Questo saggio, per quanto schematico, ha la pretesa di essere uno studio comparato dell’esiziale fenomeno del meticciato nei due continenti americani. Che lo scrivente sappia, uno studio del genere non è ancora stato tentato da alcuno.
Si sente dire spesso che l’Iberoamerica (la cosiddetta ‘America Latina’, costituita dal continente Sud-americano più la parte meridionale di quello Nord-americano) sarebbe la terra del meticciato per eccellenza – il che rispecchia solo parzialmente la verità. – L’argomento è già stato affrontato dallo scrivente in due suoi testi (01); ma sia qui subito detto che il fenomeno ‘meticciato’ acquistò un aspetto molto diverso nell’Iberoamerica e nell’America ‘anglosassone’ (02) e questo in ragione del fatto che gli spagnoli (ma anche i francesi in Canadà e i portoghesi in Brasile) non puntarono mai allo sterminio delle popolazioni indigene amerindie. Questo, invece, lo fecero gli ‘anglo’-giudei calvinisti nell’America del Nord, utilizzando ogni tipo di striscianti sotterfugi, tipo la guerra batteriologica (03). Il collasso della popolazione aborigena, pure avvenuto in non pochi luoghi colonizzati dagli spagnoli fu dovuto all’introduzione, non intenzionale (a differenza di quanto fu fatto spesso e volentieri da ‘anglosassoni’) di certe malattie per le quali gli aborigeni non avevano anticorpi, sul tipo del vaiolo, del morbillo, della stessa influenza. (Al giorno d’oggi, dopo oltre mezzo secolo di assuefazione al leccazampismo nei confronti degli americhesi, è divenuta moda parlare delle atrocità dei conquistadores, mentre raramente si parla della condotta abbietta dei ‘padri fondatori’ e affini, calvinisti.) – Anche lo scempio delle popolazioni amazzoniche ebbe luogo dopo la fine della colonia spagnola (cioè dopo la cosiddetta ‘indipendenza’), quando in Iberoamerica subentrarono governi di tipo illuminista americaneggiante per i quali la politica ufficiale fu quella dell’eliminazione dell’indio (elemento ‘arretrato’) in quanto tale, che doveva venire ‘incivilito’ (quindi genuino etnocidio) perché anche lui potesse ‘godere dei vantaggi del progresso’ – e questi etnocidi non di rado si trasformavano in genuini genocidi, soprattutto da parte di coloni meticci e di fazendeiros (molto spesso essi stessi razzialmente sospetti) sulle cui malefatte i governi e le autorità post-coloniali chiudevano volentieri un occhio e anche tutti e due (04).
Conseguenza fu che l’Iberoamerica rimase improntata dall’elemento aborigeno, culturalmente molto variato che, in simbiosi con la cultura europea spagnola ha dato come risultato una notevole varietà di interessanti manifestazioni. Viceversa, negli Stati Uniti d’America l’elemento razziale che ha improntato di sé la ‘cultura’ (se così ci si può esprimere) gringa/americhese è stato quello negroide – e non solo nella parte ‘intellettuale’ (si fa per dire) di tale ‘cultura’, ma anche il carattere dell’americhese medio. Non a caso, Julius Evola (05) poté parlare di America
Negli Stati Uniti d’America c’è e c’è sempre stata una ‘centrale dirigente’, il cervello dello (pseudo)paese (di ‘cuore’ non è certo il caso di parlare) in mano a calvinisti (il calvinismo è uno scomparto, più che una promanazione, dell’ebraismo – così Werner Sombart [11] ma prima di lui il catalano Sebastián Castellón [12]), inizialmente, poi a ebrei espliciti/’veri’ che comunque con i calvinisti facevano e fanno tutt’uno. Questa centrale direttiva ha sempre avuto la sua sede nel Nord-est dell’America.
