assaporano, odorano e osservano (foto 9). La sorpresa estetica colpisce il visitatore. L’irruzione della botanica e del bestiario nell’ornamento, l’aggregazione dei corpi, le deformazioni anatomiche sanno creare una iconografia simbolica capace di trasformarsi in un potente mezzo di estasi visiva.
Il Romanico potenzia la via d’accesso volta a scoprire le dimensioni iniziatiche del meraviglioso quando l’indagine è assistita da una guida fidata. Le trasformazioni formali unite alle visioni anamorfiche (Anamorfosi o magia artificiale degli effetti meravigliosi, 1969) sciolgono le barriere naturali, cadono le catene della logica corrente. Lo stato animale, vegetale e umano cessano la loro indipendenza e convivono duttilmente quando emergono dalle complesse architetture tracciate dalle mani esperte degli artisti-artigiani. Ogni alterazione dà origine a creature fantastiche ibride, irreali che traghettano alla conoscenza del sovrasensibile. Si possono così raggiungere terre inesplorate sotto la protezione premurosa dei patroni divini che sanno garantire l’ausilio e leniscono i timori del panico prodotti dal crollo improvviso delle certezze razionali.
Nascono esseri mostruosi insieme ad angeliche presenze che mediano tra mondo terrestre e mondo celeste. Le idee degli operosi esecutori seguono i canoni itinerari geometrici. Il tracciato, come spiega Baltrusaitis accompagna percorsi “sempre diversi (nel risultato) e sempre uguali (nella procedura)”. Si fondono i due elementi costitutivi: la geometria del disegno e la realtà del soggetto. In questo connubio, tra fedeltà all’archetipo naturale e fantasia, collimano figurativo e astratto. Tale iconografia intermedia predispone il fedele ad uscire dal vissuto quotidiano e lo traghetta in un viaggio che porta a contatto con realtà ultraterrene. Gli intrecci diventano serpenti, i nodi assumono le sembianze di teste, gli steli si trasformano in articolazioni, le palmette in tronchi umani. Per l’osservatore il passaggio dall’astratto al figurativo e del figurativo all’astratto risulta sorprendente.
In conclusione, sempre a detta dell’autore, lo studio intrapreso è iniziato alla ricerca di valori plastici e formali si è poi concluso con la netta percezione di essere approdati ad un sistema elaborato e coerente di speculazioni metafisiche. Stupiscono i rapporti tra figure e struttura poiché denotano “l’assoluta precisione e l’universalità di alcune regole”. L’edificio romanico risulta essere un complesso simbolico, depositario e promotore di un ordine preciso: la legge che decora non è un semplice rivestimento ma attraverso valenze e artifizi sa raggiungere le vette di un insegnamento ultraterreno.