Al di sotto di questi dirigenti si sviluppò presto la popolazione ‘genuinamente americana’ : i pionieri del Far-West, inglesi e irlandesi, che si occupavano di sterminare i ‘pellirosse’ e di incamerare le loro terre (13), che però essi stessi raramente facevano fruttare. Quelle terre venivano vendute a immigrati europei, soprattutto tedeschi che, a forza di lavoro abile e di amministrazione oculata, le trasformavano in fiorenti e redditizie fattorie agricole. – naturalmente, per il tipo di vita che nel Far-West bisognava menare (e contrariamente a quanto viene propalato dalle novelle, romanzi e film western, con spreco di ‘carovane di pionieri’), c’era scarsa disponibilità di donne bianche (allora inglesi o irlandesi [14]). Gli ‘eroi’ del Far-West, per accompagnarli nelle loro banditesche spedizioni di ladrocinio, si procuravano – comperavano – compagne negre, o preferibilmente mulatte, che poi divenivano le madri della loro figliolanza (15); e negli Stati Uniti ci fu per molto tempo una vera e propria industria per la fabbricazione in serie di mezzi-sangue, in quanto le mulatte venivano preferite alle negre pure. Esse, in qualità di schiave ma anche e soprattutto di concubine semilibere, venivano vendute e finivano come compagne degli ‘eroi’ del Far-West. C’è un libro che descrive in dettaglio questo fenomeno sociale e che da utilissime statistiche (16).
Circa 10 milioni di negri finirono come schiavi nelle Americhe, dove venivano trasportati da europei o da inglesi o, normalmente, quando si trattava dei futuri Stati Uniti d’America, da impresari ebrei. La cattura degli schiavi non fu se non raramente un’iniziativa europea, gli schiavisti per eccellenza furono o musulmani o gli stessi negri (17). La schiavitù era consuetudinaria nelle società dei negri e comunque nel negro c’è una tendenza congenita a considerare sé stesso ‘proprietà’ di qualcun altro (18): non a caso, alcuni ex-schiavi, una volta ottenuta la libertà, divennero essi stessi in brevissimo tempo schiavisti di successo. – Gli schiavi, poi, erano merce pregiata, le negre che avessero arricchito il padrone fornendogli una decina di figli schiavi, venivano spesso premiate con la libertà; e in altri non rari casi, i padroni, per avere schiavi di prima qualità e quindi di alto prezzo di vendita, sceglievano fra i loro schiavi e schiave i più sani, robusti e intelligenti e li facevano accoppiare – determinati maschi negri avevano come occupazione principale quella di fare da stalloni (19). – Già verso il 1860 c’erano circa 500.000 sangue-misti; e con l’espansione verso il West la richiesta di donne, soprattutto mulatte, aveva continuato ad aumentare a dismisura ed esse venivano vendute a ottimo prezzo: questo stimolò i possessori di schiavi a ‘produrre’ mulatte in serie, proprio industrialmente, non più per procurarsi un maggiore numero di lavoranti, ma a scopo commerciale. Il numero esatto dei sangue-misti nella popolazione ‘genuinamente americhese’ non sembra essere conosciuto, ma dovette e deve essere altissimo (20).
Da quanto sopra si deve dedurre che i possessori gringo di schiavi sapevano benissimo come fare fruttare economicamente il loro bestiame – ma ne subivano il fascino culturale. In particolare, la musica americhese, jazz e rock, per non parlare dei spirituals, è tutta di impronta africana (21).
* * *
A questo punto, e già nella seconda metà del secolo XIX, ci si possono rappresentare gli Stati Uniti d’America/America ‘anglosassone’ come un’espressione geografica (per usare una locuzione alla Metternich) con una popolazione a tre componenti:
(a) la classe dirigente giudeo-calvinista (cioè: ebraica e bibliolatrica) che oculatamente amministra e dirige il tutto con mire egemoniche mondiali a maggior gloria di Geova – egemonia realizzabile nella pratica e messa a portata di mano in ragione di quella che, fino a recentemente, era l’invulnerabilità dell’America, protetta da un oceano per parte;
(b) i ‘veri americhesi’, razzialmente ‘anglosassoni’-negroidi, che danno il ‘carattere’ (psicologico/psicopatico) allo pseudo-paese (carattere essenzialmente negroide);
(c) gli immigrati europei, soprattutto tedeschi (ma anche immigrati est-asiatici), di insediamento posteriore che sono quelli che, spesso dotati di buona intelligenza e capacità lavorativa, ebbero in mano il ‘lato tecnico’ dell’andamento del paese. Sono stati loro, senza che a loro toccasse alcuna partecipazione nel dare ‘forma’/’carattere’ allo pseudo-paese, a fare dell’America una potenza – di tipo semitico, la Cartagine degli ultimi due secoli (22). Ma era tutta gente che emigrava in America attratta esclusivamente dai vantaggi economici che là si potevano avere o che si sperava di potere avere (l’America fu la discarica dell’Europa, secondo Julius Evola). Con il passare del tempo e quindi delle generazioni, quelli si putrefacevano psicologicamente – si americanesizzavano, spesso anche in assenza di meticciato biologico (23).
Il progresso tecnologico americhese è sempre dipeso dall’afflusso europeo ‘di prima mano’, che ci voleva per sostituire i discendenti degli immigrati di più vecchia data ormai divenuti più o meno inutilizzabili dalla loro americhesizzazione. Non a caso il fatto che l’America diviene sempre più fatiscente e che sul lato tecnico valga sempre meno, anche nel campo dell’armamento che è il campo industriale americhese per eccellenza, è dovuto al fatto che ormai immigrazione europea di buona qualità ce n’è pochissima; quindi la componente (c) di cui sopra si assottiglia sempre di più – e questo senza contare che l’America, anche biologicamente, è ormai un’espressione geografica al 50% di colore – il resto, ‘bianco’, comunque non è che valga molto di più: si tratta di negri dello spirito.
Lì sta, in questo momento (secondo decennio del XXI secolo, quando si stanno stendendo queste righe), il vantaggio della Russia (che non è la cancerosa Unione Sovietica [24]): paese europeo che a differenza dell’America non abbisogna di immigrazione per mandare avanti il lato tecnico della sua struttura industriale e militare. Sotto questo punto di vista, la Russia, in brevissimo tempo dopo la desovietizzazione, ha scavalcato la putrescente America e tutto sembra indicare che la ‘forbice’ militare fra le due potenze continuerà ad allargarsi a suo favore. Vladimir Putin, pure personaggio sotto alcuni aspetti discutibile, ha saputo mettere a profitto le energie intellettuali e caratteriali del suo popolo che erano lì, latenti, soffocate dal pessimo governo giudeo-bolscevico e che aspettavano soltanto di potersi rimettere in moto.
Si può concludere questo schematico saggio tornando brevemente al suo punto di partenza. Già Arthur de Gobineau (25) ci informava come gli incroci con gli aborigeni amerindi (irochesi, uroni) fossero abbastanza normali e generalizzati fra i francesi stanziati in Canadà. E l’attitudine di massima dei governanti spagnoli in Iberoamerica fu quella non solo di cercare di evitare (con successo variabile) la mescolanza di europei con negros u otras razas inferiores [con negri o altre razze inferiori], ma anche di cercare di limitare che gli stessi indios si incrociassero con gli schiavi africani (26). Questo fatto, quello di vedere nel negro qualcosa di ‘esiziale’, a differenza dell’indio, è un punto di vista che, più o meno sotterraneamente, si è protratto nella storiografia iberoamericana (27). – Nell’America ‘anglosassone’, l’andamento fu radicalmente diverso. Lì (con la parziale eccezione degli Stati Confederati d’America, obliterati dalla guerra del 1860 – 1865), la tendenza sia biologica che psicologica fu verso la negrizzazione, con parallelo genocidio degli aborigeni ‘pellirosse’ che, in confronto agli africani, ma anche in confronto ai bibliolatri calvinisti, erano qualcosa di ben più nobile (il tutto ricoperto e ammantato da quella conosciuta ipocrisia che è caratteristica dei giudeo-calvinisti [28]).- Questo innesca la considerazione che probabilmente, fra qualche secolo, l’America, o i brandelli che ne rimarranno, saranno il Terzo Mondo per eccellenza, fino alle sue più profonde radici.
Note
(01) Silvio Waldner (Silvano Lorenzoni), Stati Uniti, Iberoamerica,Sud Africa: tre messe a punto, Agorà , Dueville (Vicenza), 2001; Silvano Lorenzoni, Mondo aurorale, Primordia, Milano, 2010.
(02) Non si insisterà mai troppo su di un fatto già spesso esplicitato dallo scrivente, e cioè che se certuni e le loro diramazioni sono ‘anglosassoni’, i nord-italiani sono ‘ostrogoti’ (o magari ‘longobardi’) e gli spagnoli ‘visigoti’.
(03) Vedasi per esempio Philippe Jacquin, ed. it. Storia degli indiani d’America, Mondadori, Milano, 1977.
(04) Vedasi Silvano Lorenzoni, La deformazione della natura, Ar, Padova, 1997; e anche Silvio Waldner (Silvano Lorenzoni), Tomás Funes, l’ultimo caudillo, Congresso occidentale, Trieste, 2003. Questo libretto, circostanze permettendo, vedrà una seconda edizione presso Primordia di Milano. Si consulti anche Silvano Lorenzoni, Mondo aurorale, cit.
(05) Vedasi Julius Evola, America negrizzata, in L’arco e la clava, Scheiwiller, Milano, 1971.
(06) Alain De Benoist e Giorgio Locchi, Il male americano, LEDE, Roma, 1978.
(07) Silvano Lorenzoni, La figura mostruosa di Cristo, Primordia, Milano, 2011; idem Il selvaggio, Ghènos, Ferrara, 2005.
(08) Ma anche il semitismo ‘puro’ potrebbe essere un fenomeno parzialmente negroide. Vedasi Silvano Lorenzoni, Mondo aurorale, cit.
(09) Alexandre del Valle, L’Islamisme et les Ẻtats unis, L’Âge d’homme, Lausanne, 1997. Vedasi anche Tito Centi, Musulmani e testimoni di Geova, Cantagalli, Siena, 1994.
(10) Werner Sombart, Der Bourgeois, Duncker und Humblot, München/Leipzig, 1923 (orig. 1913).
(11) Ibid.
(12) Vedasi Georges Batault, ed. it. Aspetti della questione ebraica, Ar., Padova, 1983 (orig. 1921).
(13) Vedasi Pierre Chassard, Ordre naturel et idéologie du chaos, Diathesis, Celbridge, 2010.
(14) Qui si parla di ‘bianchi’ in termini generici, per non appesantire il testo con troppe spiegazioni. Ẻ stato suggerito (vedasi Roland Wuttke sul bimensile Volk in Bewegung [Fretterode] N. 3/2014, giugno 2014) che negli ‘anglosassoni’ ci sia un fattore genetico che gli differenzia dagli altri ‘bianchi’/europidi, il quale si manifesterebbe come causante, fra altre cose, del loro modo profondamente vigliacco e infame di condurre la guerra. Roland Wuttke parla di englische Geistesjuden [‘ebrei dello spirito’ inglesi].
(15) Fatti analoghi si danno fra i mineros venezuelani e i garimpeiros brasiliani che si addentrano in Guayana e in Amazzonia come cercatori nomadi d’oro e di diamanti.
(16) Alberto Placucci, Chiese bianche, schiavi neri, Gribaudi, Torino, 1990. Lo scrivente ringrazia Francesco Scanagatta, della Federazione pagana italiana, per avergli segnalato questo ottimo testo.
(17) Di ottimo riferimento Arnaud Raffard de Brienne, La désinformation autour de l’esclavage, L’étoile du bergier, Paris, 2006.
(18) Vedasi John Baker, Race, Oxford University Press, Oxford (Inghilterra), 1974.
(19) Questa casistica è stata esposta in modo romanzato ma esatto da Kyle Onstott, ed. it. Mandingo, Feltrinelli, Milano, 1975 (orig. 1957).
(20) Sia qui riportata un’interessante nota di Alberto Placucci, cit., secondo il quale il negro avrebbe un profondo senso religioso congenito (che si manifesta è chiaro, nel vudù, nella macumba, nella obea, ecc. – nota dello scrivente) sul quale si innestò felicemente l’evangelizzazione monoteista. – A titolo di curiosità, un altro tipo di ‘evangelizzazione’ fu invece esercitato, a rovescio, dai negri, su genti da loro non molto dissimili, gli indostani con i quali essi vennero a contatto nelle piantagioni della Guyana – vedasi Andrés Serbín, Nacionalismo, etnicidad y política en la República Cooperativa de Guyana, Bruguera Venezolana, Caracas (Venezuela), 1981. – Dai negri gli indostani impararono la religiosità bantù (obea), della quale presto si impossessarono: i principali esercenti/stregoni obea finirono per essere tutti indostani nerissimi. Essi poi esportarono la medesima presso le sottocaste infime dalla pelle nera dell’Indostan, dove, sembra, essa attecchì con notevole successo.
(21) Molto diversa fu la deriva musicale fuori dagli Stati Uniti d’America. La musica di stampo nettamente afro si riscontra o nella zone americanofone (fatto significativo), tipo le Antille, oppure dove la popolazione è africana ed è rimasta tale e isolata per molto tempo, tipo certe zone del Brasile (la samba proviene dall’Angola). Nell’America ispanofona, in generale, la musica è di impronta indigena, spesso con influenze spagnole (il joropo in Venezuela; il vallenato e la cumbia sulle coste settentrionali della Colombia, dove pure c’è una importante impronta africana nella popolazione). Una fenomenologia interessante si da nella costa del Pacifico della Colombia e dell’Ecuador, dove la popolazione è essenzialmente negroide ma ha avuto ininterrotti contatti con elementi indigeni. Lì, il negro ha subito il fascino culturale dell’indio (nello stesso modo che in America il calvinista americanofono ha subito quello dell’africano). Anche in luoghi dove la popolazione è quasi completamente negroide, ma dove i contatti con gli indigeni sono stati molto prolungati, la musica (la chirimía, la corraleja) ricorda piuttosto il vallenato della costa atlantica e di afro non ha niente. Piuttosto afro è il bullerengue, che vale per zone negroidi isolate, ma che pure non è afro puro. Il currulao è qualcosa di intermedio.
(22) L’espressione è del politologo russo ottocentesco Konstantin Ljeontjev – vedi John Kleeves, Americani, capitalisti con la pistola, Internet, 8 marzo 2005.
(23) Un’esperienza personale dello scrivente, che passò molto tempo nelle due Americhe, fu che, mediamente, l’americhese ‘bianco’ era ancora più ignorante dell’iberoamericano di colore.
(24) La bolscevizzazione della Russia fu una manovra esclusivamente ebraica con punto d’appoggio negli Stati Uniti d’America; sui cui dettagli non è qui il caso di addentrarsi. Vedansi: ed. it. Emanuel Malynski e Léon de Poncins, La guerra occulta, Le Rune, Milano, 1961 (orig. 1936); Daniel Estulín, ed. it. Il Club Bilderberg, Arianna, Bologna, 2009; Silvano Lorenzoni, La figura mostruosa, cit.
(25) Arthur de Gobineau, Essai sur l’inégalité des races humaines, Belfond, Paris, 1967 (orig. 1853 – 1855).
(26) Vedasi, per esempio, Alfredo Jahn, Los aborígenes del occidente de Venezuela, Monte Ávila, Caracas (Venezuela), 1973 (orig. 1927); e anche José Antonio De Armas Chitty, Guayana, su tierra y su historia, Edición del Ministerio de Obras Públicas, Caracas (Venezuela), 1964.
(27) Si consulti, per esempio, il numero speciale del mensile Diorama (Firenze) di dicembre 1992, uscito con occasione dei 500 anni dalla scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo il 12 ottobre 1492.
(28) Vedasi Hans Hartmann, Cant, die englische Art der Heuchelei, Junker und Dünnhaupt, Berlin 1940.
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